Con Os vivos também choran Basil da Cunha aveva fatto parlare di sè alla Quinzaine des Réalisateurs l’anno scorso. All’interno di una selezione di cortometraggi particolarmente riuscita ed esigente il suo lavoro aveva quel quid che lo rendeva unico: un linguaggio in transito fra realismo documentario e dimensione onirica, un senso di mistero associato a dei personaggi bruti, autentici e carichi di umanità, una mano sicura nell’orchestrare improvvisazione e struttura narrativa.

Até ver a luz, il suo primo lungometraggio, presentato alla Quinzaine quest’anno, conferma in tutto e per tutto il talento di questo giovane regista. Nato e cresciuto in Svizzera da padre portoghese e madre svizzera, Basil ha saputo fare di questa sua doppia identità la forza motrice del suo lavoro. Molto legato al Portogallo per avere trascorso tutte le estati della sua infanzia al nord, nel paese di suo padre, Basil – innamoratosi perdutamente di una ragazza nella metropolitana di Lisbona – decide sei anni fa di gettare un’ancora nella città; ed é proprio a Lisbona che si sviluppa pienamente la sua avventura cinematografica.

Già alunno di una scuola di cinema in Svizzera (l’H.E.A.D di Ginevra), Basil da Cunha s’imbatte nel quartiere di Reboleira in cui decide d’installarsi grazie ai prezzi modici degli affitti. La gente del quartiere lo accoglie subito a braccia aperte. Nel giro di poco tempo Reboleira con i suoi terreni desolati, gli edifici lasciati all’abbandono e le sue aree di costruzioni abusive diventa la sua patria d’elezione e la grande famiglia dei suoi abitanti il centro d’ispirazione dei suoi film.

La cinepresa di Basil da Cunha serpeggia fra le stradine della bidonville di Reboleira, entra, come un’ospite in più, nelle case del circondario, scruta i volti, osserva i corpi, capta le anime dei suoi abitanti con lo sguardo preciso, acuto, consapevole di un artista ma con l’empatia, l’affetto ed il rispetto di un essere umano – da uomo ad uomo. Così, dal e sul terreno, nascono delle storie palpabili, ma allo stesso tempo leggermente oniriche; gli ambienti reali e le persone della zona, vengono trasformati, trasfigurati impercettibilmente, con un tocco leggero ma esperto, nella stoffa magica dell’immaginario.

La vicenda del protagonista di Até ver a luz, Sombra, è una parabola poetica su un  personaggio crepuscolare, un outsider fra gli outsider. Sombra (Pedro Ferreira) vive di notte, un’ombra fra le ombre, come indica il suo nome: una specie di morto vivente o piuttosto un vivente senza abbastanza energia per vivere. Partendo dalla realtà bruta di un luogo ben concreto e di una serie di personaggi interpretati dagli abitanti – attori non professionisti – del quartiere, la storia si trasforma in una riflessione sul senso della vita, molto più prossima nello spirito allo straniero di Camus che a un qualsiasi documentario-verità.

Sul filo di una narrativa a prima vista molto libera, il protagonista si avvia, un passo dopo l’altro, sul cammino irreversibile segnato dal suo fato. Parte di una gang di quartiere Sombra, un ragazzo discreto, mite e piuttosto in disparte, viene accusato a torto della morte fortuita di un compagno durante un’imboscata; in realtà é un altro membro della gang ad avere fatto convergere tutti i dubbi su di lui per scagionarsi del furto di un pacco contenente del materiale di grande valore, scomparso in circostanze misteriose.

Girato quasi interamente di notte, Até ver a luz ci invita a compiere sulle orme del suo protagonista che non può tollerare la luce del sole, un lungo periplo nell’oscurità di stradine mal illuminate, di appartamenti nella penombra, d’immobili interi lasciati all’abbandono e trasformati in abitazioni d’urgenza dove s’intuisce appena, furtiva, la presenza umana.

Sombra il cui unico vero amico é un iguana – un animale che al contrario di lui vive di sole e di caldo – circola solo dopo il tramonto ma, nonostante i suoi sforzi, non riesce ad evitare i guai.

Il ragazzo, un piccolo dealer recentemente uscito di prigione, si aggira nel quartiere cercando di sistemare alla meglio i suoi piccoli traffici: deve dei soldi al capo della sua gang e gli devono dei soldi a sua volta. Seguendolo c’imbattiamo in una galleria di personaggi singolari: un vicino appena ritornato da Capo Verde che, pur festeggiando copiosamente l’evento con varie donne, si rifiuta di pagargli quanto gli deve, sua zia, una donna energica e senza peli sulla lingua che si preoccupa per la sua sorte e non manca di allertarlo, un amico con cui scrutano le luci della città dall’alto di una terrazza parlando della vita, un santone che cerca di guarirlo nel corso di un’indimenticabile sequenza di esorcismo dal demonio che lo sta portando alla perdizione ed infine Clarinha, una bimba candida e dolcissima, sua vicina di casa, l’unico vero raggio di sole nella sua vita, alla quale Sombra affida il suo iguana di giorno.

Malgrado tutta la sua buona volontà Sombra non riuscirà a cambiare il suo destino; non sono tanto i membri della sua gang che, ad un certo punto, sembrano decisi a farlo fuori, è Sombra stesso che nella sua mente si trova costantemente in bilico fra il giorno e la notte, la luce e le tenebre, la vita e la morte.

Nella memorabile sequenza finale in riva al mare una vendetta si trasformerà, con i primi raggi del sole, in un tradimento fatale.

Sombra è un’eroe tragico, un samurai solitario, depistato, pessimista, confuso che non riesce, pur tentandolo a varie riprese, a connettersi con il mondo, con gli altri, con una vita normale alla luce del sole.

Il suo personaggio  marginale, mite e lunare si guadagna però un posto nei nostri cuori!

Basil da Cunha filma il sottoproletariato e i marginali di Lisbona ma lo fa in una maniera inedita di osmosi affettiva. Se il suo modo di procedere ed i personaggi che decide di filmare ci rimandano al Pedro Costa dei mitici documentari nella bidonville ormai demolita di Fontainhas, il suo rapporto con la gente è radicalmente diverso. Costa ha sempre mantenuto una certa distanza non mischiando rapporto personale e relazione artistica, il suo approccio è quello di un intellettuale che scende nei bassifondi mosso da un interesse tanto sociale quanto, in un certo senso, etnografico. Basil al contrario filma i suoi amici, la gente del quartiere che vede tutti i giorni, con la quale gli piace andare in giro e divertirsi: sono tutti dei ragazzi della sua età che bazzicano negli stessi posti, si spostano ed agiscono in gruppo. Bastava vedere i suoi attori presenti al gran completo alla Quinzaine per rendersene conto: un’equipe senza dubbio molto diversa dai piccoli gruppi di professionisti posati che di solito accompagnano i registi in queste occasioni.

Basil si é portato a Cannes un’intera compagnia di attori-amici-complici esuberanti che non hanno nascosto il loro entusiasmo travolgendo e stravolgendo con la loro vivacità sovversiva tutti i codici comportamentali della Croisette!

Strappando una mezz’ora preziosa al gruppo, che non ha smesso di reclamarlo, Basil ha accettato di parlarmi del suo film. La sua energia, il suo entusiasmo e il suo rigore sono impressionanti: Basil va a 1000 all’ora e, ne siamo certi, arriverà molto lontano!

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