A vida invisivel di Vitor Goncalves conduce la fitta schiera di film portoghesi presenti quest’anno al Festival di Roma. Il regista di A girl in summer torna dopo ventisette anni dietro la macchina da presa in una prova sofferta e con i silenzi straripanti e carichi di pensieri tipici di un’opera letteraria.

Il protagonista, Hugo, ha una coscienza in macerie, proprio come la Piazza del Commercio di Lisbona, smembrata da incessanti lavori in corso e su cui insiste ripetutamente l’inquadratura fissa della macchina da presa. Lo scenario è quello della crisi economica mondiale che, al contempo, si fa anche segno di una crisi più universale, così che il regista filma tanto l’approssimarsi dei licenziamenti di massa quanto le tracce di un malessere che si intuisce essere molto più intimo e profondo.

Come nel recentissimo Miss Violence, la televisione sembra trasmettere esclusivamente in tedesco, come a marcare l’imposizione dall’alto di un’omologazione a cui il resto dell’Europa non riesce più a contrapporsi. Lo stesso Hugo sembra già completamente disarmato dai suoi drammi interiori e del tutto impreparato anche solo a immaginare una sua ipotetica resistenza civica.

Detto questo, l’ermetismo scheletrico con cui Goncalves filma il flusso di coscienza del suo protagonista sembra improntato ad un codice troppo segreto e statico per coinvolgere pienamente lo spettatore. Le risate scomposte e fuori luogo di parte della sala durante alcuni silenzi prolungati del film, non hanno certo aiutato alla formazione di un giudizio sereno. In generale, il fatto che A vida invisivel insista a soffermarsi su un nocciolo spigoloso di domande recitate fuori campo, più che a sviluppare una riflessione in movimento, rende piuttosto opprimenti le stanze sempre chiuse dei suoi spazi e l’alternarsi piatto tra sogno, presente e passato.

Azzardiamo il pronostico che difficilmente il film in concorso possa arrivare in zona premiazione per il Marc’Aurelio.

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