Buona parte dei cinefili si lecca gli occhi pensando ai 10 big in Concorso alla Croisette. C’è Almodovar con La piel que abito, il fantascientifico Lars von Trier con Melancholia, i fratelli Dardenne con Le gamin au velo, Moretti con Habemus Papam, Cavalier con Pater, Kaurismaki con Le Havre, Mihailenau La source des femmes e Takashi Miike con Ichimei. Per non parlare di Terrence Malick, in competizione con The Tree of Life, uno dei film più attesi degli ultimi anni. C’è anche Sorrentino con This Must Be the Place che condivide con Malick l’attore Sean Penn. Insomma, ci possiamo dire soddisfatti nonostante tutto quanto sta capitando in questi anni nel mondo delle immagini, il cinema va avanti a gonfie vele per la sua strada. Ma è veramente così? E i Festival, anche quello di Cannes, non rischia di essere una cerimonia vuota? C’è chi in proposito la pensa in maniera piuttosto chiara e si chiama Gianni Canova, critico cinematografico fondatore del mensile di cinema Duel, poi diventato duellanti, numerose le pubblicazioni e le collaborazioni giornalistiche. Non sopporta i luoghi comuni e cerca di andare oltre gli allestimenti promozionali messi su per Cannes dalla macchina dei media. Gli abbiamo posto qualche domanda telefonicamente.

Com’è questo Festival?

È un festival che ha 65 anni e li porta molto male. Si ha come l’impressione che a ogni edizione si ripeta un rito di coscritti che si ritrovano intorno a metà maggio sulla Costa Azzurra con molta nostalgia per i tempi in cui erano giovani e avevano energie e amori più travolgenti di quelli attuali. Mi sembra il festival dei soliti noti, in rigoroso ordine alfabetico: Almodovar, Kaurismaki, i fratelli Dardenne, Lars von Trier e via compitando. Tra tutti i film selezionati in Concorso ce ne fosse uno, non di esordienti, ma di registi o autori che non erano mai stati in concorso o nelle edizioni precedenti. Mi sembra un meccanismo autoreferenziale, endogamo, che ripropone di anno in anno stancamente il medesimo rito, con questi autori che sono autori da Festival, ogni loro film viene selezionato come se fosse meritevole di andare sulla Croisette. Lo spazio concesso alle produzioni piccole, indipendenti, spregiudicate, agli esordienti, ai giovani è quasi zero. Detto questo, mi sembra un festival senile.

Perché si procede in questa maniera?

Perché il festival di Cannes, come quello di Venezia o Berlino sono megastrutture novecentesche che non hanno la forma mentis per adeguarsi al nuovo. Cannes è nato nel ’46, da allora è cambiato il mondo, è cambiato il cinema, è cambiato tutto e la struttura del festival è ancora quella di 65 anni fa. Ma proprio non ce la fanno a capire che ci sono altre forme, penso per esempio all’esperimento dell’anno scorso di Ridley Scott, con l’invito ai cineasti di tutto il mondo di raccontare il 24 luglio con l’audiovisivo e di far circolare le immagini nella stessa giornata su youtube (ndr: un anno fa Ridley Scott e Kevin McDonald hanno invitato il popolo della rete a filmare un giorno della loro vita, per la precisione il 24 luglio 2010. Dalle migliaia di contributi ricevuti è stato realizzato un film, chiamato appunto Life in a Day e presentato allo scorso Sundance Film Festival). Mi sembrano esperimenti molti più interessanti e innovativi. Cannes mi pare rappresenti a tutti gli effetti il vecchio.

Forse il meccanismo dello spettacolo, le esigenze commerciali prendono il sopravvento, questa anche è la ragione?

Ma no, no! Non è vero! Il cinema sta perdendo incassi ovunque, la gente non va più in sala, ci rendiamo conto di questo o no? Fintamente i giornali, i media continuano a ripetere lo sfarzo della Croisette ma non è così. Basta parlare con qualche esercente per capire la situazione. Per fare un esempio: Hollywood è in una crisi nera, non c’è un film americano capace di incassare, di innovare il linguaggio. È un disastro, eppure si fa finta di niente. È più comodo continuare a far finta che il nuovo non esista e a guardare il mondo con gli occhiali del vecchio che non farsi carico della difficoltà del cambiamento e di passare dentro un nuovo paradigma culturale.

E i film che vincono i premi?

Il film che ha vinto l’anno scorso a Cannes qual è? Chi l’ha visto? Il film che ha vinto a Venezia dov’è? Allora questi grandi carrozzoni che erano nati col nobile intento di promuovere i film e di far conoscere quei film che altrimenti non sarebbero mai arrivati al grande pubblico, adesso hanno come unico obiettivo di promuovere se stessi. Sono delle macchine autoreferenziali che non promuovo i film e gli autori e secondo me fanno male al cinema e agli autori, perché veicolano un’idea di cinema che è vecchia e non è quella capace di intercettare gli interessi delle nuove generazioni. La mia è una posizione radicale. Siamo in pochi a pensarla così ma sempre in meno pochi.

Cosa pensa dei film italiani che andranno in Concorso: Moretti e Sorrentino?

Penso che c’è un film che rappresenta il futuro del cinema, non solo italiano. E l’altro che rappresenta il passato. Non dico quali, lascio a voi capire di quali si tratta.

Immagino che il futuro sia Sorrentino o no?

L’ha detto lei e io non ho obiezioni.

Lei è molto critico con i Festival e con Cannes. C’è però la Quinzaine des Réalisateurs…

È certamente la più vitale, quella per cui vale meno il discorso che ho portato avanti sinora. Da sempre è stato così, perché la Quinzaine sin dalla nascita si costituisce come luogo più vicino agli autori, alla ricerca, alla sperimentazione, da lì sono venute le scopertepiù folgoranti di Cannes. Però attenzione la Quinzaine è una manifestazione a parte, non organicamente inserita nel Festival, ha anche un’altra direzione e comitato di selezione. Coincide temporalmente con le giornate del Festival ma è un’altra cosa.

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4 commenti su “CANOVA: “CANNES? UN VECCHIO CARROZZONE”

  1. interessante, per confermare che la gente non va più in sala qui a Pesaro due sale sono già chiuse per ferie

  2. la gente va meno in sala anche se continua a consumare molte immagini. chi frequenta i festival non può non avere una sensazione di déjà vu.

  3. Comunque ho provato anche io la sensazione che in molti punti il film di Moretti rappresenti il passato e confesso che non mi divertono più le sue ossessioni, anche quelle, oltre allo stile mi sembrano fossili.
    Paradossalmente il vero elemento di novità lo regala l’85enne Piccoli.

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