Fantascienza domestica

LOCARNO 74

Espíritu sagrado, il primo lungometraggio di Chema Garcia Ibarra, è un film pacatamente inquietante e sicuramente una delle novità più originali e interessanti del concorso principale di Locarno. 

Il film inizia pacatamente con il primo piano di una bimba che legge il suo tema nella classe di catechismo; con zelo e serietà ci dice che i bambini handicappati sono più fortunati degli altri perché a nessuno verrà mai in mente di rapirli….

La bimba è Verónica- Vero (Llum Arqués), la piccola protagonista del film, la sorella gemella di Vanessa-Vane che è scomparsa un mese prima senza lasciare alcuna traccia. 

L’intelligenza della sceneggiatura sta nel darci di fatto, già dalle prime sequenze, sufficienti indizi per risolvere l’enigma della scomparsa della bimba ma, questi indizi e queste informazioni compaiono in modo fortuito e accessorio e si perdono nel flusso della vicenda senza lasciare nessuna traccia, proprio come il crimine che è stato perpetrato.

Con molta finezza Chema Ibarra riesce a farci scivolare nella credulità, esattamente come lo farà anche José Manuel (Nacho Fernández), lo zio delle due bimbe, nel film. 

La vicenda si svolge ad Elche, città di provincia della costa catalana e luogo di nascita del regista stesso, in un milieu popolare che viene descritto nel film con una precisione ed un’accuratezza documentaria. Sorprendente, già dalla prima inquadratura, è il tono placido della pellicola, la recitazione pacata e il ritmo quasi indolente con cui si susseguono gli eventi. Una cappa di rassegnazione avvolge i protagonisti di questa vicenda, filmata per lo più in piani fissi, che cercano speranza e rifugio dalla durezza della loro vita di tutti i giorni nell’universo dell’occulto e degli extraterrestri.

In quella che descrive come una pellicola di Fantascienza domestica Chema Ibarra riesce a captare e descrivere con una naturalezza sconcertante quella parte di stravaganza ed eccentricità che fa parte integrante del nostro quotidiano. Alla creazione di questa sensazione di straniante autenticità contribuisce in modo essenziale una galleria di attori non professionisti che indossano i loro ruoli come una seconda pelle e una fotografia accurata – il film e stato girato in 16 millimetri- che inonda di una luce diffusa e leggermente irreale l’ambiente.

La storia ruota intorno alla scomparsa della piccola Vane e alla descrizione del suo nucleo familiare: Charo (Joanna Valverde)  la giovane madre che alleva da sola con dignità le sue bimbe, lavorando, come molte altre donne del luogo, a cottimo per un calzaturificio locale, lo zio José Manuel, un uomo mite e bonario, gestore di un piccolo bar e membro entusiasta di un’associazione amatoriale di ufologia e la nonna  (Rocío Ibáñez), una donna elegante malata d’Alzheimer, un tempo la veggente più importante del luogo.

Mentre Charo, mesta e rassegnata, ha i due piedi per terra e cerca di andare avanti come meglio può fra il lavoro, la cura della sua bimba e qualche intervista alla televisione locale nella speranza di ritrovare l’altra figlia, José Manuel vive completamente perso nel suo mondo popolato da extra-terrestri sperando di venire addotto da loro un giorno.

Una volta alla settimana s’incontra con i suoi compagni dell’associazione ufologica Ovni Levante per scambiare informazioni sui messaggi degli extraterrestri ma quando il suo carismatico presidente, Julio-Esposito, muore improvvisamente José Manuel dove sostituirlo e la situazione inizia, pian, piano a precipitare. Come foglie sparse nel vento, vari individui inquietanti si aggirano intorno ai protagonisti; veggenti, ufologi, new age guru’s e un leight motiv allarmante affiora a più riprese nel corso della pellicola; è la figura dell’occhio. Che si tratti del ‘terzo occhio’ delle visioni esoteriche, o dell’ingiunzione della madre di Charo a stare attenta ai suoi occhi, o ancora della notizia sparsa da una vicina che in una remota clinica turca si strappano gli occhi a dei bambini rapiti.

Ma gli occhi sono anche e soprattutto quelli di chi guarda e non vede, o non vuole vedere, come il mite José Manuel che è convito di fare il bene mentre fa il male.

Come il meccanismo di un orologio svizzero in cui ogni piccolo pezzo s’incastra perfettamente con gli altri, in un incredibile aumento di tensione, sottolineato dalle note inquietanti della musica elettronica di Riechman, Chema Ibarra, riesce un finale esemplare. 

Leggendo i sottotitoli di una sequenza perfettamente silenziosa scopriremo l’amara realtà di questa vicenda che, in un modo assolutamente stupefacente ed inedito, riesce a mettere il dito su una delle più grandi piaghe della nostra società: il commercio di organi e la pedofilia.

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