Nel corso della Festa di Roma era previsto un incontro di Martin Scorsese con il pubblico. Le intenzioni degli organizzatori – e di Mario Sesti in particolare che ha moderato l’incontro – erano quelle di omaggiare un grande maestro del cinema ma soprattutto quelle di dare soddisfazione ad un grande pubblico, fatto prevalentemente di giovani appassionati, ripercorrendo i suoi grandi film e parlando della sua poetica, del suo stile, delle sue ossessioni autoriali.

Ebbene, niente di tutto questo. Pare che i giorni precedenti l’incontro ci siano state accese discussioni fra lo staff di Scorsese e quello della Festa, a quanto pare terminate con una completa vittoria del cineasta. Dopo un imbarazzato prologo di Sesti, infatti, Scorsese si è presentato (in ritardo) e, inesorabile, ha parlato per due ore filate esclusivamente della Film Foundation, ovvero della società da lui fondata che da più di 20 anni si occupa del recupero e del restauro di vecchie pellicole: “Se Leonardo da Vinci fosse stato un regista, nessuno conoscerebbe le sue opere.” Così ha esordito il regista di The departed che ha poi proseguito snocciolando i preoccupanti dati sul deterioramento delle copie originali dei film (il 50% da quando c’è il colore) e raccontando nei dettagli le resistenze incontrate durante la sua missione nobilissima e (quasi) impossibile di sottrarre all’avanzare del tempo i capolavori del cinema mondiale – da C’era una volta il West ai film di Hitchcock -, di conservarli per le generazioni future.

Una certa delusione e anche un po’ di noia circolavano tra il pubblico che certamente non aveva pagato un biglietto per assistere a una conferenza piuttosto tecnica e assolutamente monodirezionale però vanno riconosciuti a Scorsese una grande generosità e il merito di aver posto l’attenzione su una battaglia molto importante che sottolinea il valore di opera d’arte dei film, troppo spesso ancora considerati solo un oggetto di consumo.

Partendo dalle riflessioni di Scorsese (“Il cinema è una forma d’arte contemporanea. Bisogna costruire in pietra per durare nel tempo”), però si potrebbe fare un ulteriore passo avanti: se è vero che il cinema è un grande patrimonio universale che va conservato con la massima cura al pari delle grandi opere architettoniche o delle arti figurative, allora bisogna preoccuparsi anche di renderlo visibile, costantemente fruibile. Dopo averli accuratamente restaurati, i grandi film andrebbero fatti uscire dalle cineteche, distribuiti, messi in circolazione massicciamente. Invece, in Italia questo puntualmente non accade: si restaura La terra trema o Viaggio in Italia e poi, dopo una grande proiezione ad inviti, qualche articolo, e una rapida distribuzione nella sala 4 di un cinema romano, il film viene custodito in cineteche tanto ben fornite quanto inaccessibili per rispuntare in occasione di qualche sporadica rassegna, quasi sempre all’estero. Ma perché? Perché tanto dispendio di lavoro e di eccellenti competenze tecniche per un risultato così modesto? Basta essere stati a Parigi almeno una volta per rendersi conto che il potenziale di mercato di un film non si esaurisce nell’anno di produzione. Se un film è bello, rimane bello anche 20 anni dopo e il pubblico lo va a vedere.

A Parigi non c’è multisala che non abbia in programmazione, accanto all’ultimo film di Spielberg e alla più recente commedia francese, un grande film del passato (da Masamura a Anthony Mann, da Pasolini a Valerio Zurlini). E fuori c’è la fila per vederlo, anche di pomeriggio. E così quando si organizza una rassegna completa di un autore, la si tiene in cartellone anche per sei mesi, così da darle il tempo di raggiungere tutto il pubblico potenziale. Così è successo, ad esempio, l’anno scorso con Rossellini: una sala si è occupata, per l’intero inverno, esclusivamente di proiettare tutte le sue opere, anche quelle minori, anche i film per la televisione.

Invece, da noi una proiezione di Roma città aperta in pompa magna, alla presenza del sindaco e del presidente della Repubblica, e via. L’anniversario è festeggiato. Eppure un pubblico, anche folto, per questi film esiste. Lo ha dimostrato senza ombra di dubbio il successo della bellissima rassegna dedicata a Mastroianni dalla Casa del cinema durante la Festa di Roma: la fila cominciava sempre almeno mezz’ora prima della proiezione e finiva regolarmente che molti aspiranti spettatori, spesso giovanissimi, rimanevano fuori. Allora perché non replicarla, ad esempio, nei due mesi successivi? Perché nessuno pensa ad un circuito regolare per i film del passato, per i classici? Perché la loro circolazione deve essere affidata solo ad eroici cineclub senza finanziamenti mandati avanti da cinefili volenterosi? Perché in Italia tutto ciò che è memoria finisce confinato in Eventi celebrativi pieni di retorica o in nicchie tanto degne di ammirazione quanto invisibili?

Questioni di vecchia data, che la recente Festa di Roma rende ancora più drammaticamente senza risposta. Molte sono le pecche organizzative di questa grande kermesse, ma indubbiamente si può dire che è stata un momento di grande vitalità che ha tirato su il morale a chi ama il cinema. In tempi di pessimismo, di presentimenti catastrofici piuttosto diffusi riguardo la settima arte, infatti, la Festa di Roma ha dimostrato che il cinema, se debitamente valorizzato, è ancora capace di aggregare, di attrarre grandi folle, di coagulare l’attenzione dei grandi media. Al palaromauno, un grande capannone tirato su in due giorni accanto all’auditorium, poteva capitare di vedere un film in compagnia di 2000 persone, principalmente spettatori paganti; in tali condizioni il valore del film che stai vedendo passa in secondo piano, ciò che conta è l’esperienza collettiva!

Quello che ci auguriamo è che un po’ dell’entusiasmo e dell’impegno, anche promozionale, profusi in questa grande manifestazione tutta all’insegna del grande evento, dell’eccezionalità, del clima festoso, vengano impiegati anche per valorizzare gli spazi culturali esistenti sul territorio, per rendere permanenti, normali, le iniziative legate al cinema, quello del passato come quello del presente. Sarebbe bello che un film di Bunuel o di Fellini, fosse come piazza Navona: quando uno ha voglia di rifarsi gli occhi, esce di casa e va a vederla…

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