Come oramai sappiamo la giuria si è divisa tra i film di Todd Haynes I’m not there e quello di Kechiche La graine et le mulet. Invece per Lust, caution di Ang Lee c’era la maggioranza. La discussione è stata lunga, tanto che si è dovuto derogare al regolamento come racconta il direttore della Mostra Muller: “Di fronte ad una discussione durata undici ore che non si sbloccava, non abbiamo potuto fare altro che recepire le richieste della giuria. Venerdì sera io e Croff (ndr: presidente della Biennale) eravamo alla cena in onore di Bertolucci quando abbiamo ricevuto la comunicazione che la giuria chiedeva l’ex aequo senza il quale non riuscivano ad andare avanti. A quel punto Croff ha consultato il resto del Cda della Biennale ed è stato dato l’ok alle deroghe”. Insomma, considerate le divisioni fra i giurati potremmo concludere che avevano l’imbarazzo della scelta o che fra i contendenti non c’era nessuno che spiccasse fra gli altri. Ma l’ultima ipotesi è debole perché a Lee è infine andato il Leone d’Oro e ai due “litiganti” il premio speciale della giuria ex aequo. Muller stesso avrebbe esitato nel dare il Leone d’Oro, l’incertezza nel suo caso sarebbe stata tra il regista franco-tunisino ed Anderson col suo The darjeeling limited.

Ovviamente non è mancato chi ha fatto notare che per il terzo anno consecutivo il Leone è andato ad un film cinese. Infatti nel 2005 andò allo stesso Ang Lee con Brokeback Mountain e nel 2006 a Still Life di Jia Zhangke. L’osservazione non era priva di uno spunto polemico nei confronti di Muller, stimato e riconosciuto sinologo. Provocazione che ha accolto con tutta tranquillità: “Diciamo che i film asiatici sono il pennino del sismografo del cinema che obiettivamente in questi ultimi anni rileva consistenti movimenti verso Est…”. Non possiamo dargli torto. Ugualmente vivace è quella cinematografia statunitense che cerca di ritagliarsi uno spazio personale ed originale fuori dalle ferree regole commerciali hollywoodiane (Paul Haggis, Wes Anderson, Brian De Palma, Andrei Dominik, Tony Gilroy). Facile a questo punto scivolare sulla questione dei film italiani in Concorso.

Bisogna però fare una premessa: in Italia consideriamo ogni competizione che mette in gioco i nostri colori alla stregua del campionato del mondo di calcio. Con un conseguente sentimento psicologico che oscilla fra due estremi: difesa contro qualunque “straniero” provi a dire qualcosa di negativo sul nostro cinema; critica dura verso quei registi che non rispettano le nostre attese e successivo pianto a dirotto sulle tristi sorti della nostra cinematografia nazionale. Sarebbe il caso di uscire da questo doppio vincolo concettuale con un passo logico all’indietro. Mi spiego, in questo nostro immaginario campionato del mondo cinematografico, l’Italia da almeno venti anni non è al centro del campo. Una volta accettata tale situazione ci si rilassa. È come andare a vedere gli azzurri del rugby contro i francesi, si sa già chi vincerà ma non ci si arrabbia più di tanto perché la disparità fra le due squadre è enorme. I film italiani rispetto alle maggiori cinematografie del momento sono lontani come l’Italia dalla Francia del Rugby (comunque su Marra, Franchi, e Porporati torneremo con maggiore attenzione).

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3 commenti su “Venezia e la sindrome del critico-tifoso

  1. nonostante le numerosissime parole e considerazioni fatte sul cinema e la cultura italiana del momento, non si capisce perché si parta sempre dalla cronaca attuale.
    non credo che il fatto che non ci siano stati film buoni italiani a Venezia rappresenti la dimostrazione dell’inferiorità italiana nel cinema.
    credo che i film italiani presentati a Venezia dovessero accontentare “giochetti” di tipo produttivo e distributivo, tutto qui. molti bei film italiani sono stati messi fuori concorso. il film di lizzani per esempio o quello della guzzanti.non che potessero competere con de palma, haggis, o altri, ma non sono stati presi in considerazione. Credo che la nostra squadra di rugby abbia lasciato gli elementi migliori in panchina se non per strada o nei vivai, non credo ci sia un’effettiva volontà di portare avanti e far progredire il cinema italiano. tifiamo, ma non vediamo in campo i giocatori giusti.
    mi sia permessa la banalità: credo nelle risorse degli artisti italiani, ma non vedo un sistema pronto ad accoglierli o a farli decollare. tutto qua.

  2. sì, perlopiù è così come dice Cabiria. Anche nel cinema, come negli altri settori, non è quasi mai il merito a contare, le motivazioni per cui si manda avanti un film o un autore sono altre, politiche. Paradossale in un periodo in cui la politica sembra contare sempre meno.

  3. pur non rappresentando tutto il cinema italiano i film veneziani sono un’occasione di discussione. anche perché ci sono alcuni autori e produttorui che puntano alla Mostra. Marra come anche gli altri avevano le carte a posto per andare in concorso. partecipazione a diversi festival internazionali (forse meno Porporati), riconscimenti critici, e qualche premio. detto ciò quali sarebbero i “migliori in panchina”?

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