Il Festival Internazionale del Film di Roma rende omaggio a Fernando Pessoa, il poeta degli “eteronimi” con il documentario d’arte O Batuque dos astros del regista brasiliano Julio Bressane, uno fra i maggiori esponenti del cinema underground brasiliano. E’ un’opera difficile quella dell’autore di Cleopatra (presentato fuori concorso a Venezia nel 2007), molto esigente nei riguardi dello spettatore e senza dubbio ermetica sul piano della comprensione razionale dei suoi significati. Eppure, se si accetta senza troppe remore di aderire al gioco prettamente sensoriale creato da Bressane, questo poemetto per immagini e suoni, scandito da un montaggio anarchico, poeticamente libero da qualsiasi consequenzialità spaziale e temporale, finisce pian piano con il sedurre chi guarda e, soprattutto, trasmette la curiosità di accostarsi alla letteratura e al pensiero filosofico di Pessoa. Nulla (o quasi) ci dice il film sull’uomo e sulla sua storia personale: fin dai primi fotogrammi appare evidente che l’approccio documentaristico si orienterà coraggiosamente lungo i sentieri dell’interpretazione, dell’evocazione attraverso il simbolo, della suggestione mediante analogia. Scopriamo poi, mentre il racconto filmico si scolla sempre di più dai pochi riferimenti storici iniziali (la città di Lisbona, la statua di bronzo di Pessoa, alcune foto, il set del film durante la lavorazione) di non poter mai fare affidamento nemmeno sull’associazione metaforica, sull’individuazione di un senso possibile per ossimoro, ma di poter contare soltanto sulla potenza allusiva del cinema bressaniano. Capiamo quindi di trovarci di fronte a un oggetto artistico complesso, ad una forma che richiama un’altra forma, alla traduzione di uno stile da un linguaggio a un altro.

Il regista di Rio de Janeiro sembra in parte confermare queste nostre impressioni nell’incontro successivo alla proiezione di O Batuque dos astros in anteprima mondiale al Festival del Cinema di Roma.
Una persona dal pubblico:“Il precedente film A erva do rato è un eterno ritorno. Questo, invece, è un perpetuo detour, come dichiari in un’intervista di qualche tempo fa, rilasciata a Roberto Turigliatto, sul quotidiano Il Manifesto…”
Fernando Pessoa è il poeta delle sincopi, delle interruzioni, dei dettagli. Non è un film su Pessoa questo, volevo soltanto suggerire Pessoa: la mia opera deve valere per i suoi eventuali punti di forza, non per altro. Pessoa è stato riscoperto in Brasile negli anni Cinquanta. Oggi, intitolata a suo nome, esiste anche una biblioteca. Io ho iniziato a leggerlo e a studiarlo negli anni Settanta, prima non ne sapevo praticamente nulla. F.P. rincorre l’eteronimo, crea un’altra persona al di fuori di sé: è un autore complesso e non è stato facile per me riuscire ad interpretarlo. Ogni eteronimo è, infatti, un punto di vista diverso, sembra che non abbia un solo Io, appare come una superficie riflettente, è multiplo. Socialmente parlando si direbbe che è uno schizofrenico: in realtà, per me si tratta di un genio. Rimase anonimo sino alla fine dei suoi giorni proprio a causa dell’eteronimia che, moltiplicando le sue identità, finì con l’omologarlo. Era una specie di minotauro che ha fatto una cartografia dettagliata della lingua portoghese riscrivendone la tradizione attraverso gli eteronimi. La sua missione era quella di divorare Camoes; questa molteplicità di sensi compattati della sua estetica è molto cinematografica. Nei suoi scritti sognava di creare la Ecce Films, una casa di produzione e addirittura ne ideò il logo. Elaborò anche degli script, degli appunti su come fare un film e poi ne realizzò sette, tutti influenzati dalle avanguardie futuriste e surrealiste. Il suo voleva essere un cinema di interpretazione, come una sorta di I Ching. Ha indicato molte strade ma è ancora poco conosciuto e la sua è un’opera circoscritta a pochissimi titoli, fra cui Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares e Le poesie di Alberto Caeiro.
Enrico Ghezzi: Pessoa che scrive a me sembra il Cinema. I tuoi due ultimi film mi hanno fatto pensare alla sua scrittura schizofrenica, che si traduce nel montaggio frammentato, all’interno però di un unico piano sequenza che li comprende…
Penso che Pessoa sia il Cinema. La complessità dello stile cinematografico di Pessoa non è mai stata raccontata. O Batuque dos astros è una delle infinite traduzioni possibili della sua opera. Non è mai stata fatta inoltre – e sarebbe molto interessante – un’analisi del ritmo interno alla scrittura di Pessoa. Un’altra particolarità della vita di questo straordinario poeta, che si racconta come una leggenda metropolitana, è quella che non volle mai uscire dalla città in cui nacque e morì: la sua Lisbona.
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