QUINZAINE DES REALISATEURS

Retours à Reims. Fragments di Jean-Gabriel Périot

Retours à Reims. Fragments di Jean-Gabriel Périot è un vero tour de force che ci trascina con la foga delle sue immagini e la forza delle sue parole nel fiume del tempo e della storia. Attraverso il racconto di una saga famigliare che inizia agli albori del secolo scorso per portarci fino all’oggi ,Jean-Gabriel Périot interroga lo stato della società.

Teatro di quest’avventura epocale è la Francia; la Francia rurale, operaia, la Francia della campagna, dei ghetti popolari, della grande città stretta in uno iato perenne d’ingiustizia sociale ma anche d’ingiustizia legata al genere.

Essere donna è sempre stato sinonimo della necessità di una lotta ulteriore all’interno della propria classe sociale. Rivisitando l’omonimo libro di Didier Eribon, Jean-Gabriel Périot ce ne presenta dei ‘frammenti’ scegliendo di mettere le donne di questo racconto in primo piano. La narrazione, affidata alla voce in off della nipote –  una testimone che parla dal presente- ritraccia le vicende di sua nonna e poi di sua madre nel contesto di una realtà che, pur sembrando in costante mutazione, ripresenta uno stesso modello di sopraffazione di genere e di classe.

Il lavoro svolto nella ricerca degli archivi è impressionante. Il modo in cui Jean-Gabriel Périot riesce ad associarequesta moltitudine d’immagini e di testimonianze lungo il filo rosso del suo racconto, illustra perfettamente le tensioni, le lotte i punti di vista e i moti della società francese negli ultimi cento anni della sua storia creando molteplici rimandi e connessioni inattese. Monumentale, Retours à Reims. Fragments è un film necessarioalla comprensione della nostra società, un film che, senza essere apertamente militante, è profondamente politico nella sua riflessione sul nostro vivere in un mondo che dovrebbe appartenere a tutti, a pari diritti.

La conversazione che segue ha avuto luogo in sala dopo la proiezione stampa del film.

Vorrei iniziare con una domanda introduttiva; come ti sei imbattuto nel testo di Didier Eribon Retour à Reims? Qual è il tuo rapporto con questo testo e perché hai voluto fare un film partendo da questo testo?

Jean-Gabriel Périot : Avevo letto Retour à Reims un po’ dopo l’uscita del libro ma, in ogni caso, non avevo l’idea di farne un film a quel momento. È stata Marie-Ange Luciani, la produttrice, che non conoscevo ancora all’epoca, a chiamarmi un giorno e a propormi di adattare questo libro utilizzando dei materiali d’archivio. Così ho riletto il libro prima di andare alla riunione e improvvisamente mi sono resoconto che c’erano molte cose in questo libro che mi interpellavano personalmente. Immaginando che Retour à Reims potesse essere adattato per lo schermo, ho ovviamente cambiato il mio modo di leggerlo e ho capito che potevo proiettarvi molte, molte cose. Il primo aspetto, forse quello più ovvio anche se è il meno evidente nel film, è quello della mia vita personale che è molto simile a quella di Didier Eribon. Questa lettura mi ha permesso di rivisitare la mia stessa esistenza. Grazie all’archivio ho avuto la possibilità di riportare sullo schermo i volti e le voci della mia gente; volti e voci che sono sempre stati mostrati troppo poco. Adattare questo libro mi ha permesso di fare rivivere queste voci. Il secondo aspetto era la possibilità, attraverso certe pagine del libro, di riproporre una storia politica della Francia in un momento in cui abbiamo veramente bisogno di parlare di politica. Per me è stata l’occasione per fare un bilancio epocale e per rivisitare la storia politica e sociale del XXᵉ secolo, interrogandomi su ciò che ne rimane o sul come questo percorso storico agisce ancora sull’oggi.

Vorrei sapere da Adèle Haenel – la voce off di Retour è Reims– qual’è stato il tuo approccio di questi testi? Come sei riuscita a trovare il tono di voce giusto che sentiamo nel film ?

Adèle Haenel: Mi sembra importante dire che ciò mi ha portato a fare il film è stato proprio il testo che mi è stato consigliato dalla produttrice Marie-Ange Luciani, che ha un posto centrale in questo progetto. Avevo inoltre visto Une jeunesse allemande, il penultimo film di Jean-Gabriel Périot, che mi era piaciuto molto, e certamente questo fatto mi ha spinto a partecipare.

Per quanto riguarda la mia partecipazione al film devo ammettere che all’inizio avevo completamente sottovalutato la quantità di lavoro che avrei dovuto fare per rendere con giustezza la voce off della pellicola! La questione era come trasmettere un punto di vista attraverso la lettura. Le voci delle persone che si sentono dal vivo dovevano essere il più possibile udibili, quindi si trattava per me di mantenere un tono abbastanza leggero nella locuzione. Il film presenta nella sua prima parte vari tentativi individuali di resistere a un’oppressione collettiva; così vedremo nei vari membri della famiglia della protagonista dei tipi di risposta abbastanza diversi; per esempio, la nonna lascerà tutto per cercare di vivere delle nuove esperienze mentre il nonno lavorerà ancora di più. Questo è precisamente quello che abbiamo cercato di mostrare nella prima parte del film. La questione fondamentale è quella delle alleanze, cioè su quali basi le persone saranno portate a identificarsi con un gruppo politico piuttosto che con un altro

Vorrei chiedere a Jean-Gabriel Périot se hai registrato prima la voce e poi hai cercato di associare le immagini o è stato il contrario? Il film si chiama Retour à Reims. Framgments. Come hai identificato e scelto i “frammenti” del testo che presenti nel tuo adattamento cinematografico?

Jean-Gabriel Périot: Per quanto riguarda la ricomposizione del testo, mi prendo la piena responsabilità! Ho tracciato una linea precisa. La grande qualità del libro, il piacere nel leggerlo è il suo aspetto molto caleidoscopico nel tempo, nei temi che tratta, nei suoi molteplici personaggi. Non sarebbe stato impossibile rendere questo aspetto del libro sullo schermo ma questa non era la mia scelta. La mia decisione è stata piuttosto quella di tracciare una linea chiara nel libro e di fare delle scelte legate principalmente alla figura della madre e di raccontare questa storia principalmente attraverso il suo personaggio. 

Prima della registrazione avevo lavorato con una voce bianca perché il testo era ovviamente troppo lungo e il gioco dell’editing consisteva nel trovare degli archivi che mi permettessero di scegliere dei frammenti di testo. Così, man mano che il primo montaggio procedeva, il testo veniva ridotto in modo da trovare la sua omogeneità in relazione ai diversi frammenti d’archivio. L’ultima tappa della registrazione è stata con la voce di Adèle. È stato interessante seguire tutto questo cammino. Per me era la prima volta che registravo una voce fuori campo, quindi stavo scoprendo questo processo. Ci siamo resi conto sentendo la prima versione della voce in off di Adèle che c’erano delle parole che davano fastidio, sulle quali la narrazione ‘inciampava’ non perché fossero difficili per l’elocuzione ma perché erano superflue.

Così abbiamo fatto alcuni cambiamenti di scrittura al momento della registrazione. Non abbiamo toccato i frammenti, ma abbiamo fatto un po’ di lavoro ‘impressionista’ all’interno del testo per renderlo più facile da dire e più comprensibile. A volte le frasi erano lunghe tre righe, di tanto in tanto dovevamo per forza intervenire!

Adèle Haenel: Nel marzo del 2001 eravamo l’inizio della pandemia quindi quello che avremmo dovuto registrare nel giro di due giorni ha finito per richiedere un mese di lavoro! Ma io imparato molto da questo esercizio di enunciazione. Quando si parla di pregiudizi bisogna rendersi conto che i pregiudizi si trovano già nel modo in cui s’imposta una voce, nella sua tonalità. Per esempio, quando nel film si parla della nonna che abbandona i quattro bambini per vivere la sua vita ci sono due possibilità: o la condanniamo tout court o diciamo che il tentativo di una persona di liberarsi da tutte costrizioni che la società le impone in quanto donna e non la condanniamo, né la giudichiamo per questo. In questo caso la voce può lasciare trasparire un leggero pregiudizio o meno; quest’esempio illustra ai miei occhi un po’ quello che intendo quando parlo della messa in scena della voce.

Nella tua ricerca per il film hai consultato gli archivi di diverse epoche. In un’opera come la tua che interroga il potere della rappresentazione, volevo sapere che tipo di materiale hai trovato e quale è stata la tua analisi sull’evoluzione stessa del materiale e dei soggetti che hai incontrato. C’è un’enorme differenza, per esempio, tra la rappresentazione della classe operaia nella prima parte del film e nell’ultima. A partire dagli anni ’80 in particolare, si crea una sorta di iato, ho l’impressione.

Jean-Gabriel Périot: Quando si passano in rassegna i materiali di questo film, ci si confronta di fatto alla storia della rappresentazione di un soggetto, quello della lotte di classe.  Il film  conferma di fatto delle cose che già sappiamo sulla sotto-rappresentazione della classe operaia nelle immagini in generale o nello spazio pubblico e quindi nelle rappresentazioni del cinema e della televisione. Detto questo bisogna constatare due cose che accadono in parallelo; fino agli anni ’60 o ’70 c’erano dei tentativi di produrre un cinema sociale e politico,  anche alla televisione dove lavoravano registi comunisti che producevano dei soggetti sulla gente comune. Fino alla prima metà degli anni settanta quindi c’era una moltiplicazione di punti di vista. Alcuni di questi registi, come dicevo prima, provenivano sociologicamente parlando dal gruppo stesso di cui ci offrivano delle rappresentazioni. Tutto questo cambia alla fine degli anni ’70 e negli anni ’80 quando la televisione diventa la televisione di oggi, una televisione molto veloce e sommaria in cui, quando le persone presentate provengono dalle cosiddette delle classi popolari, l’immagine che si da di loro è dell’ordine della piccola caricatura quando si tratta di pura derisione. È molto interessante; nel cinema degli anni 80, il lavoro non esiste! Mi fermo qui. Più tardi, negli anni 90, il lavoro è tornato, ma nelle condizioni del cinema, cioè nella stragrande maggioranza dei casi, non c’erano più controvoci, era la rappresentazione dei lavoratori da parte di una classe borghese senza contrappunto.

 È quello che ci manca oggi e dagli anni 90 in poi, è il contrappunto. Questo contrappunto si troverà solo nei documentari impegnati, in espressioni che rimangono in minoranza. Ciò che è interessante sono i soggetti che non sono rappresentati; la donna delle pulizie non esiste! Ho visto film con cameriere, ce ne sono tanti, ma la cameriera non è rappresentata. Inoltre, fino agli anni ’80, tutto ciò che riguarda la sessualità femminile e la gestione dei bambini non esisteva in Francia. Ci sono sempre dei controesempi, naturalmente, ma bisogna cercarli lontano!

 Qual è il tuo rapporto con il film L’époque di Mathieu Barrère che citi ampiamente nell’epilogo. È qualcosa che c’era fin dall’inizio del progetto?

Jean-Gabriel Périot: Quando sono arrivato alla parte contemporanea del progetto, volevo davvero essere molto, molto contemporaneo e L’époque mi sembra uno dei film più adatti a questo progetto, per raccontare la politica di oggi. Questo film ha una qualità che mi piace molto, cioè il fatto di non aver paura di moltiplicare le voci, di entrare in spazi di contraddizioni, di mostrare persone con cui non si è necessariamente d’accordo evitando di chiudersi nel proprio punto di vista. Trovo che L’époque porta questo, porta le parole della periferia e tutto ciò che riprendo nel film.

 Eri in contatto con Didier Eribon durante la realizzazione del film o dopo?

Jean-Gabriel Périot: Didier è stato ovviamente coinvolto nel progetto molto rapidamente. Non so quanto avrei potuto accettare una collaborazione con Didier in termini di scrittura, perché non so come si co-scrive un film, nemmeno con l’autore. Mi piaceva la libertà di prendere il suo testo e darlo a modo mio. Il bello è stato che ha detto spontaneamente che non voleva intervenire nel testo. Credo che A German Youth gli fosse piaciuto molto e questo lo rendeva molto fiducioso. Penso, dalle discussioni che ho avuto con lui, che questo testo fosse troppo intimo per lui. Credo, dalle discussioni che ho avuto con lui, che questo testo fosse troppo intimo per lui, e che fosse problematico per lui affrontarlo. Ovviamente gli ho mandato subito la versione cartacea del testo, perché le scelte che ho fatto sono state radicali, cioè l’ho eliminato dal mio adattamento del suo libro. In seguito ha visto il taglio due volte prima della registrazione e, una volta finito, la versione finale. Ma sono stato quasi io a insistere perché vedesse il film, perché lo convalidasse. Ho tagliato così tanto che ero un po’ spaventato.

 Il tuo adattamento del libro è, come hai detto, molto radicale.  Elimini completamente dalla tua versione la questione dell’omosessualità che è centrale nel libro di Didier Eribon. Perché?

Jean-Gabriel Péri Ci sono due risposte che sono legate alla scelta che ho fatto: dal momento in cui mantengo la madre e la propria famiglia, il marito, come filo rosso, e tolgo Didier, tolgo quello dei personaggi che porta la questione dell’omosessualità nel libro, nel suo testo stesso, così come tolgo tutti i soggetti legati alla scomparsa di Didier, il disertore di classe, per concentrarmi sulla storia sociale e politica della classe operaia, che era la mia linea rossa. Il prezzo era quello di rimuovere il resto. La seconda risposta è legata a quello che ho detto all’inizio sulle scelte di adattamento, sul perché sto facendo questo film. In ogni caso, per me è molto difficile parlare della mia vita e della mia intimità, quindi lo faccio bypassando. In questo film ho voluto riportare le voci che sono quelle intorno a me; la mia famiglia, le persone della mia classe e il libro mi ha permesso di farlo. D’altra parte, quello che non volevo era che io apparissi nel film. Se avessi messo Didier dentro il testo, la voce di Didier avrebbe dato la voce dell’autore del film, cioè la mia storia di disertore di classe, la mia storia di omosessualità. Non voglio condividere la mia intimità in un film, e comunque non in questo, mentre l’omosessualità c’era nei miei primi film, ci sarà nei prossimi. Non è il soggetto che pone un problema, è la mia intimità che non volevo vedere sullo schermo.

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