"Venne il momento in cui la sofferenza altrui non li sfamò più: ne pretesero lo spettacolo."

È l’ultima frontiera del reality-show della televisione francese, Concentramento, durante il quale è ricostruito un vero e proprio campo di sterminio, con le regole, le barbarie, le uccisioni di quelli veri: l’unica differenza è che tutto avviene in diretta, ripreso 24ore su 24. Imprigionati non sono gli ebrei, ma cittadini francesi presi con retate per le strade di Parigi e sono assoldati come vittime o come kapò. Dietro non c’è la logica dello sterminio scientifico di una razza, ma l’atroce sete di vincere gli indici d’ascolto che dominano ormai la scelta dei programmi televisivi. A vincere non è la bellezza o l’interesse culturale di un programma, ma l’audience, la maggiore pubblicità che un numero superiore di spettatori porta. Gli ascolti di questo nuovo reality sono alle stelle, fino a raggiungere il 100% nel momento in cui è il televoto dei telespettatori (e non più una decisione arbitraria dei kapò) a decidere chi mandare a morire.

Realtà o finzione? Fortunatamente è il frutto della vivida immaginazione di una giovane, prolifica e affermata scrittrice, Amélie Nothomb, belga-nipponica, in Acido solforico (edito da VOLAND).

L’immaginazione, per quanto straordinaria sia, parte però sempre da elementi reali che diventano paradossali, allegorici e surreali. Qui lo sguardo iconoclasta e dissacrante della scrittrice si posa sul mondo dell’entertainment televisivo e sulla cinica disinvoltura con la quale si sfruttano le pulsioni più bestiali del pubblico.

È indubbio che stiamo vivendo nel tempo delle immagini, del piacere voyerestico, dove il visivo batte la parola: tutto è messo in scena e acquista valore con la sua stessa rappresentazione. Così le persone diventano famose semplicemente apparendo in video senza bisogno di avere qualità o capacità superiori alla media che ne giustifichino il successo. Certo il farsi dei simulacri, creare immagini sono propri dell’uomo e sono una delle capacità dell’uomo che lo differenzia dagli animali, ma anche il dolore, il sangue e la morte sono protagonisti quotidiani dei nostri schermi. Le immagini che provengono dalle terre dove si combattono sanguinose guerre arrivano in tempo reale nelle nostre le case (e non più con la mediazione temporale del racconto), banalizzandone la sacralità e assuefandoci alla loro vista. Con Internet poi sono caduti anche gli ultimi veli di "censura" e pudore che fanno filtrare le scene più cruenti, censurare certe immagini come per esempio quelle delle uccisioni in diretta: chiunque può fare un filmino e metterlo in rete. Qual è il limite della rappresentazione della violenza, della morte oltre il quale non andare? In questi giorni c’è stata la giornata della memoria e si sono potuti vedere e rivedere documentari, immagini choc provenenti dai campi di sterminio nazisti… Ma in questi casi non c’è volgarità, c’è il rispetto dell’umanità pur in immagini durissime: a renderle sacre, spogliandole di voyeurismo e gusto del macabro fine a se stesso, sono il tempo della Storia che ci distanzia da loro e l’occhio del fotografo e del filmaker che le filtra guidato dal dovere di testimoniare e di raccontare.

I nostri reality non sono certo arrivati al punto di Concentramento, ma il gusto del pruriginoso e la volgarità sono già protagonisti di molti nostri programmi tv. Pensiamo ai talk show con pretesa di approfondimento giornalistico che si basano sulla ricostruzione con ricchezza di dettagli, plastici e filmati di tutti i rapimenti e le uccisioni di casa nostra. O pensiamo ai reality veri e propri in cui gli ascolti salgono più i concorrenti piangono in diretta, soffrono, patiscono la fame, mangiano strani animali raccapriccianti, si sottopongono a prove al limite della sopravvivenza.

Amélie Nothomb attraverso Pannonique (la protagonista di Acido solforico) lancia una giusta accusa al telespettatore che non è innocente, come vuole pensare di essere. Qual è il limite oltre il quale ci si puòdeve indignare? Fino a quando si può giustificare l’atteggiamento "li trovo ridicoli, ma li guardo per vedere fino a che punto arriviamo"? Gli ideatori dei programmi, sono certamente responsabili di ciò che ci propinano, ma lo spettatore ha diritto di replica, ha il potere di spegnere la televisione, facendo così fallire un programma, ha il dovere di rompere il circolo vizioso di imbarbarimento. Così come i mass media che dietro l’ipocrita alibi di condannare un fenomeno, in realtà ne cavalcano la popolarità e ne accrescono di continuo l’audience.

 

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One thought on “Lo spettacolo della sofferenza, la sofferenza da' spettacolo

  1. l;essere umano e il protagonista in assoluto di tutti i mali del mondo;LUI;non avra mai la voglia; il coraggio; e la coscienza; di /NON; produrre certi programmi al limite della sopportazione umana; ma tutti gli altri;;;;LUI;;non avranno mai il coraggio, la coscienza; e;LA?VOGLIA;; di ??NON??VEDERLI:::::::(tutti colpevoli)

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