Una Festa e non un Festival. Insistono e ripetono che tutta qui starebbe la differenza fra Roma e qualsiasi altra manifestazione di cinema. Sarà vero? Tanto per cominciare fra i due termini non c’è un baratro, anzi al contrario, c’è più che altro continuità. Per cui questa ripetizione continua sa più di timore che d’originalità. Sembra più indirizzata, in modo scaramantico, a sgonfiare le attese, un volare basso per cercare di sorprendere direttamente sul palcoscenico. Dopotutto la lupa capitolina, quella dei manifesti, perché si sarebbe dovuta mettere dei fascinosi occhiali da vamp? Per sedurre, anche se manca di fascino languido e misterioso, e sembra più una vecchietta vezzosa. Non possiamo neanche dire che gli autori dei film partecipino a titolo disinteressato. Ci sono dei premi, c’è un concorso.

Forse si caratterizzerà per la giuria popolare? Pure questa non è una novità. In tantissimi festival di paese si usa comporle così, e anche negli oratori sparsi da Sud a Nord Italia. Sì, però qui i 50 giurati sono stati scelti fra 3.000 aspiranti che frequentano le sale cinematografiche con una certa regolarità. E a dirigerla c’è Ettore Scola, mica don Peppino di Risceglie. Insomma una festa del cinema non solo per gli addetti ai lavori. Un ruolo forte, secondo gli organizzatori, deve averlo il pubblico comune. Infatti, insieme agli oltre 8000 accreditati, sono gia stati polverizzati più di 35.000 biglietti. L’ambizione è quella di contribuire alla rinascita dell’industria cinematografica nazionale coinvolgendo tanta gente. L’assioma economico sarebbe questo: l’aumento dell’offerta fa crescere la domanda. Ci auguriamo che tali nobili intenti siano perseguiti. Personalmente sono piuttosto scettico. Bisogna essere ingenui, o credere nelle magie, per affermare che qualcosa del genere si produrrà. Potrei scommettere su un guadagno immediato, specie per gli operatori turistici e commerciali della città, ma per il resto ho molti dubbi. Staremo a vedere. Ciò non toglie che dai 100 e passa film che saranno presentati alla Festa non esca fuori un capolavoro o quanto meno una buona programmazione.

Tra i responsabili del progetto ci sono: Giorgio Gosetti, Mario Sesti, Piera Detassis. Solo per citarne alcuni. Tutti professionisti di indubbio valore. C’è però un interrogativo che pone la Festa del Cinema, una questione a cui non è facile dare una risposta, ma che non può essere elusa: a quali criteri deve rispondere oggi, nell’epoca della globalizzazione dei saperi, la politica culturale di un comune di una grande città che, nella circostanza, è anche la capitale del nostro paese. Altrimenti detto: come devono essere impiegati i soldi pubblici o i soldi che i privati danno per iniziative pubbliche. E qui di soldi ne sono stati raccolti tanti: dal gruppo BNP Paribas alla Camera di Commercio, da Ikea a 3 Mobile Media Company. E nel comitato di organizzazione ci sono nomi, i cui interessi non sempre coincidono: da Luciana Castellina a Luca Cordero di Montezemolo, da Francesco Gaetano Caltagirone a Irene Bignardi, da Innocenzo Cipolletta (presidente del “Sole 24 Ore) a Mario Marazziti (rappresentante della Comunità di Sant’Egidio), e poi Gaetano Blandini (direttore generale per il cinema del Ministero per i Beni e le Attività Culturali) e Pietro Calabrese (direttore di Panorama). Mi fermo, la lista potrebbe continuare. Tutti assieme ma per quale cultura? Veltroni non si nasconde dietro un dito, per lui la Festa è sulla scia delle Notti Bianche. Un grande evento, in cui conta più la quantità da comunicare che la qualità, e in cui ogni iniziativa è preconfezionata per il gran circo dei media. Di conseguenza nell’intreccio fra globale e locale, che una manifestazione del genere rappresenta, prevale il primo termine, o quanto meno determina il resto.

Giuliano Prasca, giornalista e assessore alla casa della giunta Petroselli (1979), insiste spesso, con una certa ironia e un gusto del paradosso, nei suoi interventi in radio locali romane, che “Veltroni fa molto per Roma e poco per i romani”.  Sarà vero?

 

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