Perchè sì

Perchè no

di Fabrizio Croce

Il Cavaliere Oscuro e il Jolly burattinaio

L’oscurità è indiscutibilmente uno degli elementi più caratterizzanti e ricorrenti della saga di Batman rivitalizzata dalla visionarietà cupa e introspettiva di Cristopher Nolan. E questo nuovo capitolo, che rispetto a  Batman Begins non è tanto un sequel quanto un vero e proprio livello superiore nella conoscenza e nella comprensione del personaggio, ne è pervaso in una maniera ancora più perturbante. Scioccante e sottilmente serpeggiante di un malessere esistenziale che esprime esigenze più complesse rispetto al desiderio fanciullesco di credere allo scontro tra il Bene e il Male e alla risolutiva vittoria del primo sul secondo interviene, qui interviene un Supereroe investito dal Fato di questa missione.

Il Cavaliere Oscuro di Nolan impedisce di distinguere con nettezza e precisione questi confini, sovraimpressiona valori e ideali complementari e con essi le figure che dovrebbero esserne portatori. L’ambiguità è già tutta interna a Batman, diviso tra l’identità diurna e quella notturna: di giorno è un miliardario viziato e scavezzacollo che si costruisce un’apparenza volutamente patinata e svuotata di ogni contrasto e riflessione, per contraddirla con l’identità notturna di vendicatore e giustiziere mascherato, pericolosamente sulla linea del vigilantes anarchico e incontrollabile, sublime e mostruoso al tempo stesso, incarnazione del bisogno che il popolo ha del giustiziere della notte per scaricare su di lui una frustrazione e una rabbia violente e spesso represse. Quest’ultimo punto in particolare è espresso utilizzando con efficacia una struttura narrativa articolata su più piani che passa dalla crisi individuale di Bruce Wayne/Batman, dilaniato tra senso del dovere e aspirazione a possedere una sola identità, alla sua contaminazione nella collettività con una serie di cloni metropolitani dell’Uomo Pipistrello, spinti a scendere in campo e a riprodursi sia dall’ammirazione nei confronti del loro eroe clandestino, sia da un non troppo velato disprezzo dell’ufficialità delle leggi e di conseguenza del vivere civile, trasformando  così l’emblematica città di Ghotam in un desolato campo di battaglia, con valori e ideali non sovrapposti, ma affogati nel sangue. Nolan non si ferma comunque alla dialettica tra vissuto interiore e percezione pubblica, va oltre nella creazione ex novo di un personaggio già epico, ma che qui acquista una forza devastante, nichilista tutta nuova: il Joker rinverdito dalla scattante energia di Heath Ledger, mai così vivo, presente e lucido sullo schermo, distante anni luce dalla gigioneria manierata seppur irresistibile del Jack Nicholson di burtoniana memoria, si pone esclusivamente e semplicemente piazzandosi davanti alla macchina da presa, la posa scomposta e il sorriso squarciato di un rosso più nero dell’oscurità di Ghotam, come l’apoteosi di ogni nemesi, di ogni alterità deviata dentro lo specchio della cattiva coscienza di Batman e di tutti i suoi emuli, degli abitanti in preda alla paronia violenta e allucinata della metropoli. Colpisce in questo Joker l’assoluta gratuità del suo infliggere dolore, disperazione, terrore, l’appartenenza alle tenebre che deraglia dalla cattiveria anche divertente del fumetto (forse il limite del Joker di Nicholson, tradurre nell’estro recitativo la caricatura del personaggio) per approdare agli abissi senza fondo delle paure, delle incertezze e delle reticenze di piccoli esseri umani. In fondo è Joker che scioglie tutta l’ingarbugliata matassa sentimentale tra Batman\Bruce, Harvey Dent (l’incorruttibile procuratore distrettuale attraverso cui lo stesso Batman vuole restituire un’immagine di legalità e ordine a Ghotam) e Rachel (la donna amata in gioventù da Bruce e ora promessa sposa di Harvey), incastrandoli in una situazione senza via d’uscita, da tragedia romantica quasi ottocentesca. Proprio la sequenza in cui Batman è costretto a scegliere tra il salvare la faccia pulita della giustizia e il volto della persona a cui è legato a doppio nodo dal ricordo e dal sentimento rivela come la vera natura del Joker travalichi quella di semplice antagonista, di buffone della crudeltà senza compassione, e lo imponga come un burattinaio allucinato dei movimenti, delle azioni e finanche dei pensieri propri e altrui, le cui azioni anzichè dal fato sono mosse dal Male da cui è attraversato in un sadomasochistico senso di auto ed etero distruzione. Joker è anche l’istanza narrante che Nolan usa per rovesciare le carte in tavola, sacrificando Rachel sull’altare di un idealismo utopico che, per un paradossale contrappasso, si spegnerà sulle ceneri del mezzo volto sfigurato di Harvey Dent, tramutato da faccia pulita della giustizia a volto disperato, sfigurato, pieno di rancore e odio, con un passaggio dalla parte oscura della forza che disturba e sconvolge quanto l’effetto del mezzo viso rimasto. E un ulteriore cambio di marcia, ancora una volta passando per i brividi e le provocazioni etiche di Joker, avverrà nella memorabile sequenza notturna delle due navi, entrambe imbottite di esplosivo, anche se con un diverso carico umano: pericolosi detenuti su una, innocenti cittadini sull’altra, tutti consapevoli che la sopravvivenza di un gruppo dipenderà dalla morte dell’altro secondo la logica perversa del gioco condotto dal burattinaio. L’immagine di quel detenuto che getta il timer dalla nave ignaro che dall’altra parte si sta facendo la stessa cosa è probabilmente una delle più alte e dignitose dimostrazioni di come questi piccoli esseri umani possano essere ancora responsabili, solidali e capaci di un pensiero etico. Una sintesi, per una volta aperta alla speranza, nell’eterna lotta tra L’Ombra e la Luce: la possibilità della convivenza tra la cupezza degli uomini pipistrello e il sorriso beffardo dei clown mostruosi.

di Marino Galdiero

Un Cavaliere senza cuore

Muore Rachel (Maggie Gyllenhaal), l’amata del pipistrello nero che più nero non si può. Joker, quel farabutto criminale essenza dell’arbitrio nel mondo e delle uguali condizioni degli umani di fronte all’assurdo della violenza nella vita, ha avuto la meglio anche questa volta. I presunti tutori dell’ordine pensavano di averlo messo in gabbia e invece lui ha sempre tra le sue carte la giocata buona per uscir fuori dai pasticci. Non è che lei l’amasse proprio Batman – Il cavaliere oscuro, un tempo forse sì, poi ad un certo punto s’è rotta di giocare all’uomo mascherato. Che facciamo stasera caro? E lui: Gotham chiama, non posso. E una, e due, e tre, alla quarta lo molla. Ciao bello, o ti togli l’abito o non mi avrai  mai più (mai dire mai!), non sarò per te quella di prima, tra noi due tanta amicizia e buone maniere.  Rachel, povera e unica donna protagonista del film (il genere femminile non è che ci faccia un gran figura con lei), però tentenna, il luogo comune d’altronde la vede mobile qual piuma al vento. Prima sembra aver per la mente solo Harvey Dent, il procuratore, poi si lascia tentare dai languidi sguardi dell’ex, il tenebroso e miliardario Bruce Wayne (l’uomo pipistrello in abiti civili). Incerta tra i due, infine, si dichiara pronta a sposarsi con Dent, proprio quando poco le resta da vivere. Troppo tardi bellezza, troppo facile bimbina cara. L’amore ha i suoi tempi. Ma vibrano seriamente i cuori dei protagonisti per i centocinquantadue minuti di durata della proiezione? Assolutamente no, perché è un film dove non c’è amore. Appare come una astrazione, privo di rapporti con la realtà concreta, tanto da assomigliare a un teorema sotto forma di favola e Schermaglie lo spiega con raffinatezza filosofica qui. Non c’è amore perché salterebbe tutta la costruzione assertiva costruita da Nolan, regolata con una logica narrativa il cui risultato finale offre una unica e sola verità. La tesi di fondo del geometrico e matematico regista, che resta fermo alla sua seconda opera, Memento, e continua a perseguire una concezione banalmente dualistica del mondo, è che alla fine prevarrà sempre il caos, ma non quel caos capace di produrre un inaspettato positivo, al contrario sarà sempre negativo, tale da giustificare un ulteriore intervento violento, un qualcuno incaricato di rimettere e dare un nuovo ordine politico alla società anche con la violenza per l’eccezionalità della situazione. Batman e Joker sono uno la giustificazione dell’altro e Dent è un succube dei due. C’è poi un protagonista collettivo particolare, pur non essendo sempre al centro della scena: la folla di Gotham City. Una metropoli anonima e irrazionale, timorosa e bisognosa di risposte certe, pur quando non esistono reali pericoli. Sappiamo che per la “gente”, in quest’ultimo periodo con le decisioni del governo Berlusconi ne abbiamo fatto esperienza diretta, contano di più le sensazioni, quanto provano indistintamente che altro. Conta di più la “tolleranza zero” che qualsiasi opportunità di convivenza complessa. Anche i politici della oscura città rappresentata sullo schermo con in testa lo stesso Batman non sono meno del Cavaliere nostrano, di un Bush o di chiunque è pronto a vendere l’illusione di legalità e sicurezza. Joker scompiglia le loro mosse e tuttavia lascia sempre un rilancio propagandistico al potere di chi governa. Un barlume di ottimismo epico è buttato lì, quasi per caso verrebbe da dire e non è così, visto che appare quasi come un reperto archeologico di un diverso sentire e vedere, con la scena in cui due gruppi umani  (civili da una parte e detenuti dall’altra) devono decidere del destino reciproco. Si trovano su due navi-traghetto e per salvare la propria pelle hanno la condizione di far saltare in aria gli altri.  Emergono in questa circostanza sentimenti umani ed etici. Non si tratta della piccola speranza in un domani migliore, nulla di tutto ciò. La scena è solo un piccola scheggia di un meccanismo circolare, dove tutto torna sempre uguale, in cui non pare esserci via d’uscita, e tutto lavora a creare un mondo chiuso su sé stesso e nelle proprie paure. Non è questa l’ideologia del Batman di Nolan, non è questo il pensiero di chi governa alle spalle dei più poveri, non è questa la conduzione anarchica del potere teso al vantaggio personale e non sociale, non è questa una paranoia mentale? Credo di sì, per questo non ho amato Bataman – Il Cavaliere Oscuro.

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