Era il 1998 quando il regista indiano Shekhar Kapur si presentava nelle sale con il film Elisabeth su Elisabetta I Tudor, regina d’Inghilterra, figlia illegittima di Enrico VIII e Anna Bolena, che regnò nel suo paese per oltre quarant’anni (dal 1558 al 1603), segnando uno dei periodi storici più importanti e turbolenti della storia europea, attraversato da guerre di religione e conflitti dinastici tra le grandi nazioni europee. Già prima di Kapur diversi registi erano stati tentati dall’impresa di raccontare la vita, gli intrighi e le avventure di una tra le figure più affascinanti della storia e la stessa Cate Blanchett, che ne impersonava il ruolo, aveva da confrontarsi con le grandi attrici che prima di lei ne avevano indossato i panni: Sarah Bernard, Bette Davis, Glenda Jackson e Judi Dench. Se quel primo tentativo di Kapur, che raccontava la giovinezza e il travaglio della sovrana, tra vita personale e  responsabilità dell’investitura regale con il conseguente storico rifiuto dei numerosi pretendenti, sosteneva a fatica una critica discreta, nonostante l’impegno e il talento di Cate Blanchett, il sequel Elisabeth: the Golden Age, nelle sale in questi giorni, come accade quasi sempre nelle trilogie (tale è infatti il progetto, nella mente del regista), non fa che esaltare il fragile impianto culturale e cinematografico del film a favore di un’operazione commerciale da pubblico di massa.

Siamo alla fine del ‘500 ed Elisabetta si trova a dover contrastare la temibile Spagna di Filippo II che ordisce complotti e intrighi con l’appoggio della Chiesa di Roma, al fine di detronizzarla incoronando al suo posto la cattolica Maria Stuarda (regina di Scozia) e riportare l’Inghilterra protestante sotto l’ala del cattolicesimo. Falliti però gli attentati alla vita di Elisabetta e le congiure che porteranno all’esecuzione di Maria Stuarda, Filippo II muove la sua invicibile armada contro le coste inglesi. Siamo ad una delle battaglie navali più importanti della storia che vede l’Inghilterra più fragile sia da un punto di vista economico che militare. Eppure la stratega Elisabetta insieme ai coraggiosi ammiragli e agli abili consiglieri che la sostengono avranno ancora una volta la meglio, aprendo all’Inghilterra un periodo di pace e prosperità dai cui seminascerà una delle nazioni più potenti d’Europa e del mondo. Questi i fatti storici che Shekar Kapur racconta intervallandoli con la vita privata della regina (la relazione con Sir Walter Raleigh, il travaglio personale della donna che rinuncia ad una vita privata per il regno, la paura e l’esaltazione del potere) in un traballante alternarsi di umano e storico, privato e pubblico che già caratterizzava il film del 1998. E nonostante Kapur tenti di mantenere un equilibrio, l’effetto è di non realizzare seriamente né l’uno né l’altro. Tante sono infatti le falle da un punto di vista storico: in primo luogo l’età di Elisabetta. Nonostante il fascino e la bravura immutate dalla prima prova di Cate Blanchett, l’età di Elisabetta all’epoca dei fatti narrati si avvicinava alla sessantina: niente di più lontano dalla rappresentazione cinematografica di un’Elisabetta inalterata nel fascino muliebre, sebbene androgino, ancora alle prese con isterie emotive, innamoramenti adolescenziali e capricci uterini che proprio non hanno nulla a che vedere con Elisabetta I Tudor. Inaccettabile è poi la banalizzazione storica dell’opposizione Spagna-Inghilterra ridotta ad un ridicolo conflitto oscurantismo-libertà con una rappresentazione di Filippo II a dir poco comica. Impersonato dal pur grande Jordi Mollà, il sovrano appare come un esaltato che si aggira in chiese e palazzi alla luce di candele accompagnato da litanie liturgiche, in attesa di spazzare via il libero pensiero in Europa mentre sua figlia, la piccola Isabella, gioca piantando spilloni nel corpo di una bambola raffigurante la regina inglese. Anche Maria Stuarda, nota per il sovraffollamento del proprio letto, è invece mostrata sempre inginocchiata in preghiera, anche lei circondata di moccoli liturgici e vestita di nero a sottolineare in modo piuttosto elementare la dicotomia tra mondo protestante e cattolico, luce e tenebre, libertà e schiavitù al dogma, tralasciando tutta la complessità storica, politica, economica e culturale dei fatti storici narrati. Anche la relazione tra Elisabetta e Sir Walter Raleigh (un Clive Owen che somiglia poco al dandy che l’iconografia d’epoca ci ha consegnato e molto ad un pirata piacente) è forzata da Kapur a dare un taglio da soap-opera alla narrazione. Spazzato via ogni ritegno storico a favore dell’emotività di un pubblico poco colto, la regina spinge nelle braccia di Raleigh la sua dama Bess, salvo poi infuriarsi in modo poco aristocratico quando la ragazza incinta lo sposerà di nascosto e per giunta con rito cattolico. E qui sequenze esilaranti mostrano Elisabetta I Tudor simile a una zitella isterica che fa scene di gelosia come una cameriera mostrando i propri sentimenti, pensieri ed inquietudini quando non addirittura consultando l’oroscopo di un barbuto Branko dell’epoca per i suoi fatti privati. Film commerciale Elizabeth: the Golden Age ha una sua imponenza digitale nelle scene di battaglia, quasi kitsch nella banalità di croci e ostensori che precipitano in fondo all’oceano, quando la flotta inglese sbaraglia quella spagnola, mentre un cavallo bianco (simbolo sfruttato di libertà) nuota nel mare rosso e nero di morti e fuoco.

Si potrebbe dire che il pregio di simili film è di avvicinare il pubblico di massa ad eventi storici altrimenti sconosciuti, di far riflettere sul senso del potere, di riportare epoche dimenticate e travagli interiori poco noti al mondo rampante ed emotivamente appiattito dei laureati CEPU, ma è anche vero che una domanda si affaccia: perché appiattire il livello culturale e percettivo assecondando l’ondata commerciale per avvicinare un pubblico distratto (mi viene in mente la riforma dell’università italiana…), piuttosto che stimolare la sensibilità sopita con prodotti di qualità? Perché la tecnologia, il digitale devono sempre essere asserviti alla pseudo-cultura del tutto e subito e non diventare invece veicoli che stimolano una vera conoscenza, un’autentica consapevolezza, un’emotività veramente umana e non impulsi lacrimevoli da disperati spettatori dell’Isola dei Famosi? Un’ultima osservazione da riservare alla colonna sonora: un tormentone tonante di musica corale eroica ad accompagnare le gesta di questa Elisabetta più simile ad una garibaldina che ad una sovrana inglese, mentre con un manto fluente di lunghi capelli, in una lucente armatura da guerra, arringa i suoi soldati alla vittoria. Insomma: sonoro in primo piano, scenografie digitali, bravi gli attori ma chi ha visto i consulenti storici?

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2 commenti su “Elisabeth: the Golden Age

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