lnafferrabile anello di congiunzione tra cinema e teatro, tra blockbuster e cine in interni, tra critica e mimica; tra la vita, la psicosi, l’arte… e la rappresentazione di essa. Birdman. Or The Unexpected Virtue Of Ignorance. OR: The Loooo.Oooongest Take.

Dal preferitissimo proditorio profittevole probonopacico sedile H4 del nuovOlimpia (B) il recensore grato a Inarritu contempla un vertiginosointerminabilepianosequenza. Percosso attonito alle vicende di Riggan che abbandona la saga di Birdman lui protagonista perché disgustato dalle polpette adrenaliniche hollywoodiane che sfruttano eroi-super fino all’ennesimo pre/se/quel.
Riggan metafilmico fronteggia le quattro muse del suo ego schizo-narciso, in fuga da se stesso e alla ricerca dell’autoriale notorietà, non frutto di sangue svolazzi azione e specialissimi effettacci ma di riattati bolsissimi dialoghi ‘beginneriani’ carveriani – scritti davvero per pochimille americani bianchi in un lontano tempo che fu.
La ex moglie lo sopporta e si sospetta lo vagheggi per suggeriti motivi immobiliari e patrimoniali; la figlia lo taccia di irrilevanza perché non possiede account FB o Twitter (:su Twt, il recensore è parziale:); la giovane fidanzata lo blandisce con una gravidanza pur da lei desiderata, in un surreale duetto di amor passione; e la bionda comprimaria, fedifraga sul palco, gli richiede fuori di esso parole di elogio, a rafforzar la vacillante autostima. Una quinta musa gli si fa deuteragonista in una efficace scena-da-bar, con l’attoregistadidattatore che combatte la perfida critico-donna con le indignate urlate armi di chi rischia sul palco la propria artistica sopravvivenza, viva e recitante, non connessa ma stroncabile in poche righe di stereotipi (pre)concettuali; e solo al termine – dopo molto sangue verofinto sparso – l’acrìbica che molto sa riconosce la virtù di chi molto ignora e molto sa emozionare.
Le figure maschili di contorno non gli sono di sostegno ma lo assecondano anche quando con lui si azzuffano, siano esse un effeminato amministratoreagentelegale o un attor giovane sempre-alla-altezza-Norton, che confida alla giovane figlia di Riggan di fingere ovunque salvo che sul palco, animato e ravvivato dal superalcolico di turno.
Nelle pause di recitazione la voce supereroica alter-egotica di Birdman che rimbomba pastosamente nella testa del protagonista scandisce il di lui delirio e rinascita attraverso la mimica allucinata di Michael Keaton, sempre fissa nel riso tirato a rictus come nella rabbia contro tutti e tutto lo ‘showbiz’ che fu artefice delle medesime sue fortune.
Degno di una visione è il precitato continuo movimento di macchina, senza precedenti per durata di piansequenza, sfumata nottegiorno e con un solo salto verso fine, se non si conta il passaggio attraverso il filmato televisivo, semisincronico alla vicenda che scorre tra bui o fiochi corridoi e tristi camerini, spettatori stupefatti e fumatine-sputatine a bordoterrazzo, giochi obbligo-verità e performanti apparizioni in fulgore di mutande e ritocchi truccoparrucchi.
Degno di onorevole menzione è lo svolazzo di Riggan fuori dai panni catafrattopennuti di Bman dall’arrogante becco. Riggie vola sopra le macchine, le strade incapsulate dai grattacieli e le personcine soffocate dal culto dell’immagine e dell’apparire in socialità digitale.
Anche dall’ospedale che lo accoglie dopo l’impreveduta ‘primadelleprime’ egli fuggirà nel modo più leggero se non leggiadro possibile. Come nei sogni più belli. Come nella fiaba più amara e-gotica, che abbia tra i protagonisti… tutti noi.
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