STE. ANNE di Rhayne Vermette

CONVERSAZIONE CON RHAYNE VERMETTE

“Ste. Anne è un film su molti luoghi e molti miti, è un film fatto con amore e riflette le mie esperienze di vita a Manitoba, le storie di famiglia e i racconti della mia gente.” Così ha presentato il suo film Rhayne Vermette parlando a uno dei programmatori del Forum.

Ste. Anne è stato senza alcun dubbio una delle proposte più sorprendenti della selezione di Forum quest’anno; un film intriso di poesia, terso e teso, in cui ogni immagine è rara e preziosa come una gemma o piuttosto come il referto di una civiltà sommersa. La regista ha saputo creare un film profondamente personale sul ritorno alla propria terra, alla propria tradizione di miti e leggende tramandate da una generazione all’altra. Con uno slancio furioso e meditativo alla volta, Rhayne Vermette posa il suo sguardo inquisitivo sulle meraviglie della natura, la bellezza di un volto, il rosso del fuoco o la luce cristallina dei paesaggi invernali in una narrazione frammentaria, fatta di folgorazioni e di atmosfere uniche. In questo fiume di immagini emergono i volti di famigliari ed amici chiamati ad impersonare i vari personaggi di una trama sospesa ed incerta. Le immagini granulose e striate, prodotte da un’infinita di pezzi di pellicola diversa, creano un palinsesto suggestivo e perfettamente coerente. Il suono denso e stratificato del film tesse l’ordito di un suspense senza fine. Ogni fotogramma, fulgido, passa sullo schermo senza mai svelare il suo mistero e ci tiene all’erta fino all’ultimo istante.

Rhyane Vermette ci ha parlato con grande franchezza e simpatia del suo lavoro su questo progetto ambizioso ed assolutamente low budget sul quale ha passato gli ultimi sette anni della sua vita.

Il tuo film mi ha affascinato per diverse ragioni. Prima di tutto per la sua estetica, che trovo mozzafiato, ma anche per la storia piuttosto complessa che “sembra” raccontare e per quel senso di mistero che lo pervade. Come è nato il desiderio di fare questo film?

Vedo davvero questo film come un pezzo in un grande ‘continuum’ di lavoro. Questo lungo processo di creazione, che è diverso per ogni film, è ciò che mi attrae principalmente in ogni nuovo progetto. L’obiettivo principale per me è quello di sviluppare un linguaggio cinematografico che corrisponda alla mia visione.

Cerco sempre di raccontare una storia in un modo, diciamo, impressionistico. È davvero come un gioco. Non mi interessa affatto fare un film con una struttura ‘classica’, mi interessa molto di più sondare il rapporto degli attori con lo spazio naturale che li circonda. La scommessa che ho fatto con me stessa per Ste. Anne è stata come scoprire una storia e come raccontarla giocando con le immagini e con i suoni. Questo processo mi affascina e mi spinge a fare dei film. Cinque anni fa la maggior parte dei miei film erano film d’animazione, dove facevo tutto da sola: l’animazione, le riprese ed il montaggio! In questo senso Ste. Anne rappresenta anche una nuova sfida per me; nonostante le persone con cui ho lavorato siano degli amici e dei membri della mia famiglia ho dovuto scoprire come collaborare con loro, senza perdere il mio tocco personale.

Sono d’accordo con te, una sceneggiatura tutta costruita secondo uno schema prestabilito, non è particolarmente eccitante, al contrario il tuo film ci sorprende ad ogni istante, con ogni nuova immagine…

Mi sembra importate raccontarti che ho studiato architettura, non cinema. Direi che questo aspetto influenza in modo essenziale il mio modo di fare cinema. Uno degli architetti che mi ha ispirato di più è stato un architetto italiano, Carlo Mollino (1905-1973). Mollino era straordinario perché ogni giorno cercava di reinventare la forma dell’architettura. Seguendo il suo esempio ogni giorno mi alzo e cerco di reinventare qualcosa… Non mi interessa fare film che assomiglino agli altri film che vedo. Mi piace molto l’esperienza del cinema e cerco di farne un qualcosa di personale creando qualcosa che non ho mai visto prima!

In Ste. Anne c’è, nonostante tutto, un abbozzo di trama; la storia di René che riappare improvvisamente, la storia di sua figlia Athènes, quella fratello di René, di Éléonore e della nonna; tutti questi personaggi formano una storia familiare che mi sembra essere anche un po’ la storia delle tue radici. Potresti parlarmene?

Dato che la sceneggiatura era molto vaga, una volta che abbiamo iniziato a girare abbiamo creato delle immagini improvvisando varie cose; è stato tutto un processo ‘intuitivo’. La storia si è costruita gradualmente intorno alle mie riflessioni personali su cosa significhi essere una ragazza e crescere nella regione di Manitoba. Mi sono ispirata alla famiglia di mio padre che è una famiglia Métis. Nel film ci sono molte storie di famiglia e molte leggende Métis. I soggetti che mi hanno guidato sono davvero molto eterogenei per questo ho cercato di usare dei filoni narrativi circolari e ho poi ho cercato di trovare delle intersezioni fra un filone e l’altro per raccontare la mia storia. La narrazione del film viene davvero dalle mie esperienze personali e da quelle della mia famiglia. Volevo anche riflettere sulla nozione di “meticciato” e capire cosa significa per me come artista e come donna essere franco-manitobana. Il Manitoba è un luogo molto polarizzante; le estati sono molto calde, gli inverni molto freddi, è davvero un luogo di estremi. Pensando alla mia storia, alle mie immagini, al mio film e ai suoni ho cercato di collocarli al centro di questi estremi. Questo è uno spazio davvero complicato dove accadono un sacco di cose..

Il rapporto fra storia e memoria mi sembra un aspetto cruciale del tuo film. Sei d’accordo?

Sì, la memoria è storia. Come regista il mio compito non è quello di risolvere le questioni, ma piuttosto di complicarle un po’! La memoria e la storia s’intrecciano e si fondono nel mio film creando uno stato quasi fluido che a me piace molto.Ho voluto fare questo film per esplorare il personaggio di mio padre e la mia identità meticcia. Paris Texas di Wim Wenders è stato un’ispirazione per me perché il personaggio di Travis Henderson interpretato da Harry Dean Stanton mi ha sempre ricordato mio padre che è un uomo molto tranquillo e misterioso, così ho cercato di scrivere una specie di Paris-Texas tutta mia! (ride) 

Infatti, c’è amore e malinconia in Ste. Anne cosi come in Paris-Texas, un film che mi tocca molto.

Il tono malinconico viene forse dal mio desiderio di riconnettermi con una famiglia, con degli spazi. Per me, fare il film è stato un processo di riconnessione con l’altro. La maggior parte degli attori sono dei membri della mia famiglia, ci sono i miei cugini e poi c’è mio padre. È stato un processo molto intimo, molto personale. Onestamente parlando, è stato fantastico fare questo film con la mia famiglia!

Vorrei citare due scene in particolare che trovo davvero stupefacenti: la festa di Natale in famiglia e l’episodio misterioso con le suore.

Queste due scene riflettono i miei ricordi d’infanzia. Tanti anni fa avevamo passato il Natale con la famiglia dei Vermette ed è il mio padrino che racconta la tutta la leggenda. Basandomi su questi brandelli di memoria, su queste reminiscenze scrivo sempre ed esploro ciò conosco. I miei film sono uno specchio di me stessa, della mia famiglia e della regione del Manitoba.

La bellezza di queste scene deve molto al modo suggestivo con cui sono filmate; gli interni bui sono illuminati con luce naturale e la cinepresa fluida si sposta nello spazio concentrandosi sugli oggetti e le mani degli astanti. Potresti parlarmi del tuo modo di filmare?

 Ste. Anne’s è nato da una serie di limitazioni e di condizionamenti dovuti alla mancanza di fondi, è davvero un film low budget. Volevo assolutamente pagare i miei amici e le donne che hanno lavorato al film, i soldi li ho adoperati in modo prioritario per questo. Per quanto riguarda più concretamente le riprese mi piace lasciare liberi di recitare i miei personaggi sul set, dare loro dello spazio, ed è per questo che molte delle scene sono state improvvisate. Quando sto girando penso che la storia la “troverò” dopo in sede di montaggio. Quando stavamo girando volevo catturare delle immagini molto frammentate che non avrebbero avuto bisogno del suono di sincronizzazione per avere un senso. Peraltro ci sono molti tipi diversi di immagini nel film; ci sono per esempio delle immagini che ho girato durante la preparazione del film, quando passavo molto tempo con mio padre nel suo camion cercando le location e quelle fatte dopo con la troupe e ci sono molti stili diversi.

Come hai lavorato al montaggio del film?

L’editing per me è una magia! Monto sempre da sola i miei film, per me il montaggio è come la musica, che amo più di tutto al mondo! Quando monto penso davvero alla musica per le sue qualità effimere e poi sono davvero ispirata dalle rovine, da tutto ciò che è frammentario, sconnesso, incompleto. Cerco sempre di “lacerare” la narrazione nel mio editing creando dei   nuovi assemblaggi, giocando con l’idea del sample. Sono influenzata dalla musica hip-hop e per questo mi piace molto l’idea del sample. Quando filmo penso sempre in termini di sample visivi e sonori, è tutto un processo puramente intuitivo. Monto un film nello stesso modo in cui compongo una canzone. Per me c’è una musicalità inerente alle immagini stesse. In fin dei conti penso che l’enorme impegno che ho dovuto mettere nel montaggio per superare tutte le limitazioni di mezzi con i quali mi sono dovuta confrontare durante le riprese ha davvero dato una sua voce e una sua forma inconfondibile a Ste. Anne!

Potresti parlarmi della banda sonora del tuo film?

Per me, il suono è un elemento molto importante, è quasi l’80% di un film! Quando stavamo girando, avevo già in mente il suono. Il suono ci permette di mettere qualcosa di concreto in un’inquadratura quando un’immagine, che forse è un ricordo o un sogno, non c’è più.Per quanto riguarda la musica ho lavorato con diversi artisti Métis qui a Manitoba ed in particolare con Bret Parentau che è un artista autoctono di Winnipeg; anche lui lavora con il suono seguendo l’idea di sample. Per un anno mi ha mandato delle canzoni e io le ho inserite nel montaggio. Poi, insieme, abbiamo rielaborato il suono. È stata davvero una bella collaborazione!

Che tipo di supporto hai usato per filmare?

Tutto il film è stato girato su pellicola, ma con diversi tipi di pellicola! Così abbiamo avuto Dayligyht, Tansten, Hectachrome… L’idea di un collage m’ispira molto, come avrai già capito! (ride)

Tutti queste pellicole conferiscono, nella loro diversità, alle immagini del film una qualità eminentemente sensoriale.

 Mi piace sempre lavorare con la pellicola perché cambia il mio rapporto con le immagini; il fatto di non poterle vedere immediatamente, il fatto di passare un mese a pregare che tutto vada bene, cambia tutto per me. Mi piacerebbe continuare a lavorare con la pellicola perché rende le mie immagini un po’ più preziose, aprendo la mia pratica il mio lavoro  più spirituale, perché le immagini rimangono nella mia testa per molto tempo prima di poterle vedere.

Il tuo film trasmette anche un messaggio politico, legato alla questione del tuo territorio e della tua identità, mi sembra.

Certamente! Qui a Manitoba si parla parecchio della nazione Métis, ma di fatto tutto si riduce a delle discussioni tediose su delle figure storiche o a delle questioni di psicopatologia legate al problema dell’identità. La questione della nazione Métis per me è qualcosa di molto più sfumato, molto più complesso, è una cosa spirituale. Ste. Anne è davvero un film politico, non solo nel suo contenuto ma anche nella sua produzione: infatti, la mia troupe era composta solo da amiche e donne autoctone. Anche tutti gli attori erano Métis. Non mi interessava per niente fare un film esclusivamente con degli uomini ‘bianchi’ dell’industria cinematografica. Nel mio progetto abbiamo dato spazio a persone che potevano lavorare anche senza avere una formazione specifica. Le abbiamo aiutate e se la sono cavate benissimo! Anche il modo in cui viene raccontata una storia è un atto politico. Ci sono molte storie indigene che vengono raccontate in vari film, ma sempre con una narrazione completamente lineare. Ma per noi indigeni, le nostre leggende non sono mai raccontate in questo modo con una struttura narrativa tradizionale.

Qual è stata la più grande soddisfazione che hai avuto nel fare Ste. Anne?

Per me la cosa più eccitante, onestamente, è stata l’esperienza di fare il mio primo lungometraggio! Ho avuto un sacco di fan, un sacco di gente che mi ha davvero aiutato, molto amore e preghiere per realizzare questo film…. È stata davvero una gran bel esperienza. Mi è anche piaciuto molto lavorare con gli attori; è un compito difficile ed è ancora più difficile quando questi attori sono dei membri della tua famiglia, ma questa scelta mi ha dato performance molto più naturali. Vorrei continuare a esplorare la mia direzione d’attore sempre nel quadro di una narrazione anticonformista, intuitiva e discontinua. Dopo la fine del film, devo ammetterlo, mi sono sentita un po’ depressa e in questo momento sto cercando di capire cosa fare prossimamente.

Un altro film, forse?

Sì, forse, ma fare la Ste. Anne è stata un’esperienza davvero intensa. Il film mi ha preso sette anni. Due o tre anni di ricerca e scrittura, due anni e mezzo di riprese e poi un anno e mezzo di montaggio. È stato un processo molto lungo quindi sono un po’ persa.

Auguro a Ste. Anne di viaggiare il più possibile e di essere visto ovunque nel mondo sui grandi schermi! Grazie per questa bella conversazione.

Grazie a te!

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