RETROSPETTIVA VIENNALE E FILMARCHIV AUSTRIA

 IL PARADIGMA PRODIGIOSO :  REGISTI-AUTORI AUSTRIACI DEGLI ANNI OTTANTA

Parte seconda : Mansur Madavi

Opera rigorosamente esplosiva e prova incontestabile del genio creativo di Madavi Magic Glass mette in scena la ribellione assoluta di un individuo contro i dettami e le aspettative della società capitalista.

Anche il protagonista di Die Glücklichen Minuten des Georg Hauser (1974), Magic Glass di Mansur Madavi si sente alle strette nel mondo in cui vive.

Ambientato a Vienna film comincia con una raffica di foto in bianco e nero che ritraccia in modo fugace ed ellittico la biografia del protagonista dalla culla fino al presente, un semplice preludio al vero e proprio inizio della sua vita: il suo primo impiego.  Sulle foto Georg sembra felice, spensierato, a volte sorride guardando l’obiettivo. Quando questo carosello di foto finisce ci troviamo di fronte ad un giovane adulto con un’espressione seria e determinata sottolineata dalla montatura rettangolare dei suoi occhiali da vista.

Questo dettaglio, a prima vista insignificante, cela l’antitesi di fondo sulla quale Mandavi costruisce il suo film: quella fra il rettangolo, simbolo di ordine e razionalità e il cerchio, simbolo dell’irrazionalità e della reclusione.

Mandavi, nato nel 1942 nella parte azera dell’Iran e arrivato con la sua famiglia a Vienna nel 1960, prima di specializzarsi in regia e fotografia alla Filmacademy aveva studiato grafica; la perizia con cui pianifica l’organizzazione di ogni scena, basandosi sempre su uno storyboard dettagliato, riflette pienamente quest’esperienza.

Nella prima sequenza- episodio-matrice del film- Mandavi dispiega subito tutta la panoplia della sua messa in scena. Nulla è lasciato al caso. L’assunzione di Georg Hauser è immaginata come un discorso di benvenuto del direttore alla sua recluta. Come in un rituale il protagonista entra nell’ hall di un edificio ultramoderno al centro del quale campeggia una scrivania. Mentre i suoi passi rimbombano in modo surreale, la cinepresa fissa lo schienale di un’imponente poltrona. I colori sono freddi, desaturati, vicini al bianco e nero. La banda sonora è dominata da un suono elettronico irritante.

In maniera elegantemente ossessiva ma mai gratuita, la figura del cerchio si annuncia qui subito in tutta la sua potenza formale, simbolica e semantica; il cerchio è alla base dei movimenti della cinepresa che, con aerea eleganza, si alza in un high angle shot e dopo avere compiuto un movimento circolare intorno al protagonista si posa nuovamente sul suolo quando il discorso del direttore finisce. Circolare è pure il tragitto che compie il direttore durante il suo discorso; iniziando a parlare si alza e gira tutto intorno a Georg rinchiudendolo all’interno del suo cerchio di potere come in una morsa di ferro.

Sorridente, con un tono paternalistico falsamente bonario, l’uomo mette subito le cose in chiaro: 

‘Il progresso è molto importante per noi! Via libera per i giovani zelanti, ambiziosi e lavoratori!  Con noi ognuno ha una chance ma vince sempre il migliore, sopravvive il più forte. E un po’duro certo, ma questa è la legge della natura! Il mondo del lavoro non è un giardino d’infanzia. Se ne renderà conto ben presto anche lei. Non è facile, ma che cos’è facile nella vita? Nemmeno l’amore lo è! “

Dopo avere ricevuto una pacca sulle spalle Georg se ne va. Il suo fato è segnato. Impassibile, rigido come un soldatino, esce senza dire una parola, la sua voce non si sentirà mai nell’intero corso del film; anche quando, raramente, lo vediamo parlare con qualcuno, scorgiamo solo il movimento delle sue labbra senza percepire alcun suono. Georg non sa farsi sentire; il suo malessere esistenziale si trasforma sulla banda sonora in silenzio. Solo chi detiene potere e autorità ha il diritto di farsi sentire; il direttore d’azienda e lo psichiatra, nessun altro.

Assolutamente conforme alle regole e alle aspettative della società di consumo in cui vive Georg è un cittadino ideale, la sua quotidianità segue una routine perfettamente organizzata e sempre uguale a sé stessa. Walter Bannert (1942-2020), regista, produttore e scenarista austriaco recentemente scomparso, allora giovanissimo, incarna alla perfezione il personaggio di Georg di cui sa rendere tanto l’impassibilità quanto gli improvvisi guizzi di follia.

Con meticolosa accuratezza Mandavi traccia le tappe che condurranno il protagonista dalla rassegnazione alla ribellione, dall’alienazione della ‘normalità’ al riscatto della follia.

Madavi abbraccia un punto di vista soggettivo, il suono non è realistico ma mentale, completamente post-sincronizzato crea un senso di disagio costante. Privo di ogni appiglio concreto, modulato ed orchestrato ad hoc il suono è spettrale.

Le parole ci arrivano in modo indiretto attraverso un disco bloccato sullo stesso ritornello o un programma alla televisione come dei messaggi alieni che riflettono lo stato d’animo di Georg. “La vita ci prende molto di più di quanto non ci da, ahh, purtroppo la vita, è cosi!”  canta da un grammofono una voce d’uomo ogni sera, quando il protagonista ritorna a casa dal lavoro.

Il personaggio di Georg si esprime principalmente attraverso la gestualità e la reiterazione dei compiti del quotidiano: ogni giorno spegne la sveglia, si alza, va in bagno, si rasa, si pettina e si veste, si guarda una seconda volta davanti ad un grande specchio veneziano; si aggiusta gli occhiali dalla montatura quadrata, sale sulla sua BMW rossa, si butta nel traffico labirintico del mattino e giunge puntuale in ufficio dove sovrintende una schiera di dattilografe che battono a macchina con un ritmo infernale.

Scontroso e solitario ha una breve avventura con una dattilografa sulla quale proietta l’immagine assillante di una donna bellissima e fuggente, una chimera che si trasformerà man mano in ossessione. Vari segni premonitori creano un’inquietudine continua e si trasformano in  presagi nefasti; un vicino di casa minaccia di spararsi, un altro muore e viene portato via…

Georg si sente preso in un circolo vizioso di aspettative sociali ogni giorno sempre più alienanti.  In modo significativo lo scoppio della follia viene descritto in tedesco con una serie di verbi che si rifanno all’idea del cerchio; rotieren, durchdrehen, spinnen. Vista in questa prospettiva la scelta formale di Madavi non potrebbe essere più pertinente.

Un giorno, in seguito ad un incidente fortuito, Georg rompe i suoi occhiali e li sostituisce con un paio di lenti rotonde. D’ora in avanti nulla sarà più uguale; queste lenti ‘magiche’ infatti -come suggerisce la versione inglese del titolo- gli rivelano d’un tratto la realtà circostante come un’accozzaglia di crimini impuniti.

Comportamenti infantili e crisi di regresso, sono i primi segni esteriori di uno sfaldamento più profondo del suo stato psichico. Un bel giorno Georg si alza e dice basta. Prende un’ascia, scende per strada e inizia a colpire all’impazzata la sua BMW rossa.

Filmata al rallentatore, la scena cruciale della distruzione della macchina è accompagnata dalle note di una canzone indiana che echeggia come un gioioso mantra liberatorio. Dal primo colpo d’ascia in poi la foga e la gioia di Georg vanno in crescendo e mentre gira in estasi intorno alla macchina colpendola come se stesse danzando, per la prima volta nel film, lo vediamo sorridere.

Per un istante Georg capovolge le relazioni di potere e da vittima diviene aguzzino: girando intorno alla sua macchina e distruggendola, demolisce lo status symbol per eccellenza del sistema economico-sociale che lo opprime pero questo gesto lo situa ipso facto fuori dai margini della società facendone un uomo pericoloso, un nemico del sistema.

La sua ribellione lo conduce fatalmente nel gulag di un ospedale psichiatrico. Il cerchio si trasforma in una spirale infernale, in un vortice letale.

La sua vita nell’ospedale psichiatrico è speculare a quella apparentemente ‘normale’ di prima.

Le strutture del potere, le regole sono le stesse; mentre i medici lo scrutano attraverso le montature rettangolari dei loro occhiali Georg deve letteralmente continuare a girare a vuoto lungo un percorso circolare tracciato in giallo sul suolo del cortile dell’ospizio. Con mano sicura il regista riesce ad alternare delle sequenze di una grande intensità emotiva a dei momenti di sottile autoderisione.

La cinepresa agilissima e fluida si adatta con virtuosità allo stato mentale del protagonista ingaggiando con lui un ballo di circonvoluzioni complesse; buttandosi in inseguimenti folli per i corridoi dell’ospedale psichiatrico, seguendo le visioni fugaci della donna che lo ossessiona, o braccandolo fuori, lungo una strada adiacente alle rotaie dei treni, in una corsa sfrenata per sfuggire al personale dell’ospedale che vuole mettere fine al suo tentativo di evasione.

I rari ‘minuti felici’ della vita di Georg- questo è il significato letterale del titolo in tedesco- sembrano celarsi nelle pieghe recondite di fugaci ricordi d’infanzia. Come un’isola, affiora per un’istante l’immagine di Georg ragazzino sereno e fiducioso mentre si allena e, improvvisamente, la pellicola s’illumina di colori luminosi ed intensi. Altrettanto radiosi saranno anche quelli dell’inquadratura finale del film: nel suo lucido delirio il protagonista troverà la forza di spezzare definitivamente il circolo vizioso che lo tiene prigioniero. Con un ultimo gesto di disperata poesia Georg riesce ad abbattere la porta della sua cellula: davanti a lui si apre una meravigliosa spiaggia deserta e lui corre felice verso il mare.

Autore-regista solitario e autonomo, Madavi ha curato personalmente la maggior parte degli aspetti di ogni suo film. Complessità strutturale, libertà formale, inventività e impegno politico sono le caratteristiche che percorrono tutta la sua opera: un pugno di lungometraggi costruiti con un rigore assoluto e con un esemplare economia di mezzi: Notausgang 1976, Die Blinde Eule 1979 e Ein wenig sterben, 1981. I suoi progetti seguenti saranno condannati a scontrarsi con ogni genere di difficoltà; Dicht hinter der Tür, 1984, costituisce il suo ultimo sfortunato tentativo di finanziamento pubblico. Seguiranno due film autoprodotti; nel 1991 Lange Schatten, un thriller anti-Aiatollah e nel 1999 With Closed Eyes, un film criptico a sfondo autobiografico girato in Cile che segnerà il ritiro di Madavi dalla scena cinematografica. Anche se oggi Madavi è, a torto, un regista ampiamente sconosciuto non bisogna dimenticare che i suoi film furono mostati e premiati internazionalmente negli anni settanta.

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