Ho conosciuto Marc Scialom nel 2011 e il suo cinema e la sua storia sono stati per me folgoranti. C’era Berlusconi al governo e il momento era particolarmente cupo. Sentire parlare di Italia suscitava in me, come in tanti altri, sentimenti negativi e sfiducia. Ho ascoltato quest’uomo − che allora aveva realizzato un solo lungometraggio, nel ’69-’70 – raccontare la sua tormentata vicenda di esilio, fisico e culturale, il suo passaggio attraverso lingue diverse, imparate, dimenticate, poi imparate di nuovo. Un destino che lo ha portato a lambire la Nouvelle Vague senza riuscire a farne parte, ad abbandonare il cinema, ad ancorarsi alle sue origini italiane, fino a diventare insegnante universitario di letteratura italiana e traduttore francese della Divina Commedia (Le Livre de Poche, 1996). Di Dante, si era occupato già nel suo primo cortometraggio, Exils (1966), sulle tracce di episodi della Divina Commedia, Leone d’Argento alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia del ’72, dove fu proposto, con alcuni anni di ritardo, dall’amico Enrico Fulchignoni.

Il riferimento a Dante, amato in quanto esule e sentito come àncora all’identità italiana, mi restituiva un senso d’appartenenza, e insieme mi faceva sentire una responsabilità verso questo artista. Una responsabilità che, con l’aiuto di Mila Lazic, ha portato alla realizzazione del libro MARC SCIALOM. IMPASSE DU CINEMA. Esilio, memoria, utopia / Exil, mémoire, utopie (Artdigiland 2012), volume bilingue che tenta di ricostruire e analizzare, attraverso numerosi contributi critici, la vicenda di Lettre à la prison, film cruciale di Scialom, realizzato senza produttore, quasi clandestinamente, il suo contesto e l’intero universo artistico di Marc, tra cinema e letteratura.

Ebreo di origini italiane (fiorentino-livornesi), poi naturalizzato francese, Scialom nasce a Tunisi nel 1934. La famiglia è lì già da tre generazioni. Dopo le persecuzioni naziste degli Ebrei in Tunisia, nel ’43, le ripercussioni sugli Italiani, meccanicamente assimilati al fascismo nel periodo dell’“epurazione”, e la strage di Biserta (1961) – episodio tunisino della guerra franco-algerina, evocato nel corto La parole perdue (1969) –, si trasferisce in Francia. La Parigi in cui arriva è descritta in Lettre à la prison come approdo impossibile, città fredda e razzista, pars pro toto di una Francia colpevole di colonialismo: inferno terminale di un viaggio che, ribaltando la struttura della Divina Commedia, parte da Tunisi, paradiso perduto dell’innocenza delle origini, e si arena a Marsiglia, purgatorio eterno, sede di una progressiva perdita di identità, culturale e personale, spostata nel film sul volto arabo dell’amico Tahar, anche lui esule.

Nel ’70 questo film poetico e intimista quanto crudo, capace di indagare il colonialismo nel profondo delle relazioni affettive e sessuali, non viene sostenuto dalla cerchia di amici cineasti, tra i quali Chris Marker, che lo vedono “troppo poco politico”. La delusione porta Marc a voler dimenticare il cinema. Lettre à la prison, mai circolato, rimane per quasi 40 anni in una cassa, nelle varie case del professore di italiano e della sua famiglia. Fino al 2005, quando, in occasione di un trasloco, sua figlia Chloé, anche lei aspirante cineasta, disobbedendo all’ordine di gettare via quelle bobine, pretende di vederle. IMPASSE DU CINEMA narra anche la storia della “resurrezione” che allora ha inizio, dando voce ai protagonisti dell’impegno nella ricerca di fondi per un difficilissimo restauro, effettuato da L’Immagine Ritrovata di Bologna.

Nel 2008 la copia restaurata viene presentata proprio a Marsiglia, al Festival International du Documentaire, dove ottiene la Mention spéciale du Groupement National des Cinémas de Recherche, e grandi riconoscimenti dalla stampa, che fa riferimenti a Godard, Buñuel, Pasolini. Ma per Scialom la cosa importante è tornare al cinema, rimettersi al lavoro, superare il trauma: nel 2012, non senza difficoltà, è pronto Nuit sur la mer.

Il film nasce da Le citronnier, progetto che ha per tema gli aspri rapporti tra Ebrei e Arabi a Marsiglia, con sfumature comiche. Ma è la morte di uno degli attori durante la lavorazione a dare l’impronta a quest’opera, trasformandola in un “non film”, con in scena il regista stesso che discute con la troupe – composta in gran parte da migranti o figli di migranti – problemi relativi al dialogo tra le culture, ai temi della perdita e della memoria, all’utopia di un mondo senza frontiere. La nuit e la mer, come dichiara Scialom, sono due poli tra i quali il film “si sospende”: la morte, l’esilio, l’assenza, da una parte, e, dall’altra, la luce, la libertà, l’assenza di confini, l’umanità e l’“appartenenza”. Ma, sartrianamente, appartenenza a qualcosa di infinitamente grande e indistinto.

Nella prima, bellissima, sequenza vediamo una troupe filmare, non ancora al tramonto, uno scorcio del porto di Marsiglia. I giovani operatori parlano dei paesi che sono dall’altra parte del Mediterraneo, e di Tunisi. Nuit sur la mer è dedicato «ai senza ritorno, agli Ulisse senza Itaca che più volte muoiono e rivivono».

 

LETTRE A LA PRISON di MARC SCIALOM : Mercoledì 26 Febbraio al Cineclub Detour di Roma (Via Urbana 107) – ore 20.00: presentazione a cura di Silvia Tarquini del libro Marc Scialom, Impasse du cinemaEsilio, memoria, utopia/Exil, memoire, utopie (a cura di Mila Lazic e Silvia Tarquini, edito da Artdigiland, 2012) e alle 21.00 proiezione del film LETTRE A LA PRISON di MARC SCIALOM (1969-1970) e del cortometraggio LA PAROLE PERDUE (1969).

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