[°°°°] – Il difficile è decidere da che parte cominciare. Prenderla come una sfida, una caccia grossa alla ricerca di un dettaglio, un particolare fatto bene, spulciando uno per uno tutti gli angoletti senza disperare. Per raccogliere le idee e cimentarsi nell’impresa, intanto si può partire con la trama: l’epico scontro fra l’imperatore Federico detto il Barbarossa e i comuni italiani del XII secolo –  guidati dall’indomito Alberto da Giussano – raccontato con dovizia di effetti speciali, ricostruzioni al computer e comparse, nel dichiarato intento di puntare al mercato internazionale. Ora, raccolte le idee, la ricerca di qualcosa da salvare può cominciare.

Martinelli – soggettista, sceneggiatore e regista – lavora duro per complicarci la vita: non azzecca un’inquadratura, procede per bozzetti aneddotici che sembrano ricavati da una puntata del Bagaglino, abusa di primi piani didattici, ora nobili ora efferati, scrive battute indecenti pronunciate in stile recita scolastica, gira decine di sequenze in fiumi immobili e cerca di spacciarle per scene d’azione muovendo la macchina da presa a scatti e montando tutto a casaccio. All’ennesimo dolly gratuito dall’alto verso il basso, mentre i personaggi non fanno che raccontarsi a vicenda la trama e il contesto storico con battute ricopiate da qualche vecchio sussidiario scolastico, anche chiudendo un occhio su una computer grafica appena accettabile, ed entrambe le orecchie all’insopportabile e invadente colonna sonora rubacchiata in giro (“Il Gladiatore”, of course), una fitta di dolore coglie lo spettatore. Il nostro accetta sospirando titoli di testa e didascalie da filmino del matrimonio; scopre, intontito, come fabbri e pasci–pecore dell’Alto Medioevo non facessero altro che discettare di questioni socio–politiche; tollera turbato lo scempio di ralenty ingiustificati e le scontatissime virate in seppia durante i flash visionari della sciroccata Eleonora (Kasia Smutniak); e finge persino di sospendere l’incredulità quando la stessa Eleonora – popolana milanese d.o.c. – parla con accento polacco… Stringendo i denti, getta poi uno sguardo al minutaggio previsto, e realizza con orrore che il film andrà avanti per due ore e venti! Ma almeno ha distolto lo sguardo dallo schermo, dove Murray Abraham sogghigna come Gargamella e getta in pasto ai pesci decenni di straordinaria carriera. E pensa: il peggio sarà passato, ora c’è la battaglia. Sbagliato.

A questo punto in molti scommettono che se Ridley Scott vedrà il film, nel prossimo final–author–director cut di Blade Runner rimetterà la voce narrante ma farà fuori in blocco Rutger Hauer, la cui noia e tristezza è tanto evidente da indurre a sospettare che Barbarossa soffrisse di depressione con secoli di anticipo. Giusto il tempo di annotare la più lunga sequela di cliché sul Medioevo e digerire la rimasticatura alla “volemose bbene” di svariate sequenze dei kolossal – peplum e fantasy – più in voga degli ultimi anni, a patto di tener duro sulle facce di un paio di collaboratori dell’imperatore che sembrano camei dei Monty Python, ed ecco che si può assistere con sconcerto ad alcuni degli scontri a spadate e delle battaglie a palle di fuoco peggio coreografate della storia, ripresi talora a camera fissa, con ampio indulgere su facce abbrustolite e schizzi di sangue, scene di tale inconcepibile durata da annoiare persino Anghelopulos.

Renzo MartinelliAnsimanti, facendo slalom fra dialoghi in crescendo che strappano risate volgari in sala, snodi narrativi così telefonati da rasentare l’archetipo, e personaggi con lo spessore di attanti, scopriamo che il protagonista – l’eroico Alberto da Giussano – dopo oltre un’ora di film non ha ancora fatto niente! Il condottiero interpretato da Raz Degan, decisamente troppo nano per condurre chiunque da qualche parte, si limita per l’intera prima parte a smozzicare frasi e grugniti, e chissà che la lettura del personaggio non sia anche saggia, tutto considerato. Ma allora non ci si spiega perché il ragazzino che lo interpreta da piccolo fosse logorroico.

Poi si potrebbe continuare letteralmente ad oltranza, ma è meglio darci un taglio.

Si dice che Bossi e la Lega hanno tanto insistito perché il film venisse realizzato. Be’, eccolo qua. Saranno contenti, da quei palati fini che sono. C’è un po’ di ideologia, in effetti, ma passa quasi inosservata. Griffith, Kazan, Riefenstahl e parecchi altri sono là a testimoniare che non è sempre la cattiva ideologia a fare i brutti film. Di solito, è la mancanza di talento.

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