Un virus si diffonde nel mondo, e lo depaupera. La scienza medica ottiene il risultato opposto a quello sperato dai più esperimento diventa catastrofe. Esattamente come, ai giorni nostri, la scienza finanziaria ha depauperato e riportato l’umanità più colta ed avanzata, a prima della rivoluzione industriale. Un verso dell’Internazionale socialista diceva “…la plebe è sempre all’opra china, senza ideale in cui sperar”. Erano le plebi del XIX secolo, sono le plebi del XXI secolo. Bel risultato!

Quindi, che si tratti di un virus o della finanza creativa, l’umanità è destinata a ritornare allo stato brado, secondo molti visionari futurocrati. D’altra parte, milioni di poveri e disoccupati censiti, e miliardi non censiti, non lasciano scampo. E da qui riparte Apes Revolution – Il Pianeta delle Scimmie. Il film tratta di uno dei problemi diventati cardine nel mondo moderno: la menzogna. Cui si accompagna la credibilità.

L’umanità torna indietro perché ha smarrito l’etica, ha smarrito quel sano comportamento, in cui non c’è nulla da spiegare, dove alla parola data seguono comportamenti coerenti, e dove al corretto dire fa riscontro un sentimento di fiducia. E’ proprio questo che ci sta riportando all’età della pietra. Non puoi credere a nessuno, sai che ti raccontano fandonie, su fandonie, su fandonie: ci siamo riempiti di una burocrazia governativa bugiarda che mente spudoratamente, e non c’è nulla da fare.

E allora credi per fede fanatica. Il nostro convivere è improntato al fanatismo e al tifo, pro o contro, a prescindere. Questo accade per gli uomini oggi, questo accade nella comunità delle scimmie qui rappresentata, che non è altro che la smorfia della comunità umana, lo specchio simmetrico. Fanatici e tifosi da una parte, fanatici e tifosi dall’altra. E sopra tutto, incombente, la menzogna.

La menzogna che porta il proprio frutto velenoso esclusivamente al menzognero, e che smuove le anime belle a fare quello che non dovrebbero mai fare, quello che i filosofi dicono accuratamente di evitare, e per questo vengono uccisi. Noi ci siamo fatti beffe dei maestri. Oggi li prendiamo a pesci in faccia. Il jingle è stato per decenni: “arricchitevi!”. Già, ma poi quando sei ricco, che ci fai con tutti i tuoi soldi? Come fai a goderti ricchezze che devi celare, e se sei ― mi si passi il termine, ma è troppo preciso per non utilizzarlo ― uno “stronzo”, tutta la ricchezza che con la menzogna, i sotterfugi, la cosiddetta “creatività” (che altro non è che scaltrezza a danno altrui) hai accumulato ― me lo spieghi cosa te ne fai?

E così, se posso bissare, la morale della pellicola potrebbe essere: “non occorre essere un umano, per essere stronzo”.

Usciti dalla sala cinematografica, dobbiamo riscoprire i pregi di un contratto sociale, stipulato per convenzione (Hume) o per convenienza (Locke), per saggezza (Platone) o per necessità, ma comunque dobbiamo ritrovare un universo dove il vero sia il vero, ed il falso sia il falso. Nella pratica, non nella teoria. Nel comportamento, non nel desiderio. Altrimenti andiamo verso l’involuzione totale. Ritorniamo al medioevo delle mafie e dei partiti padronali, entrambi sorta di catene di comando vassallatico, dove il diritto e la modernità sono perduti per sempre.

Per costruire il bene ci vuole una vita, un mondo intero. Per distruggerlo, basta un secondo: un colpo di fucile. L’umanità immemore si sta azzuffando in insensati diuturni tifi mentre i sapienti avari, gente da manicomio (credetemi) sta depauperando l’Occidente per riacquistarselo a due lire, ma secondo tutte le regole e ― ove mancassero ― ne inventa di nuove. “Patto di stabilità”. “Rientro del debito”. “Maastricht 1, 2 3 e 4”. Formule ed esperimenti, che si risolvono in catastrofi sociali, beccherie nauseanti senza più ideali né prospettive. Ci abboffano di tautologie giustificative, E non ci dicono mai la verità. Non guardano come viviamo, giù nel fango. Né nelle cosiddette democrazie occidentali, né in quelle evanescenti formule partecipative che popolano le Asie ultime. Mentono forti della ragione di stato, e della ragione di casta. Di quella del più forte.

Abbiamo regole, valide a senso unico ― ma abbiamo smarrito l’umanità. Per eccesso di menzogna, per saprofitismo.

Aggrappandosi a Cesare, sospeso nel vuoto, il mentitore “politico” Koba si aspetta dall’altro una lealtà che lui per primo ha straziato. Cesare, come un moderno Ottaviano Augusto, non può far altro che ripartire dalla prima legge della logica (che di per sé è etica fatta sistema): il principio di identità. Così Cesare esclama con gravità, per il suo popolo e per tutti noi spettatori umani: “Tu non sei una scimmia”. Dentro di noi, sappiamo che è così. Che è necessario che sia così.

Questa è l’etica che ci manca, come il respiro.

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