La fine del mondo è vicina e possibile? Gli affetti più cari minacciati da qualcosa d’incontrollabile. Questa paura tormenta Curtis LaForche un tranquillo operaio, un uomo qualunque che comincia a fare terribili sogni su catastrofi che si abbattono sul Pianeta. Sono premonizioni o segnali di un disturbo mentale? L’incubo diventerà realtà? La piccola comunità, più che un profeta, lo crede un pazzo ma la paura di perdere le persone che ama avrà il sopravvento. Non riesce a comprendere ma si lascia trasportare dal suo istinto. L’ossessione di Curtis diventa quella di ‘mettere al sicuro’ la sua famiglia anche se questo significa compromettere la sua credibilità, il suo lavoro, il suo matrimonio. Una lotta contro il tempo per creare un bunker che salvi la sua vita, quella di sua moglie Samantha e quella della figlioletta Hannah da un imprecisato cataclisma naturale che sente più vicino ogni giorno che passa. Il Midwest, lo sguardo si sofferma su quell’America rurale che sembra separata dal resto del mondo. Giornate assolate dai ritmi lenti, il lavoro nei campi, le domeniche passate tra funzioni religiose e mercatini di zucchero filato, tovagliette ricamate e torte fatte in casa. Atmosfere già evocate in Signs, che come Take Shelter combina il contrasto visivo tra una quotidianità modesta e l’intrusione dell’effetto perturbante. Vite semplici, quasi monotone scandite da un forte contatto con la natura. Una popolazione abituata alla sirena d’allarme che preannuncia l’arrivo dei tornadi molto frequenti in quella zona che rientra nella famosa ‘Tornado Alley’. Passano, a volte spazzano via solo qualche sedia in giardino, a volte provocano danni più gravi, a volte uccidono ma la vita ricomincia. Alla tempesta profetizzata dai sogni di Curtis però nessuno potrà essere preparato. La pioggia gialla e oleosa farà mutare la psiche degli uomini spingendoli a commettere azioni violente. Quasi un castigo divino con la complicità della natura che di ragioni per avercela con l’essere umano ne avrebbe fin troppe. Una rivendicazione del creato sulla cupidigia umana come nel misterioso e inquietante E venne il giorno di M. Night Shyamalan in cui qualcosa nell’aria, una tossina trasportata dal vento o esalata dagli alberi, attacca l’uomo facendogli perdere l’istinto di sopravvivenza portandolo così al suicidio. Anche qui una persona normale lotta per proteggere la sua famiglia contro qualcosa d’ incoercibile e straordinario. Stessa storia, raccontata con il supporto di grandi effetti speciali, in La guerra dei mondi di Spielberg in cui un padre cerca di salvare la figlia dagli alieni che hanno deciso di distruggere la Terra. Take Skelter è un thriller psicologico che affronta la paura, l’ansia per la fine del mondo senza l’utilizzo di effetti speciali e senza materializzare nessuna effettiva catastrofe planetaria ma raccontando l’atmosfera di un ipotetico ‘prima della fine’ nell’inconsapevolezza della maggior parte delle persone e nell’incompresa consapevolezza di un unico uomo. Forse un prescelto, il solo ad intuire l’arrivo di qualcosa che farà diventare il mondo un’ entità sconosciuta ed ostile. Una tensione concentrata sull’incertezza che vive il protagonista. Lui stesso se da una parte asseconderà le sue allucinazioni, dall’altra inizierà un percorso per curare questi disturbi che pensa siano legati ad una schizofrenia ereditata dalla madre.

take shelter

La regia di Jeff Nichols è pacata ma allo stesso tempo rigorosa, a tratti troppo concentrata didascalicamente nel ritrarre la quotidianità dei personaggi. Il decorso del film in effetti compare abbastanza monotono e ripetitivo sia per quanto riguarda gli innesti onirici, un’occasione persa per osare di più, sia per l’ordinario flusso della vicenda che non riesce a trasmettere un’ efficace suspense o ad essere all’altezza di altri film che poggiano su protagonisti sospesi tra realtà e paranoia come L’inquilino del terzo piano, American Psycho, A Beautiful Mind, Bug – La paranoia è contagiosa, Il cigno nero, Requiem solo per citarne alcuni tra gli eccellenti.

La sola bravura di Michael Shannon, che ormai sembra destinato a ruoli da psicopatico, non riesce a sostenere l’intero film che soffre di una certa inerzia tecnica mancando di personalità registica e di snodi narrativi originali. La vicenda ha una crescita solo verso la fine creando due epiloghi possibili. Il primo nella scena dentro al bunker e poi il secondo, risolutivo, ribaltando tutto nell’inaspettata conclusione ma rimane decisamente troppo poco per recuperare un film che dura quasi due ore e per la maggior parte del tempo gira un po’ a vuoto. Non c’è il risvolto tragico, l’esplosione violenta della follia come in Shining o in Repulsion che forse sarebbe stato troppo scontato. C’è invece un’implosione, un freno proprio in quel momento in cui la mente potrebbe fare il passo decisivo verso il buio ma comunque non si trova un’alternativa convincente. Quando arriva l’estate chissà perché ci appioppano il film catastrofico. Era successo con il post-apocalittico The Road che avrebbe meritato più visibilità e ancora prima con E venne il giorno ingiustamente stroncato e dimenticato.

Quest’anno oltre a Take Shelter, premiato nei più importanti festival cinematografici come il Sundance, Cannes e Toronto, sulla tematica del ‘doomsday’ abbiamo visto l’elegiaco Melancholia di Lars von Trier che, con tutti i suoi pregi e difetti, almeno con la sua liricità e le sue stasi fotografiche osa andare oltre regalandoci nel finale una delle più belle immagini sulla fine del mondo. Non dimentichiamo 4:44 Last Day on Earth di Abel Ferrara presentato in concorso alla 68° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia che chissà quando riusciremo a vedere in Italia visto che già in patria ha avuto diverse difficoltà distributive. Ferrara propone un altro personalissimo punto di vista sulle ultime ore prima della distruzione del Pianeta e sulle reazioni di una società questa volta consapevole di avere ancora poco tempo prima di essere annientata. Per il momento sembra che il mondo non si spegnerà il 21 Dicembre 2012 quindi, esorcisticamente parlando, possiamo tranquillamente goderci in poltrona tutte le prefigurazioni filmiche apocalittiche che più ci appagano e naturalmente attenderne di nuove, si intende, unicamente da spettatori.

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