CANNES 2021

UN CORPO IN TRASFORMAZIONE PER UN FILM ECLETTICO

Dopo avere fatto sensazione con Grave, un racconto di formazione horror su sfondo di cannibalismo, presentato alla Semaine de la Critique nel 2015, Julia Ducournau è tornata a Cannes con il suo secondo lungometraggio, Titane, che si è aggiudicato la Palma d’oro assegnato dalla giuria presieduta da Spike Lee.

Titane, spazia fra i generi, mischia scene gore e elementi di cinema fantastico per costruire un melodramma intorno al tema della diversità e del rapporto fra padre e figlia/figlio. In questo progetto, che non manca di ambizione, la regista ci regala una serie di sequenze visualmente molto suggestive ma perde ad un certo punto il filo del suo racconto e la forza di alcune scelte estetiche ardite, appesantendo la narrazione, soprattutto nella parte finale del film, con un crescendo esponenziale di effetti melodrammatici. 

Le immagini che scorrono sui titoli di testa danno subito il tono: sul fondo di un rock a tutto volume, la cinepresa sonda un groviglio di tubi dai bagliori sinistri, come un grosso ventre di metallo, penetrando in profondità nei suo misteriosi ed oscuri meandri.

Una macchina corre a tutta velocità, al volante un uomo, duro ed intransigente, va innervosendosi a vista d’occhio perché il suo bambino o la sua bambina- il sesso non è subito evidente-  seduto sul sedile posteriore fa rumore e gli da fastidio. Si capisce subito che qualcosa andrà storto.

 L’uomo, interpretato con verve dal regista ed attore Bertrand Bonello, scostante ed inflessibile quanto basta per diventare immediatamente odioso, alza a tutto volume la musica per non sentirla più. La bimba inizia a dare dei calci nel suo sedile, il padre continua ad ignorarla, poi, per attirare la sua attenzione, lei si slaccia la cintura di sicurezza. Finalmente il padre si volta. Cut. In un ospedale la cinepresa inquadra la bimba che sta per essere dimessa. Sul lato della testa, per suturare la frattura del cranio, i medici le hanno impiantato una placca di titanio.

D’ora in poi Alexia sarà diversa: ma se il titanio la allontana sempre di più dagli altri esseri umani, l’avvicina certamente alle macchine e alla loro massa di ferraglie.

La vera storia inizia qui con una sequenza estremamente suggestiva che ci trasporta in uno spazio non meglio definito, scuro, enorme, una specie di hangar nel quale vengono esposte delle macchine da corsa che somiglia molto più ad una discoteca underground che ad una fiera di automobili.

La musica è assordante. Una ragazza, alta e magra dal fisico androgino cammina a passo deciso verso questo luogo. Si tira su i capelli e li fissa con un lungo spillone di metallo, la placca di titanio sul lato della testa le da un aspetto insolito e straniante. Alexia- interpretata dall’esordiente Agathe Rouselle- lavora come ballerina per eventi di questo tipo; si spoglia, si riveste per l’occasione con una tenuta particolarmente sexy e inizia a danzare in una fantasmagoria di colori ed acciaio su una macchina fra l’entusiasmo degli astanti. 

Certamente questa è una delle sequenze visualmente più riuscite del film e dimostra l’indubbio talento della regista nel ricreare delle atmosfere dark, leggermente surreali. La fotografia lucida e sontuosa di Ruben Impens sublima meravigliosamente il chiaroscuro dello spazio, il fulgore sinistro del metallo e la vulnerabilità luminosa della pelle.

Il modo brusco della ragazza, il suo carattere selvaggio, la sua bellezza androgina e la placca di titanio sul lato del cranio, invece di allontanare gli altri, uomini o donne che siano, li attira sessualmente. Uscendo dal lavoro Alexia si ritrova sola di notte su un parcheggio enorme buio e deserto, un uomo la segue. Alexia entra in macchina ma il ragazzo che l’ha seguita insiste, vuole almeno un autografo, dice di essersi follemente innamorato di lei. Quando Alexia apre a malincuore il finestrino, l’uomo tenta violentemente di baciarla. Con una mossa veloce e sicura, Alexia tira fuori dai capelli lo spillone di metallo e glielo pianta in un orecchio. L‘uomo muore sbavandole sul collo. Correndo all’impazzata nell’hangar dell’esposizione per farsi una doccia Alexia sente un rumore possente, una vibrazione tellurica che l’attira con la forza di un richiamo amoroso. Il metallo attrae il metallo: in una scena di sesso sfrenato, Alexia finirà per unirsi carnalmente con una macchina. Non senza conseguenze.

Alexia resta incinta, lascia strane macchie di olio da motore sul suo letto e il suo ventre inizia gonfiarsi. Mentre tutto ciò accade la ragazza, che sembra avere già un paio di persone sulla coscienza, continua la sua crociata cruenta ed uccide con lo spillone e con quanto altro le capita sotto mano tutti coloro che cercano o sperano di poterla amare.

Sentendosi ormai braccata- la notizia di una serial killer nella zona è ormai su tutti gli schermi- deve fuggire. In un ultimo e definitivo gesto di violenza darà fuoco alla casa dei suoi, con i quali abita ancora, eliminando definitivamente l’odiato padre al quale deve la sua deformità. Con questo episodio termina la prima parte del film, la sezione più propriamente gore di Titane.

La seconda parte mantiene l’elemento del fantastico- la gravidanza causata dalla macchina prosegue e il ventre della ragazza diventa da un giorno all’altro sempre più evidente, ma si sviluppa lungo una linea narrativa diversa, decisamente melodrammatica.

Una volta arrivata all’aeroporto Alexia, che spera ancora di potersi mettere in salvo, si rende conto di essere in trappola: la televisione sta già diffondendo il suo identikit.

Veloce, decisa e reattiva la ragazza vede su un muro l’avviso di ricerca di un bimbo, Adrien Legrand, scomparso una ventina d’anni fa, con un disegno di come potrebbe essere oggi. Scoprendosi una vaga somiglianza con l’immagine sulla locandina Alexia corre in bagno, si taglia i capelli, si rompe il naso sul lavandino per dissimulare i tratti del suo volto e si presenta dalla polizia dichiarando di essere lo scomparso.

 A questo punto c’è un vero e proprio colpo di scena perché nel ruolo del padre di Adrien, a metà film, subentra Vincent Lindon, attore culto, Palma d’oro a Cannes per la migliore interpretazione maschile nel 2015 (La Loi du marché). La presenza di Vincent Lindon, che indossa in Titane un ruolo assolutamente inedito, costituisce un vero punto di volta, non solo narrativo ma anche stilistico nel film.

Lindon impersona nel film Vincent Legrand il capo di una caserma di pompieri che dirige come se fosse il suo regno. Burbero e duro, ma solo in apparenza, l’uomo non desidera altro che ritrovare il figlio perduto – o forse sarebbe meglio dire un figlio tout court- ed è pronto a riconoscere subito, senza neanche fare un test ADN- la strana creatura che si trova difronte come suo figlio.

Adrien/Alexia inizierà a vivere con il suo supposto padre nella caserma dei pompieri e verrà integrato subito alla brigata che, ovviamente, lo accoglie con diffidenza e un certo scherno. Ma Adrien, contro ogni aspettativa, riuscirà a farsi valere sul lavoro salvando un giorno una donna con un massaggio cardiaco.

L’onirismo del film si dispiega in varie scene d’incendi, in parte reali, in parte simulati in cui i pompieri vagano in spazi vaghi ed indefiniti, immersi nel fumo o lambiti dalle fiamme o ancora in una scena di festa virile nella caserma in occasione della festa nazionale del 14 luglio immersa in un’atmosfera piena di testosterone e di potenziale violenza in cui Adrien/Alexia costretto ad esibirsi sul tetto di un camion non può fare altro che ballare da donna, da ballerina quale è sempre stata.

Questa seconda parte della storia ci descrive il rapporto fra la protagonista e il padre d’adozione; un rapporto in cui la ragazza passa dalla diffidenza e l’aggressività – tenterà di uccidere anche lui con il suo famoso spillone ma l’uomo che sa reagire a questo tipo di situazioni respingerà il colpo-  all’accettazione e finalmente all’amore. Titane si chiude con una scena di parto.

Al di là dei corpi, del loro genere, della loro particolarità o deformità il bisogno profondamente umano di prendersi cura degli altri è un segno fondamentale di umanità.

Interessata da sempre alla trasformazione del corpo umano, alla fluidità dei generi e alla condizione della diversità nella nostra società, Julia Ducournau, crea una fiaba dark suggestiva ma stilisticamente diseguale.

Di questo film eclettico, oltre alla capacità della regista di creare delle atmosfere tenebrose particolarmente riuscite, ricorderemo l’interpretazione strepitosa di Vincent Lindon nel ruolo struggente di un vecchio comandante di brigata, un duro di mestiere, che deve riempirsi ogni giorno di steroidi per potere andare avanti, un uomo dal cuore tenero con un istinto paterno, letteralmente, a prova di fuoco. Ricorderemo pure la figura inquietante della giovane protagonista, un ruolo complesso che Agathe Rousselle indossa con bravura e convinzione in un’interpretazione coraggiosa, piena di grinta che le aprirà sicuramente molte porte nel futuro.

L’entusiasmo in sala, alla fine della proiezione stampa, era molto contenuto.

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