Vincendo per Aimer, boir et chanter l’ambito Alfred Bauer Preis – premio attribuito a un film che  apre nuove prospettive  – Alain Resnais, 91 anni, ha dimostrato di essere il regista più ‘giovane’ in concorso alla Berlinale di quest’anno.

Con un titolo programmatico, quasi un manifesto, Aimer, boir et chanter è una lezione d’arte e di vita al contempo. Pur trattando di un soggetto grave come quello della morte, Alain Resnais ci offre uno spettacolo di grazia raffinata, un distillato d’arte cinematografica sottile, inebriante e ludico. Il plot di questa pièce cinematografica, adattamento per il grande schermo di Life of Riley del drammaturgo inglese Alan Ayckbourn, si sviluppa intorno all’annuncio di una malattia mortale. Come si può affrontare una tale notizia, qual è il migliore atteggiamento per affrontare un evento simile, come agisce l’entourage di un malato e come può reagire la persona stessa? George, il protagonista della vicenda, decide di farlo con brio, vivendo pienamente ogni secondo della sua esistenza fino all’ultimo.

Pur essendo il fulcro intorno al quale gira tutta la storia, George si sottrarrà al nostro sguardo dal principio alla fine, un po’ come il regista stesso, grande burattinaio e mago impercettibile di questo piccolo gioiello fuori dal comune. Aimer, boir et chanter è un film scherzoso, scanzonato, dall’eleganza desueta e un po’ malinconica. La sua forma non-realista è quella scelta da Resnais, dal Melo in poi, per le sue messe in scena sempre più astratte, teatrali, volutamente anti-naturalistiche.

La scenografia è, in un primo momento, francamente sconcertante: sa ostentatamente di paccottiglia, il fondale è costituito da una serie di grossi striscioni di tela policromi che servono da entrata e uscita per i personaggi; i fiori e le aiuole dei giardini sono ritagliati da una serie di cartoni colorati, l’illuminazione è simile a quella di un teatrino di periferia, fatta di macchie di luce gettate qua e là da riflettori colorati. Nella sua decisione di costruire un ambiente dall’artificialità apparente, coscientemente ‘povera’, come improvvisata, Resnais si rifà al teatro amatoriale, ma anche al mondo dei fumetti, di cui è un grande conoscitore e di cui possiede una collezione straordinaria iniziata dai tempi della sua infanzia. Per dare corpo a questa sua visione Resnais si è avvalso dell’aiuto dello scenografo Jacques Saulnier, la cui prima collaborazione risale a L’anno scorso a Marienbad, e del famoso fumettista francese Blutch.

Come un sipario immaginario, il passaggio da una scena all’altra è marcato dalle uniche riprese in esterno del film: si tratta di brevi, fluide carrellate in avanti – tanto care al regista – lungo le strade di un verdeggiante paesaggio rurale inglese, a cui  sostituisce per alcuni brevi momenti un disegno multicolore della casa, firmato da Blutch, in cui svolgerà la scena seguente. Seguendo questo stile ironicamente anacronistico dall'inizio alla fine, le quattro unità del film, corrispondenti alle quattro stagioni dell’anno, sono introdotte da una didascalia in bianco su fondo nero.

In questo scrigno dal fascino così singolare, Resnais inserisce un cast di attori eccezionali; alcuni di loro sono dei complici fedeli da quasi due decenni, Caroline Silhol, Michel Vuillermoz, André Dussolier e la sublime Sabine Azéma – mademoiselle Azéma – come viene affettuosamente chiamata in Francia per la sua grazia maliziosa e giovanile. A loro si sono uniscono in questa opera leggera ma non troppo, due eccellenti attori della giovane generazione: Hippolyte Girardot, che aveva già collaborato con il regista in Vous n’avez encore rien vu nel 2011, e Sandrine Kiberlain, qui alla sua prima interpretazione sotto la direzione del maestro. (Nota)

Questi amici, così si possono certamente definire, si  sono riuniti intorno a Resnais, felici  e onorati di potere mettere tutto il loro mestiere al suo servizio. In quest’atto di fiducia assoluta e d’impegno ammirato e affettuoso si viene a creare tutto il piccolo mondo immaginato da Resnais: un mondo un po’ astratto, giocosamente evocativo di una cittadina inglese di provincia, in cui tre coppie si vedranno coinvolte in una vera e propria girandola fatta di tenerezza e amicizia ma anche di piccole frustrazioni, ipocrisie, ripicche, gelosie, desideri e aneliti mai svelati, tradimenti mai confessati.

La struttura del testo – accuratamente tradotto dall’inglese da Jean-Marie Besset, Laurent Herbiet e Alex Raval- si costruisce intorno a un gioco d’incastri: si tratta infatti di una pièce in cui i protagonisti sono in procinto di montare uno spettacolo teatrale per amatori. I primi ad entrare in scena sono Kathryn e Colin, rispettivamente interpretati da Sabine Azéma e Hippolyte Girardot. Kathryn e Colin sono felicemente – o almeno così pare- sposati da una ventina d’anni. Colin è dentista e Kathryn l’aiuta come segretaria nel suo studio; nonostante la grande complicità e l’affetto che sembra legarli, sono due personalità molto diverse, per non dire diametralmente opposte. Sabine ha un temperamento artistico e, di nascosto, cerca spesso e volentieri un po’ di conforto nell’alcool. Colin è un uomo preciso, quasi maniacale, la cui occupazione favorita consiste nel cercare, peraltro invano, di sincronizzare tutti gli orologi a pendolo della sua collezione.

Kathryn e Colin stanno provando nel loro giardino una scena della pièce teatrale che si preparano a montare insieme a un gruppo di amici attori amatoriali; durante questa prima scena, Kathryn verrà a scoprire che il loro carissimo amico George è gravemente malato di cancro e che gli restano al massimo sei mesi da vivere. Sconvolta e preoccupata, la donna pensa bene d’informare Tamara, interpretata da Caroline Silhol, una sua conoscente di lunga data e moglie del migliore amico del malato. Entra così in scena la seconda coppia, anch’essa sposata da anni e con una figlia che compierà presto 16 anni. Tamara, la moglie, è una donna accorta, sempre affettuosa e premurosa nonostante sospetti seriamente che suo marito Jack, alias Michel Vuillermoz, abbia un’amante. All’apprendere la notizia Jack è sconvolto a sua volta; tutti cercano un modo per aiutare il loro sfortunato amico George a superare questa dura prova nelle migliori condizioni possibili, un’impresa a prima vista non facile soprattutto da quando sua moglie Monica – Sandrine Kiberlain- lo ha definitivamente abbandonato per andare a vivere con un contadino del circondario, un uomo mite e affettuoso, Simenon, interpretato da André Dussolier.

Tutti insieme hanno infine un’idea geniale: convincere George a recitare una parte nella pièce teatrale che stanno montando, in modo da dargli uno scopo ben preciso nel quotidiano, una meta, qualcosa di bello e piacevole in cui investire. George accetta di buon grado questa proposta e, di fatto, sembra prendere un gran gusto in questa sua nuova attività.

Ma mentre il tempo passa le tre donne iniziano ad avvicinarsi sempre di più al protagonista, che noi scopriamo man mano– attraverso quanto dicono su di lui gli altri personaggi- essere un uomo affascinante, pieno di vitalità, sorprendente ed imprevedibile, un eterno adolescente.

Attraverso l’atteggiamento di George, la sua voglia di vivere e il suo coraggio, diventa loro chiaro quanta routine e q
uanta frustrazione repressa si annidi nei loro rapporti di coppia.  La confusione arriverà al suo culmine quando George proporrà a tutte e tre le donne di partire con lui in vacanza a Tenerife dopo l’ultima rappresentazione del loro spettacolo. Kathryn, Tamara e Monica, di fronte al loro proprio destino, devono prendere una decisione decisiva.

In un finale a sorpresa, George, con un atto folle e sublime, saprà rendere tutti coscienti della propria felicità.

Con un movimento etereo della cinepresa, Resnais, nel finale brillante e affettuosamente autoironico, guarda con il sorriso divertito di un eterno adolescente verso il mondo, trasformando il canto del cigno in un ode alla vita. Un epitaffio  incredibilmente sorprendente con cui Resnais mostra di avere già messo in porto il suo prossimo progetto. Pronto a sorprenderci e a trascinarci verso nuove, inedite avventure.

Nota: Sabine Azéma, che ha lavorato per la prima volta nel 1983 con Alains Resnais in La vie est un roman, ha girato dieci film con il regista in questi ultimi vent’anni. André Dussolier ha esordito in un film di Resnais nel 1984 con L’amour à mort. Caroline Silhol ha giocato nel 1982 in La vie est un Roman e Michel Vuillermoz nel 2009 in Les Herbes folles.

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