Si parla tanto di crisi del cinema; si scrivono fiumi di parole sull’argomento; si annuncia la crisi della sala cinematografica che sarebbe agli ultimi spasimi prima di eclissarsi per dare spazio alla visione domestica in digitale. Ma siamo così sicuri che sia così? Siamo sicuri che il cinema sia veramente in crisi, che non si abbia più voglia di spettacolo cinematografico, di visione collettiva sul grande schermo? Non dimentichiamo che quello che caratterizza il cinema rispetto alle altri arti non è solo il movimento dell’immagine, ma è l’essere un’arte collettiva sia nel suo farsi che nella fruizione… Banalità certo, da non dimenticare però quando si disquisisce sull’argomento: è sempre cinema una fruizione personale, singola davanti a un piccolo schermo? Certo si può parlare di arte delle immagini in movimento, ma è cinema? La visione è qualitativamente impeccabile (magari anche superiore a quella in pellicola con i suoi possibili difetti di usura), ma manca l’elemento caratterizzante: l’essere collettiva, appunto. Sarà compito dei teorici del futuro, neanche troppo prossimo, il definire questa nuova arte visiva fruita singolarmente: Homevision? Personalscreen? E via coi nomi di fantasia. Per ora il cinema è ancora vivo e vegeto e fa parte dell’immaginario collettivo di ognuno di noi.

In questo ultimo mese sono avvenuti due episodi diversi e simili al tempo stesso che mi hanno fatto ben sperare…

Un mese fa mi trovavo in un piccolissimo centro dell’Abruzzo, a dormire sopra una collina tra il profumo di lavanda: pace, silenzio, ascolto di sé, dove i veri protagonisti erano la natura, i suoi frutti, l’uomo e non il denaro o l’orologio e la corsa frenetica (verso cosa poi?) che caratterizza le nostre vite. Quel giorno passeggiata nei boschi di quercia fino a una stazione semiabbandonata tra i covoni di fieno. Faceva tanto l’inizio di Non ci resta che piangere: noi che passeggiavamo nella campagna silenziosa e all’improvviso un contadino con il carro e un abito dei tempi andati… E la sera poi la magia si è avverata. Nell’unico centro abitato raggiungibile a piedi, dopo il circo e il liscio sarebbe stato il cinema a intrattenere gli abitanti del piccolo centro. Un furgoncino, un proiettore, un po’ di sedie e la piazza è diventata un naturale set per la visione. Le nuvole del pomeriggio si erano fatte sempre più minacciose fino a trasformarsi in pioggia proprio poco prima dell’inizio del film. Veniva spontaneo pensare: chi ci sarà con questo tempaccio? E invece… le sedie erano tutte piene, anzi c’era bisogno di tirarne fuori di nuove: bambini, vecchietti erano tutti lì ad aspettare che lo spettacolo iniziasse. Chi con la giacca a vento, chi sotto l’ombrello aperto, ma tutti immobili e pronti. Spenti i lampioni, la magia ha avuto inizio e tutti, nonostante il freddo e la pioggia, erano incantati dallo schermo e dalle immagini che passavano su di esso. Il film non era certo un capolavoro, ma non importa, divertiva comunque. Personalmente non amo la comicità dei due protagonisti, le gag con cui hanno allungato una storia adatta a un cortometraggio, ma la magia della “visione primordiale” è stata contagiosa.

La magia della “visione primordiale” si è riproposta qualche sera fa in un contesto diversissimo: al centro della metropoli che è Roma… Anche qui un furgone con un proiettore, delle sedie, un telone, uno sfondo d’eccezione (Castel Sant’Angelo). Le sedie tutte occupate, così come il parapetto del Tevere, e ogni rialzo da cui fosse possibile vedere lo schermo. Completava lo spazio un piccolo palcoscenico sotto lo schermo. E via allo spettacolo: immagini e suoni dal vivo. Immagini arrivate direttamente dal 1927 e musica di oggi – un pianista Jazz (Danilo Rea) e il rap della periferia romana de GLI ASSALTI FRONTALI – in una nuova fusione unica e straordinaria. Immagini che hanno 80 anni ma la freschezza di un ragazzino, capaci ancora di incantare grandi e piccini. Tutti ridevano, partecipavano delle disavventure di Stanlio e Olio e Charlot. I bambini facevano i capricci per non andare a casa e rimanere ancora un po’. I turisti che sfilavano impettititi con loro lunghi treppiedi su cui erano fissate minuscole macchine fotografiche si fermavano incantati. Alcuni si facevano immortalare davanti allo schermo: diranno poi di essere stati sulle costruzioni di un grattacielo come Stanlio e Olio in Liberty?

Per concludere, come non pensare alle parole della mia compagna di viaggio di quest’ultimo mese a proposito del cinema: “C’era un mezzo d’espressione che Sartre poneva quasi altrettanto in alto della letteratura: il cinema. Era stato appunto guardando passare delle immagini su uno schermo che aveva avuto la rivelazione della necessità dell’arte e che aveva scoperto, per contrasto, la deplorevole contingenza delle cose date. […] Il linguaggio delle immagini, pensava Sartre, era qualcosa che bastava a se stesso; lo si sarebbe guastato sovrapponendogliene un altro. La parola secondo lui, era incompatibile con quell’irrealismo comico, epico, poetico, che lo attirava nel cinema” (Simone de Beauvoir in L’età forte).

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3 commenti su “Lo spettacolo della visione – La visione dello spettacolo

  1. agli esistenzialisti oltre che il cinema tendenzialmente puro piaceva molto il noir, se ricordo bene. Quel libro l’ho letto con sotto la musica di Cage, Perpetual Tango, per la precisione. Un’accoppiata formidabile. Ciao. (meglio la televisione, quando si riesce a beccare un film decente, che il dvd; meglio la radio, in macchina, che i soliti cd)

  2. c‘è chi già da tempo ha fatto il funerale alla sala cinematografica. penso a Nitrato d’argento di Ferreri (bel film). credo però che le sale continueranno ad avere una loro funzione, diversa da quella del passato, forse con un accento specifico sull’aspetto collettivo, di comunità che si ritrova. bisogna infatti dire che oggi il fatto di andare fisicamente al cinema elimina solo parzialmente la condizione di sentirsi di fronte ad una visione privata. i luoghi del cinema propongono in uno spazio pubblico una visione privata. quelle persone sono capitate lì come potrebbero essere in una stazione della metropolitana. sì, davanti allo schermo cinematografico siamo in transito. facciamo massa più che gruppo. che cosa ha di spiacevole e cose toglie al cinema una visione di gruppo in un appartamento? inoltre al di là del cinema ci troviamo di fronte ad un proliferare di immagini tendente all’infinito in cui siamo invitabilmente coinvolti.

  3. forse è vero, Marino, tanto che Chiara ha avuto una “visione primordiale” in un paesino di montagna, seduta su sedie portate lì da casa, o in un contesto un po’ altro come una sonorizzazione in un “posto d’eccezione”. E però a pensarci è forse proprio il transito, la piccola fatica di arrivare in un posto, di scegliere la fila, guardarsi intorno, magari incontrare qualcuno, e in ogni caso limitare la propria soggettività (niente schiamazzi, ci si adegua al luogo). E’ il “fuori” che aggiunge qualcosa, credo. E forse l’impressione che l’imprevisto sia dietro la propria fila. Non so. Ciao.

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