[****] –  L’ultimo terrestre già dal titolo evoca un’atmosfera escatologica cui, l’ambientazione attuale, suggerisce scenari nuovi dell’immaginario collettivo che Gian Alfonso Pacinotti realizza medianicamente. Nessuno fino ad ora aveva immaginato l’arrivo degli alieni sulla terra nel completo disinteresse dei terrestri: tutti occupati nel proprio “niente” quotidiano, arredato di miserie morali e materiali. Siamo nel post-crisi economica che segna la discriminante definitiva fra chi è povero e chi è ricco, nel post-umanità, in una società dove assente è l’UOMO, mentre le sequenze pullulano di esseri privi di qualunque identità e dignità interiore ed esistenziale.

Chi sono gli extra-terrestri? Esseri sui quali si specula prima ancora che arrivino o di cui ci si interroga annoiati o si temono come possibili nuovi usurpatori di lavoro; se ne parla in tutti i telegiornali ma nessuno ci crede realmente, come se la finzione del televisore si confondesse nell’encefalogramma piatto dell’esistenza.

Nessuno mi farà del male è il titolo del primo graphic novel di Giacomo Monti, dal quale Pacinotti ha liberamente tratto L’ultimo terrestre  e potrebbe essere anche la definizione più calzante del protagonista del film: Luca Bertacci. E’ la sua esistenza che seguiamo fin dall’inizio, è attraverso di lui che percepiamo e incontriamo gli extra-terrestri e sempre con lui andiamo incontro alla speranza di un domani diverso. Luca Bertacci è un animale ferito da un’infanzia difficile nella quale l’abbandono della madre ha segnato traumi profondi, non mitigati dal rapporto straniante con un padre rabbioso e misogino, interpretato dal sempre grande Roberto Herlitzka. Luca non ha amici all’infuori di un trans, lavora in una sala Bingo e sta alla larga da qualunque rapporto con donne diverse dalle prostitute, salvo spiare la vita di Anna, la sua vicina di casa. Lo seguiamo nel quotidiano sopravvivere,  e nel coinvolgimento in una serie di situazioni che somigliano ad uno scivolo verso frequenze interiori sempre più pesanti e tragiche, finché grazie all’arrivo degli extra-terrestri, si rompe un argine interiore e l’orizzonte si fa più chiaro.

Per Pacinotti gli extra-terrestri sono esseri/anime che arrivano sulla terra per riportarvi l’amore, per prendere per mano l’umanità e ricordarle di sé stessa. Per riprovare a interrogarsi sul senso del bene e del male non come dicotomia bensì cammino di consapevolezza.  Per farlo utilizza splendide immagini oniriche o semplici gesti che contrastano con sequenze dove invece la scelta delle luci, dei colori e la fissità ebete dei volti, raccontano lo squallore in cui è precipitata l’umanità. Il volto cubista di Gabriele Spinelli incarna meravigliosamente la tragico-commedia di situazioni paradossali, istantanee di vita che ne incarnano il vuoto, l’assurdo, la mostruosità di persone comuni, capaci di trasformarsi in vili assassini per un niente. Originale l’impianto narrativo, come la scelta tematica pur sul pentagramma sfruttato dell’arrivo di civiltà aliene, a riprova del fatto che la creatività è sempre un punto di vista unico e irripetibile.

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