In Italia, quando alcune mamme vogliono far riferimento in modo gelido e anaffettivo ai loro ex compagni riescono a usare in modo incredibilmente severo l’espressione “Il Padre dei miei figli”. Non sappiamo quali livelli di glacialità possa consentire in Francia l’equivalente “Le Père de mes enfants”. Scegliendo questo titolo per il suo secondo lungometraggio, la talentuosa Mia Hansen Love non può che non averne inteso le accezioni più tenere e vicine al cuore.

Inizialente il personaggio di Grègoire Canvel può far mettere sulla difensiva. Tanto più che il primo quarto d’ora lo passa al telefonino e avvertendo la moglie che farà tardi a cena con le bambine. A lungo andare però, così come Claude Sautet con Emmanuelle Béart, la giovane regista ed ex critico del prestigioso Cahièrs du Cinèma (già qui qualcosa ci ricorda Rohmer) è riuscita a imprimere un fascino impressionante al suo protagonista, ispirato oltretutto ai tratti del produttore Humbert Balsan, simbolo di un modo di pensare cinema assolutamente emozionale. Con la stessa discrezione con cui proprio Un cuore in inverno ci poteva avvicinare agli aspetti più nascosti della vita di un violincellista da camera, Il padre dei miei figli ci appassiona alle scelte e ai contrasti di un uomo diviso tra l’amore per la famiglia e le dead lines impietose e sovrapposte di una decina di set cinematografici uno letteralmente sopra all’altro. Sarà che negli anni ’70 interpretò anche Galvano in Lancillotto e Ginevra di Bresson, ma l’ex presidente dell’European Film Accamedy ha mantenuto per tutto il corso della sua leggendaria carriera uno spirito nobile e quasi cavalleresco lottando e impegnandosi in prima persona a favore di registi fuori dagli schemi delle logiche da botteghino.

Mia Hansen Love articola e rende ancora più espliciti gli aspetti da gentiluomo e paladino d’altri tempi di Balsan, sia affidando la parte al bravissimo Louis-Do Lencquesaingel dal passo e il volto incredibilmente aristocratici, ma anche rendendo particolarmente intimi e toccanti i momenti in cui Gregoire, a spasso per Ravenna o le bellissime chiese di campagna appassiona le figlie raccontando loro storie di Crociati e cavalieri di Malta. In alcune scene, assaggiamo la magia di Effetto notte, calandoci nel set del set, ma le migliore sequenze del film rimangono indiscutibilmente quelle in cui si esula dalle vicende pubbliche della storia di Balsan per ritrovarci nel mezzo della quotidianità e il privato della sua famiglia.

Il fatto che l’evento traumatico si consumi esattamente al centro della storia valorizza le capacità narrative della Hansen-love e le doti interpretative di Chiara Caselli. Lontana dai registi italiani, la brava protagonista di Garage Olimpo testimonia come non è che solo strillando o abbassando la voce che si può costruire un personaggio, ma l’insieme di un’ottima interpretazione si può definire studiando dettagli minimi come quelli del passo o la scelta del tipo di scarpe, basse e vicinissime alla terra, in questo caso. Il padre dei miei figli esce praticamente pochissimo dopo La nostra vita di Lucchetti. Si potrebbero fare moltissimi confronti sulle storie incredibilmente simili delle due pellicole, ma, assistendo alla prima al cinema Eden ci ha colpito soprattutto l’intervento di Chiara Caselli, del tutto in linea con Germano nel denunciare questa classe dirigente che sembra essere solo d’ostacolo al cinema italiano. Come per lei, anche per noi, l’unica soddisfazione è che per quando i nostri figli andranno a votare molti di quei esemplari di bella politica non ci saranno più.

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