Ritratto ammirabile del destino di un uomo, Eldfjall, opera prima del giovane regista islandese Rúnar Rúnarsson, è un melodramma realistico dalla costruzione limpida e rigorosa. I titoli di testa scorrono sulle impressionanti immagini d’archivio dell’eruzione di un vulcano. L’evento ha luogo negli anni ottanta in un gruppo d’isole al largo dell’Islanda: fiamme e lava illuminano con il loro splendore macabro la notte, scaturendo dietro una collina su cui spiccano, in controluce, i contorni delle case. In una scena girata di giorno vediamo poi i muri bruciati, gli edifici crollati e la gente che, con pochi averi, abbandona il luogo. Cut.

Hannes, un uomo di una settantina d’anni, custode in una scuola, spiega i segreti del mestiere al suo successore; è giunta per lui l’ora di andare in pensione. Burbero, fiero e di poche parole l’uomo accetta con malcelato fastidio il breve discorso d’addio del direttore della scuola. A questo punto inizia per Hannes il vuoto che è il resto della sua vita.

Nel piano seguente l’obiettivo ci mostra un close-up del volto dell’uomo seduto nella sua macchina, di profilo. Da un occhio sembra quasi colare una lacrima: di colpo Hannes si alza ed esce di corsa dal veicolo mettendo così fine a quello che era, in realtà, un tentativo di suicidio.

A casa lo aspetta una moglie gentile e premurosa ma lui trova da ridire su ogni cosa; rimprovera bruscamente il nipotino che, giocando in giardino, gli rovina le piante; accoglie di malumore suo figlio e sua figlia che sono venuti a pranzo; a tavola si lamenta per la zuppa. Tutto gli dà fastidio e non sa fare altro che comportarsi in modo astioso e sgarbato.

Hannes sembra essere felice solo quando va a pesca sulla sua vecchia barca ma anche qui le cose si mettono male: a largo la barca incomincia a fare acqua e deve essere rimorchiata d’urgenza dai guardiacoste. Appena tornato a casa, ancora inzuppato fradicio, Hannes sorprende una discussione fra i suoi figli che si chiedono come la madre possa ancora sopportare un uomo così difficile e ingrato.

Hannes di fatto non ha mai appreso a esprimere i suoi sentimenti, a condividerli con chi gli sta accanto; quando soffre si rinchiude semplicemente in se stesso. Le parole ascoltate di nascosto fanno breccia nel suo cuore, sente che è giunto il momento di cambiare le cose.  Di notte di avvicina con affetto alla moglie: in una scena di amore coniugale tenera e toccante la coppia si riconcilia.

Ma la felicità è di breve durata, il giorno dopo la moglie verrà colpita da una gravissima emorragia cerebrale. Ormai incosciente e completamente paralizzata la donna ha bisogno di cure costanti. Hannes vuole riportarla a casa e occuparsene di persona; cocciuto e determinato si batte contro la volontà dei figli che vorrebbero affidare la terapia della madre a un centro specializzato.

Con affetto e tenerezza l’uomo si applica a seguire alla lettera le consegne e i consigli di un’infermiera che gli dà una mano. Passa notte e giorno al capezzale della malata; la pulisce, le cambia i panni, le parla, le legge dei libri, la imbocca facendo prova di sollecitudine, premura e di infinita tenerezza.

Pian piano Hannes sembra recuperare anche il contatto con il resto della sua famiglia; con i figli che finiscono per accettare la sua decisione di curare la madre a domicilio, e ancora di più col nipotino con cui tesse una vera e propria complicità: il bimbo lo aiuta infatti a riparare la sua vecchia barca, ormeggiata ormai nel giardino della casa.

Il regista prende il tempo di filmare lungamente la quotidianità della coppia; la malattia e il suo decorso vengono mostrati con una dovizia di particolari che rende a tratti la visione veramente penosa e dolorosa. La donna completamente staccata dal mondo e incapace di comunicare soffre orribilmente e si abbandona a delle lunghissime crisi di pianto. Queste scene- magistralmente interpretate da Margrét Helga Jóhannsdóttir – sono letteralmente strazianti.

Hannes, ormai stremato, cerca conforto nelle immagini di un passato felice. Su uno schermo proietta delle vecchie diapositive; la moglie, una giovane donna graziosa e piena di vita, abbraccia i bimbi e sorride serena all’obiettivo. A questo punto prenderà una decisione cruciale, ultimo e sommo gesto d’amore nei confronti della sua compagna.

Eldfjall è un romanzo di formazione di un uomo giunto alla terza età; nel corso della vicenda Hannes apprende di nuovo, e forse per la prima volta, ad affrontare la vita e raggiunge la maturità. Il regista costruisce qui il periplo di un’esistenza; alle scene di fuga dall’isola dell’inizio corrispondono le scene finali del funerale della moglie, che si svolge proprio su quelle stesse isole – la terra natale dei due protagonisti – abbandonate tanti anni prima in seguito all’eruzione del vulcano.

Il ciclo vitale di Hannes e quello della narrazione si compie così in una traiettoria circolare. Rúnar Rúnarsson dimostra in Volcano una grandissima capacità d’introspezione psicologica; attraverso uno studio fine e perspicace del comportamento umano riesce a instaurare uno stato di totale empatia nei confronti del protagonista. Il regista opta per un linguaggio cinematografico tradizionale; l’impronta realista del film si riflette in un allestimento curato nei minimi dettagli e va di pari passo con una struttura narrativa compatta, dall’evoluzione lineare.

Emozione e sentimenti sono gli ingredienti principali di questo melodramma ma Rúnarsson sa evitare la trappola di un sentimentalismo mieloso e crea una storia forte,  costruita su un’osservazione attenta dei gesti del quotidiano e dei moti d’animo dei suoi personaggi in uno stile pacato, dominato dal  ritegno.

Eldfjall conta su un’ottima sceneggiatura che riesce spesso a sorprenderci con delle svolte impreviste. Il regista abborda inoltre con grande sensibilità un soggetto tabù come quello dell’eutanasia inserendolo in un contesto concreto che ci dà la giusta misura di questo problema etico capitale.

Il film eccelle infine per le interpretazioni straordinarie dei suoi attori; in primo luogo quella di Theódor Júlíusson –Hannes- accolto da una lunghissima standing ovation alla fine della proiezione.

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