HARUHARA SAN’S RECORDER di Kyoshi Sugita
GRAND PRIX DE LA COMPETITION INTERNATIONALE 

INTERVISTA CON IL REGISTA KYOSHI SUGITA E CON LA PROTAGONISTA CHIKA ARAKI

Harurara San’s recorder, quarto lungometraggio del giapponese Kyoshi Sugita, presentato nel concorso internazionale della 32esima edizione del FID, ha creato l’evento vincendo oltre all’ambito Grand Prix anche il premio per la migliore interpretazione femminile attribuito alla meravigliosa Chika Araki. Il film è stato inoltre ricompensato con il premio del pubblico. In quest’elegia urbana, con una messa in scena finissima ed esigente, Kyoshi Sugita – allievo di Kyoshi Kurosava e di Shinji Aoyama- riesce a captare il flusso della vita, le piccole e le grandi cose. Focalizzando la sua vicenda intorno a corpo attoriale di Chika Araki nel ruolo di Sachi, una ragazza che, arrivata a Tokyo, prende possesso di un appartamento abitato in precedenza dal fantomatico Harurara, il regista tesse una fitta rete di rapporti umani. Il quadro di vita di Sachi, un andirivieni quotidiano fra l’appartamento e un caffè nelle vicinanze dove lavora, diventa lo scrigno in cui, di volta in volta, i vari personaggi che traversano la sua quotidianità, vengono ritratti con la lievità e la precisione di una calligrafia giapponese. Con il suo atteggiamento placido, la sua capacita ad ascoltare i suoi interlocutori e la sua gentilezza, Sachi cerca, come molti altri caratteri della pellicola, la sua strada, avanzando con curiosità e fiducia,  tastando il terreno delle sue esperienze, dei suoi pensieri e dei suoi sogni. Girato nel formato classico 4:3, il film si snoda lungo una serie di scene dalla composizione rigorosa che, come delle brevi epifanie del quotidiano, sbocciano di vota in volta, con un tocco lieve e poetico, non privo di un humor sottile. Senza esplosioni drammatiche, l’arco narrativo della pellicola, si forma poco a poco, per tocchi successivi, in un montaggio dal ritmo placido e naturale come un respiro. In quello che sembra, a prima vista, un viaggio immobile, Sachi riuscirà, alla fine a trovare la sua vocazione, con un sorprendente ritorno alle proprie origini. Ho avuto il piacere di incontrareSugita Kyoshi e Chika Araki durante il festival. Della nostra avventurosa conversazione, resa possibile da ben due validissimi traduttori – una traduttrice dal francese al giapponese e un traduttore dal giapponese al francese- serbo un ricordo molto bello; come nel film stesso il calore degli sguardi, la grande gentilezza e la disponibilità dei miei interlocutori mi hanno ‘parlato’ al di là di ogni barriera linguistica.

La visione di Harurara San’s recorder è stata per me una vera rivelazione. Potrebbe parlarmi dell’origine di questo film tanto suggestivo?

Questo film è nato grazie ad una serie d’incontri felici; quando il mio film precedente, Listen to light (2017) fu proiettato in un cinema di Tokyo, Chika Araki, la protagonista di Harurara San’s recorder, venne a vederlo. Ci eravamo visti solo una volta prima, all’occasione di un mio lavoro teatrale, ma non la conoscevo molto bene. Era una giovane attrice professionista ma di teatro.  Quel giorno Chika è venuta al cinema con una maschera molto grande sul volto ma, attenzione, era prima del Covid, quindi non era una maschera di protezione contro la pandemia. Di fatto Chika aveva appena subito una grossa operazione alla mascella e per questo portava una benda che le copriva tutta la parte inferiore del viso. All’inizio non sapevo chi fosse, potevo solo vedere i suoi occhi che erano molto sorridenti. In quell’occasione Chika ha espresso con molto entusiasmo la sua opinione sul mio film, alla fine della nostra conversazione, senza pensarci troppo, molto spontaneamente le ho detto: “Una volta che tutto questo processo di guarigione della tua mascella sarà finito dobbiamo fare un film insieme!”  Quindi è stato, per cosi dire, dell’entusiasmo a prima vista! Dopo sei mesi, quando ho appreso che il suo trattamento era finalmente finito, ricordando la mia promessa, ho preso un appuntamento con Chika. Ci siamo incontrati in un caffè e abbiamo parlato a lungo di lei; di dove era nata, di cosa aveva fatto da bambina e come era cresciuta, a cosa si era interessata, perché era venuta a Tokyo, perché era diventata un’attrice. Abbiamo parlato molto di tutto questo.mInfine, tornando a casa dopo quest’incontro, mentre ero in treno, mi sono ricordato di una poetessa contemporanea giapponese molto famosa che si chiama Higashi Naoko e mi è venuto in mente un suo famoso tanka. Un tanka è una poesia giapponese in 31 sillabe – un po’ più lunga di un haiku – ed è composta nel modo seguente: 5 sillabe, 7 sillabe, 5 sillabe, 7 e 7. Ho pensato che mi sarebbe piaciuto adattare questo tanka per il cinema, ingaggiando Chika Araki come interprete del personaggio principale del film. Quando sono arrivato a casa ho scritto un’e-mail alla poetessa Higashi Naoko e venti minuti dopo ho ricevuto una risposta in cui lei mi dava il permesso di utilizzare la sua poesia per la mia sceneggiatura. Questo è stato l’inizio del processo di lavorazione del film.

Una delle caratteristiche salienti di Harurara San’s recorder è, a mio avviso, la sua musicalità. Mi riferisco al modo in cui il film struttura il suo tempo, la sua propria cadenza. Come si è sviluppata la scrittura della sceneggiatura a partire dal tanka di Higashi Naoko?

Prima di abbordare la questione della scrittura vorrei soffermarmi su quanto hai detto a proposito della musicalità del mio film. Suono il piano da quando avevo tre anni, quando ero alle medie e poi alle superiori ho lavorato come direttore dell’orchestra della scuola. È una cosa che mi viene in mente solo ora, ma forse la prima volta che ho pensato che mi sarebbe piaciuto fare il regista è stato quando stavo lavorando a Pictures of an exhibition di Mussorsky. Probabilmente questa mia esperienza musicale ha influenzato il mio modo di fare cinema.Tornando alla questione della scrittura, mi sembra importante spiegare che il tanka è una forma che permette di descrivere la vita di un personaggio a partire da un elemento di pochi secondi. Questi pochi secondi sono il cuore della poesia, ma dopo c’è tutta la vita del personaggio. Il tanka in questione descrive una lettera che non viene mai consegnata al destinatario, nel film si tratta di una lettera destinata al signor Haruhara, che ritorna indietro con un timbro che dice: sconosciuto a questo indirizzo. Pensando sul filo dei giorni a questo tanka mi sono detto che era necessario avere questi pochi secondi ma anche i pochi secondi che vengono prima e dopo questo evento, questa lettera, e che, per cosi dire, la circondano. La sceneggiatura è il momento in cui devi decidere non solo su quei pochi secondi decisivi ma anche su quali parti della vita di un personaggio vuoi rappresentare.

Intorno alla sua eroina radiosa e piena di grazia, lei ha costruito tutta una serie di personaggi che si muovono fra due luoghi principali; il caffè dove lei lavora e la casa dove è venuta a vivere al posto di Harurara. Trovo molto interessante il rapporto tra i personaggi e i luoghi. Come ha immaginato tutto questo movimento, questa complessa corografia?

Questo non vale solo per questo film ma per i miei film in generale; i miei film li faccio  lasciandomi influenzare dalle persone che incontro e dai luoghi in cui mi trovo. La stanza in cui vive la protagonista è la stessa in cui il personaggio del titolo aveva vissuto ma se n’era andato. Era una persona che aveva vissuto a Tokyo per molto tempo lavorando come attore che prende la decisione, al momento dell’epidemia di Covid, di tornare nella città dove è cresciuto. In un certo senso infatti decide di abbandonare la sua stanza e di lasciarla vuota.

Spesso nell’inquadratura ci sono degli elementi della scenografia che si frappongono tra noi e il personaggio filmato limitandone parzialmente la vista. Per esempio il personaggio viene filmato dietro una sorta di schermo, o in controluce. Qual’è il perché di questa scelta?

Prima di tutto vorrei ringraziare la mia equipe; la direttrice della fotografia Lioka Jukiko e il tecnico del suono Yongchang Hwang che hanno fatto un lavoro straordinario. In uno spazio limitato ci sono delle cose che la telecamera non può riprendere, così decido per ogni scena qual è la cosa più importante che devo mostrare e poi mi concentro su quella nel modo più esclusivo. Io giro sempre nel classico 4:3, questo formato mi permette di focalizzare la mia attenzione su un elemento particolare e dire ‘guarda questo’ anche se c’è un ostacolo nell’inquadratura in questo formato significa che li c’è qualcosa da guardare. 

Quest’elemento di mostrare-nascondere nella messa in scena è particolarmente suggestivo perché nel suo film i personaggi indossano delle maschere, le maschere qui sono ovviamente maschere anti-covid, ma la maschera in se è un elemento ricorrente ed essenziale nella cultura teatrale di diversi paesi. Trovo molto interessanti tutte queste corrispondenze tra il suo modo di filmare, molto spesso attraverso degli ostacoli, e dall’altro la maschera sul viso dei personaggi, che viene tolta quando i personaggi stanno mangiando. C’è un’intermittenza tra il mostrare e il nascondere a diversi livelli.Girare con la maschera era senza dubbio una necessità di fronte alla pandemia, ma nel suo film la maschera diventa un vero e proprio elemento della mise en scène…

Durante il processo di realizzazione del film mi sono reso conto che in realtà l’atto di togliersi la maschera diventa un atto molto significativo e importante; quando te la togli e vedi tutto il viso è molto commovente!

Vorrei fare una domanda alla protagonista del film. Chika Araki lei è il personaggio principale e le succedono molte cose durante il film ma lei mantiene la stessa grazia durante tutto questo tempo. Come ha abbordato il suo ruolo?

Ho recitato dando molta importanza al mio ritmo personale. All’inizio è stato abbastanza difficile per me recitare in termini di percezione del personaggio, ma a poco a poco ho iniziato a trovare il mio ritmo. Alla fine siamo riusciti a trovare un modo per integrare la performance nella continuità in modo che il ritmo potesse formare una continuità.

Il film ruota intorno tutto alla protagonista impersonata da Chika Araki, che con la sua performance è l’elemento unificante della pellicola.

Chika si è impegnata molto durante le riprese del film in particolare perché c’erano molti attori diversi che venivano sul set ogni giorno e ognuno aveva il proprio stile di recitazione e il proprio ritmo corporeo, linguistico. Chika ha dovuto adattarsi a tutti i colleghi che le venivano proposti di volta in volta come partner, ha dovuto sintonizzarsi con il loro ritmo e con il loro modo di fare le cose. Se dovessi descriverla come attrice direi che è come la superficie dell’acqua quando soffia una folata di vento creando delle increspature. La maggior parte degli attori ha il proprio ritmo e il proprio carattere e chiunque sia il loro partner cerca di imporgli il proprio ritmo, Chika invece ha uno stile di recitazione molto più flessibile. Poco fa Chika ha detto che dà molta importanza alla sua performance e al suo ritmo, ma in realtà penso che lei come attrice sappia dare molta importanza alla performance degli altri.Ogni giorno sul set prendeva del tempo per rilassarsi, dormiva abbastanza spesso. Appena distoglievo lo sguardo da lei e la guardavo di nuovo pochi secondi dopo, lei già dormiva! Così l’ho filmata mentre dormiva realmente!

C’è una sequenza molto bella in cui le immagini girate da uno dei personaggi della pellicola vengono proiettate sulla facciata di un edificio di notte. Potrebbe parlarmene?

L’autore di questo video è un artista che proietta di tanto in tanto dei film sulle facciate degli edifici. Ha cominciato a farlo durante la pandemia perché tutti i teatri erano chiusi e nessuno poteva vedere dei film, ha dunque pensato bene di proiettare dei film rivolti verso la città. Lo trovo molto bello e così l’ho filmato.

Ho l’impressione che è il personaggio della sua protagonista a dirigerla nella scrittura…

Quando faccio film, anche adesso, sono molto titubante sul mio ruolo di regista; poiché scrivo io stesso la sceneggiatura, c’è effettivamente il rischio di imporre un significato alla vita di questa donna, ma in realtà questo significato è una bugia. Ho fatto il film dicendo a me stesso che avrei voluto scoprire chi è Sachi. In Harurara San’s recorder, la protagonista, non riesce a risolvere i suoi problemi, eppure la sua vita va avanti e alla fine torna nella città dove è cresciuta…

Il processo del montaggio è stato complesso?

Faccio il montaggio dopo aver finito di girare il film, ma la struttura del film viene creata principalmente durante le riprese. Al momento dell’editing confido tutte le immagini che ho girato alla mia montatrice senza spiegarle nulla. Keiko Okava con la quale collaboro da molti anni, raccoglie tutte le immagini e poi mi mostra come le ha montate. La prima volta che ha guardato le immagini di questo film, era molto confusa. Dopo averle visionate, io e lei abbiamo avuto l’occasione di parlare a lungo. Non abbiamo parlato dei dettagli concreti di come collegare le immagini, o di come disporre certe scene, ma le ho piuttosto spiegato le ragioni per cui avevo voluto fare questo film. Le ho dato poi tutte le informazioni sulla vita di Sachi e sulle vite degli altri personaggi che la circondano e che interagiscono con lei delle informazioni anteriori a quanto accade nel film. Per esempio, lo zio che viene spesso a trovare Sachi ha perso sua moglie a causa di una malattia; il casco e l’impermeabile che Sachi indossa quando è in moto con lo zio sono quelli che appartenevano alla zia defunta.

In effetti, c’è molto spazio lasciato non detto, sui diversi personaggi che mantengono il loro mistero ma il film funziona molto bene in questo modo.

Dopo questa lunga conversazione sulla vita dei personaggi, la montatrice è tornata tre giorni dopo con un nuovo montaggio e questo è più o meno quello che il film è oggi!

Qual’è stata la più grande sfida che ha dovuto affrontare durante la preparazione di questo progetto? 

La cosa più difficile è stata quella di dovere fare un film con due bambini a casa! (ride) Scherzi a parte, la più grande sfida per me è stata quella di dovere combinare le riprese con l’insegnamento! Devo ammettere di essere una persona orribile; sbagliandomi avevo programmato una giornata di riprese in contemporanea con una lezione che dovevo dare agli studenti dell’università di cui mi ero completamente dimenticato; cosi ho dovuto fare le due cose nello stesso momento. Quel giorno ho fatto il mio corso durante le riprese posizionando il mio computer in modo che gli studenti potessero vedere le riprese che stavo facendo live! Credo che sia stato il primo corso di cinema on-line al mondo in cui si poteva vedere un film che veniva girato in tempo reale! (ride)

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