di Sara Marullo/ L’immagine di un Cristo in croce, scarnificato, dolente, apre e chiude la prima e l’ultima scena di the Hateful Eight di Tarantino. Un volto nascosto dalla neve, quasi dimenticato, come il suo messaggio nelle diverse interpretazioni dottrinali, sbarcate dall’Europa alla conquista del Nuovo Mondo.

Un western girato all’interno di una carrozza e soprattutto in una stazione di sosta, l’emporio di Minnie, come se dare limiti ben definiti volesse in qualche modo delineare dei confini, i confini di un America lontana, poco dopo la guerra di secessione, e vicina, l’attuale America con tutte le sue contraddizioni. La porta mezza scalcagnata dell’emporio deve essere sempre fissata con dei chiodi per evitare che si apra alla prima zaffata di vento: i confini americani che non sono mai riusciti a contenere l’inarrestabile flusso di gente proveniente da ogni dove.

Tarantino vuole forse lanciare un messaggio all’America, ricordandole da dove viene, e quanto ancora sia legata al suo passato?

L’incontro tra sudisti e nordisti, neri, messicani, bianchi, un melting pot in cui le relazioni sono dominate dall’animalità, dall’istinto più brutale, quello senza regole, dove la legge del più forte si esprime con un’enfasi talmente drammatica e cruenta da trasformarsi in un linguaggio comico. Non esiste Giustizia dove dominano le passioni, gli interessi personali, dice il tizio che si spaccia per il boia.

E in tutto questo emerge sempre e costante il presidente americano Abraham Lincoln, il più illuminato, il più liberale, il più progressista dei presidenti, l’uomo che ha abolito la schiavitù, che molto probabilmente subisce l’influenza del socialismo. Karl Marx scriveva per il New York Tribune, giornale che leggeva anche Lincoln, e i due ebbero una fitta corrispondenza alla fine della guerra civile americana.

Come non pensare allora al socialista democratico Bernie Sanders, il nuovo candidato alle prossime elezioni per la presidenza agli Stati Uniti d’America, che più d’ogni altro potrebbe realizzare quegli ideali così cari a Lincoln?

Hateful Eight, come  ha dichiarato lo stesso Tarantino, è il suo film più politico. Forse Il regista di b-movie ha voluto far riflettere su uno dei periodi più bui dell’America, un passato  per certi aspetti non risolto, ancora da superare, perché possa servire a far capire l’importanza di appoggiare un candidato come Sanders.

Tarantino riesce attraverso il  solito parossistico modo di girare, con quello splatter che domina la scena, ad andare oltre la mera ricerca estetica delle immagini, come forse non ha mai fatto. La scena in cui la bandita assassina Daisy Domergue, impiccata a una corda, emette i suoi ultimi rantoli con in mano il braccio mozzato del suo carceriere, mentre il presunto nuovo sindaco, Chris Mannix, legge la lettera di Lincoln all’ex soldato nero, è esemplare nella sua scabrosa comicità.

Si può ridere a crepapelle ma la verità è che se non si cambia finirà in una carneficina.

 

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