Da domani mi alzo tardi racconta una storia d’amore e può essere apprezzato e letto anche senza conoscere Massimo Troisi, coprotagonista della narrazione insieme ad Anna Pavignano, autrice e personaggio del suo stesso libro.

Il nome di Anna Pavignano, a meno che non si faccia parte del mondo dello spettacolo o non si sia attenti ai titoli dei film, non appare particolarmente noto, nonostante sia stata la cosceneggiatrice di tutti i film di Massimo Troisi, oltre che di altri registi come Alessandro D’Alatri e Davide Ferrario, per esempio. Come “romanziera”, Da domani mi alzo tardi è la sua prima opera.

La tua attività è stata legata a lungo al nome di Massimo che, anche senza volerlo, ha eclissato la tua figura e quella di molti suoi collaboratori. Un personaggio con una personalità così forte che diventa famoso, che è bravo, finisce sempre con l’oscurare chi gli sta vicino, non volontariamente… E dunque chi è Anna Pavignano?

Lavorativamente finché c’è stato Massimo sono rimasta legata a lui, anche perché è molto difficile trovare un rapporto di sintonia profonda tra chi scrive e noi eravamo una coppia di sceneggiatori collaudata. Per forza di cose avevo un’esclusiva con lui…Dopo c’è stato Alessandro D’Alatri, con cui abbiamo scritto Caso mai: è stata anche quella un’esperienza bella di lavoro, diversa rispetto a quella avuta con Massimo. Con lui c’era un metodo di presenza continua l’uno all’altro, situazione descritta poi nel libro: dovevamo scrivere un nuovo film e prendevamo una casa insieme, chiacchierevamo continuamente alla ricerca di un’idea… Era così che lavoravamo. Con Alessandro è stato un lavoro più dinamico. Era anche una fase diversa della mia vita, non ci sarebbe stato il tempo per il  “romanticismo” dal punto di vista professionale. C’era comunque uno scambio continuo, via mail, scrivevo una parte del film, lui ci lavorava e la rispediva a me… Così fino alla stesura di tutta la sceneggiatura che è stata da subito la versione definitiva.

Quanto vi avete lavorato?

Un tempo abbastanza lungo per una sceneggiatura: un anno. Dall’idea iniziale alla versione definitiva. Poi ho lavorato anche con altri sceneggiatori. Prima di Da domani mi alzo tardi ho scritto un libro per bambini Il prode Matteo con il sottotitolo “Che l’amor rese babbeo”. Era una favola che raccontavo sempre a mio figlio Alessio, ma spesso non la ricordavo e i bambini vogliono sempre il racconto della sera precedente, così quando gli ho confessato di non ricordarla mi ha detto: “E perché non te la scrivi? Così te la ricordi”. Da lì è nata l’idea di scrivere una storia per bambini.

Ho lavorato poi con Luciana Littizzetto ed è stata ancora un’altra esperienza, con un ulteriore metodo di lavoro, perché eravamo in due città diverse, lei a Torino ed io a Roma. Ma c’è stata da subito una bella sintonia, forse perché siamo entrambe torinesi. Ci siamo trovate sul senso dell’ironia e della comicità. Lei è una donna molto intelligente e che, pur essendo famosa, ha mantenuto un senso della normalità veramente piacevole. Abbiamo scritto un film Se devo essere sincera per la regia di Davide Ferrario.

Nei film di Massimo ho sempre notato la tua impronta nell’elaborazione di tutti i personaggi e delle situazioni che gravitavano intorno a quello interpretato da Massimo. Forse era anche giusto, considerata la sua preoccupazione per la regia e per il personaggio da lui interpretato. Come creavate una sceneggiatura?

Era comunque un lavoro fatto in collaborazione, poi potevano esserci situazioni più congeniali a uno dei due. Parlavamo molto, partivamo da un tema che ci piaceva e cercavamo nella mente, nelle esperienze vissute, nelle storie che altri avevano raccontato e che potevano aver colpito, leggevamo libri… Per esempio io ho studiato psicologia e un aspetto che mi piaceva molto era il taglio psicologico dei personaggi: se ce n’era uno con un tic o con una problematica andavo a studiare i testi che affrontavano quell’aspetto. Dalla patologia riportata sui libri passavamo a mitigarla nel racconto di un personaggio. Ne Le vie del Signore sono finite c’è proprio un’impostazione che parte dai libri di Groddeck (psicoanalista tedesco, è considerato il fondatore della medicina psicosomatica, ndr) che di fatto era uno che scriveva continuamente a Freud per informarlo dei suoi studi. Il personaggio dello psicologo del film è ispirato a lui. Groddeck ha scritto per tutta la vita a Freud e lui non gli ha mai risposto: abbiamo ripreso questa cosa e l’abbiamo resa comica nel film. Abbiamo ambientato il film in quell’epoca perchè all’inizio il malato doveva essere un malato vero, poi in un secondo tempo non ci piaceva più quell’idea e allora l’abbiamo reso psicosomatico decidendo di ambientare il film nell’epoca in cui cominciava la medicina psicosomatica.

I tuoi progetti in corso?

Sono in una fase di ricerca, soprattutto dentro me stessa. Idee ce ne sono anche per libri futuri, ma per il momento sono a riposo: ho lavorato molto per questo libro. Sto riflettendo, ho delle storie e vedrò su cosa scrivere. Mi piacerebbe comunque riuscire a fare un film da questo libro. Ho visto un attore spagnolo che potrebbe interpretare Massimo, ma non c’è ancora nulla di “pratico” è solo un’idea. C’è la potenzialità di un film…

Effettivamente leggendo il libro, si viene catturati dal personaggio di Massimo, anche trascurando il fatto che si tratti di Massimo Troisi. Potrebbe essere un personaggio da film… La storia raccontata nel film sarebbe godibile anche se non pensi a lui…

Infatti si potrebbe girare il racconto di una storia d’amore e basta…

troisi

Tu sei stata per molti anni anche compagna di vita di Massimo: questo percorso intimo è parte del romanzo, dove hai affrontato anche temi un po’ scomodi, come il tradimento. Durante la lettura di quei tradimenti e del loro svolgimento viene rabbia, soprattutto se si è donna, ma come hai fatto!? (si comincia a ridere in complicità) Bella anche la parte in cui pensi di prenderlo a pugni mentre dorme…

Bèh (ridendo), ma io ho fatto lunghi anni di analisi che mi hanno molto aiutata!!!

Scrivendo, si “spettacolarizzano” gli avvenimenti: magari le cose non sono andate proprio così come le ho raccontate …

Sì è vero che è stato un rapporto per certe aspetti difficile, però era basato su presupposti che adesso non ci sono più. Avevamo una mentalità che
nasceva negli anni ’70 e che partiva dall’idea che in amore non esiste il possesso dell’altra persona. Devi cercare uno scambio che non sia limitante per l’altro: in parte sono belle parole impraticabili, ma sono anche un presupposto affinché i rapporti siano meno soffocanti di come sono normalmente. Noi negli anni ’70 siamo stati onesti e questa storia non è l’unica che si potrebbe raccontare. E’ un argomento di cui abbiamo parlato con Alessandro D’Altri, siamo infatti coetanei. Era una sofferenza vissuta in quegli anni, in cui effettivamente arrivavi in una casa, ad una festa per esempio, (ma non sto parlando di Massimo), e c’era il tuo fidanzato o la tua fidanzata che si stava baciando con un altro e tu dovevi fare finta di niente perché sennò eri un cretino ed eri costretto a dire: “Che sarà mai… la gelosia? Ma no, è così borghese!”

E infatti questo ritorna in Ricomincio da tre

Sì, è stato un tema di Ricomincio da tre e noi siamo stati degli irriducibili rispetto a questa cosa. Perché molte persone o si sono arrese ammettendo la propria gelosia oppure hanno riscontrato l’impraticabilità della teoria. Noi siamo andati avanti come estremisti…

Fino a oltre gli anni ’70…

Fino alla consunzione totale! (ridendo)

C’è una pagina molto bella su Pasolini nel libro: affidi a un dialogo tra te e Massimo una riflessione sul ruolo dell’artista moderno e dell’intellettuale nella situazione attuale. Sono aspetti che hai elaborato o che hai riportato?

Non c’è nulla di riportato. Qualche frase su Pasolini forse viene da una sua intervista perché tempo fa avevo composto una specie di monologo, basato sulla raccolta di una serie di interviste che avevo messo insieme come fosse un suo discorso. Quindi probabilmente qualche frase mi è rimasta in testa da quella esperienza, ma scrivendo il libro non ho consultato niente di scritto. Era tutto dentro la mia memoria. Mi ha stupita il fatto che nella memoria ci sia molto di più di quello che crediamo. Generalmente ricordo poco dei nomi o delle date, ma ricordo molto i fatti, i dialoghi, i concetti.

E mi sono resa conto di avere nella memoria tutta la mia vita passata, in particolare quella con Massimo, perché sono andata a rievocare quel pezzo.

Noi abbiamo la sensazione che la memoria conservi delle sintesi e invece scrivendo questo libro ho avuto la sensazione che la memoria non si limiti a conservare la sintesi: se si va a scavare puoi riavere il film in tempo reale della vita passata. E piano piano ricordi tutto, se entri in questo stato di ricordo legato alla creatività, uno stato di coscienza diverso, in realtà ti stupisci di quanti particolari riesci a ricordare, di come non dimentichi le atmosfere. Ritrovi i discorsi nella testa ed è un po’ come riascoltarli. Ricostruire ad esempio il modo di parlare di Massimo… Anche in quel caso ci sono pochissime frasi prese da una nota o da un film, sono tutte come presenti, come se io le avessi riscritte conservandole dentro e quindi avevo dentro di me anche il suo modo di parlare. Ho avuto così la possibilità di fargli dire delle cose che non ha mai detto, però con il suo modo di dirle, con la costruzione delle frasi, la scelta delle parole che avrebbe usato lui.

pasolini e l'intellettuale

La pagina su Pasolini riesce a cogliere in pieno anche l’attuale momento sociale e culturale. Qual è la tua impressione sulla situazione italiana? Pasolini nelle tue pagine ci riporta all’impegno sociale e politico degli intellettuali. Anna cosa pensa?

Che ti devo dire… La vedo un po’ difficile…(alzando gli occhi al cielo), soprattutto la situazione “pratica”…

E’ difficile avere la possibilità di realizzare dei prodotti che abbiano un valore artistico e contemporaneamente siano interessanti per il pubblico, perché ci sono una miriade di problemi che vanno dalla legge sul cinema agli investimenti che non ci sono, fino ad una serie di problemi che non sto qui a riportarti. Invidio molto quei colleghi che dicono “se si facesse”… Io non lo so, questo genere di commenti mi sembrano simili a quelli della domenica in cui tutti sapevano come andava giocata una partita persa. Io non credo di avere i parametri per capire, ad esempio, i meccanismi dell’industria cinematografica. Quello che io so è che in Italia ci sono le caratteristiche artistiche per fare dei prodotti belli. Io credo che il talento ci sia, ma non siamo in un momento culturale in cui c’è una fioritura di talenti. Lo vediamo anche nella musica, vero che io sono rimasta legata ai modelli culturali di quand’ero ragazza, però è anche vero che la generazione dei cantautori come De Andrè, Guccini, persone che facevano poesia con la musica, non è stata sostituita. E quella fioritura di commedie che c’è stata negli anni ’80, da Moretti a Massimo, Verdone, in questo momento non c’è. Però comunque dei prodotti isolati che hanno un grande valore penso che ci siano ma non chiedermeli perché non ricordo mai i nomi!

Se oggi dovessi scrivere un film con Massimo, dopo le nomination all’Oscar per Il Postino, quale credi potrebbe essere il soggetto adatto?

In questo caso non ho nulla nella memoria e potrebbe essere un’idea soltanto mia… Ma credo che un soggetto che a Massimo sarebbe piaciuto è quello delle morti bianche sul lavoro, per esempio.

Secondo me potrebbe esserci un personaggio che fa un lavoro duro e che vive queste situazioni tragiche legate al mondo del lavoro, che è sempre più precario, doloroso. Anche questo serpeggiare di povertà unita a questo apparente benessere che continua e non si sa su quali basi possa fondarsi. Queste sono tematiche che a Massimo sarebbero interessate.

Passando per la “dolcezza” della comicità…

Sì, sicuramente o forse lui avrebbe voluto fare per una volta un film che non usasse la comicità. Non necessariamente un film tragico, ma duro, che esprimesse il senso della durezza dell’esistenza, però non so dirti se sono io che me lo immaginerei bene in un ruolo di un padre di famiglia cinquantenne (lui adesso avrebbe più di 50 anni) che resta senza lavoro… magari poi dico una banalità…

Però tu lo faresti un film così su questo tema…

Sì, sì, magari ora lo sto “appioppando” a lui e magari è solo un mio desiderio. Mi vengono in mente tutti i campi che non abbiamo esplorato insieme, quello dei viaggi, la conoscenza di altre culture, gli scontri tra le diverse culture, la convivenza. L’attuale realtà di convivenza con gli immigrati Massimo non l’ha mai vissuta, in maniera così netta. In qualche modo il napoletano che va al nord era quello, sembrava molto forte il contrasto allora, la cultura del nord contro quella del sud, adesso è presente un contrasto molto più esasperato con gli immigrati e forse questa esasperazione offrirebbe degli spunti drammatici e
comici ancora più forti e dunque anche questo potrebbe essere un aspetto che gli sarebbe piaciuto affrontare…

Comunque vale sempre il ruolo di esploratore della realtà, in questo senso vi sareste riallacciati al discorso fatto all’interno del libro sulla “missione” che Pasolini attribuiva agli intellettuali…

Sì questo è un concetto molto importante: assumere un ruolo non di guida, ma un ruolo che si occupi di cose di cui la gente comune non può occuparsi perché impegnata nella sopravvivenza quotidiana. Il ruolo di fare qualcosa per queste persone, di dare dei suggerimenti, perché come intellettuale, diciamo così anche se il temine andrebbe spiegato, non hai di questi problemi pratici. Certo se vista l’attuale situazione anche l’intellettuale è in difficoltà, tragicamente, c’è il rischio che non si possa più vivere di pensiero e di creatività.

Una domanda alla donna moderna: che cos’è che t’è piaciuto di più del tuo libro e cosa avresti voluto rivedere?

Io non l’ho più letto da quando l’ho finito, forse rileggendolo troverei delle cose che mi piacciono di più o di meno. Le cose che mi piacciono di più sono gli aspetti che riguardano il suo ritorno e la parte più inventata, questo stare io e lui in una casa è la parte che lascia più spazio alla scrittura creativa, alla narrazione, senza essere vincolati a un minimo di credibilità che un romanzo come questo deve avere, un romanzo che racconta di una persona che è esistita. Sono le parti in cui ho potuto giocare di più con la finzione. Poi ci sono stati momenti in cui non mi piaceva niente e volevo buttare via tutto, ma questo capita a tutti quelli che scrivono o creano qualcosa che poi prende a camminare con le sue gambe.

Ci sono delle pagine de “Il giovane Holden” in cui lui esprime un desiderio: quello di poter chiamare gli autori dei libri che più gli sono piaciuti per stare al telefono con loro. Leggendo il tuo libro questo sentimento di nostalgia del lettore può essere addirittura più intenso pensando   a Massimo. Tu cosa aggiungeresti rispondendo ad un lettore che ti chiama e che ancora sta lì con i tuoi personaggi?

Io non vorrei aggiungere niente perché ho sentito che finiva questo libro. Se avessi fatto un lavoro solo di ricerca della memoria, poteva essere un romanzo che non finiva mai, nel senso che i ricordi sono tantissimi. E’ come se in un certo punto del racconto avessi avuto la sensazione che questa storia aveva fatto il suo percorso, anche se quando ho iniziato a scrivere non sapevo dove sarei arrivata, non avevo una scaletta davanti a me. Avevo un’idea di un percorso, ma sono andata incontro all’onda di quello che mi veniva come se comunque srotolassi un filo, soprattutto nella prima stesura.

Com’è nata l’idea?

Non penso sappia nessuno come nasce l’idea di un romanzo. C’era da un po’ l’idea di scrivere qualcosa su Massimo. Dopo la sua morte in molti mi hanno chiesto perché non avessi scritto niente io che di lavoro scrivo, ma pensavo che dovesse passare del tempo e mi dicevo: “Forse tra dieci anni”, ma dopo questo tempo non mi veniva nulla e non me ne preoccupavo. E poi un giorno, ero al ristorante con Gaetano (Gaetano Daniele, amico e produttore di Massimo Troisi, ndr), e chiacchierando, parlando con lui ci siamo detti: “Certo se ci fosse Massimo adesso…”. E da lì è scattato! E quando le idee ti vengono è come se si squarciasse un velo e puoi vedere che c’erano, solo che erano chiuse, ed è stato come se si fosse aperta una porta. Poi con grande fatica ho messo ordine, era tutto “arravogliato”, come si dice, era tutto da dipanare, da tirare fuori.

Hai incontrato ostacoli nello scrivere questo libro?

L’ostacolo principale è stata la credibilità, temevo che questa idea di rendere Massimo vivo potesse risultare non credibile. La difficoltà era nella parte che si svolge ai giorni d’oggi, fargli fare delle cose che fossero adatte a lui e che non fossero delle esagerazioni. Se mi fossi inventata imprese eccezionali sarebbe stato finto, prima di arrivare a descrivere un quotidiano nella dimensione attuale vi ho messo un po’ di tempo…

Nella lettura del libro irrazionalmente si ristabilisce la familiarità di sempre con Massimo, quindi ci sei riuscita…

In realtà credo che questa idea faccia parte dell’immaginario che è legato ad una persona che non c’è più. Io penso che il fatto di chiedersi come sarebbe adesso accada sempre nei confronti dei nostri cari che sono morti, anche nei confronti di un padre o una madre che ti sono mancati quando eri giovane, ti chiedi come sarebbero stati da vecchi. Quindi è logico pensare a un uomo morto da giovane: ti verrebbe da pensare come sarebbe stato oggi, lui non li ha mai avuti 50 anni, è sempre stato ragazzo, ed è difficile immaginarlo uomo maturo o il fatto di immaginarlo con i suoi figli… mi commuove.

Lasciamo spazio al ricordo che affiora ancora in Anna e che le fa rivivere un dolore da noi condiviso, ma non in tutta la sua profondità. La sua storia è stata affrontata in questo libro che ci regala ancora “un contatto” con Massimo Troisi. Anna pensa di aver scritto un libro, per noi è un regalo, una pagina intima su Massimo e su quello che ci sarebbe piaciuto fosse oggi, una conoscenza delle sue sfumature personali, lontano dai media e rassicurato dall’ intimità degli affetti. Lui ne sarebbe stato ancora una volta fiero.     

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One thought on “Da domani mi alzo tardi. Troisi, l’uomo di Anna.

  1. Anna sei dolcissima, adatta a Massimo, è stato bellissimo leggere Massimo attraverso la tua vita, grazie

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