Melanconia, solitudine, passione s’intrecciano e si alternano sul filo terso di questo singolare ritratto d’artista che é Antonia di Ferdinando Cito Filomarino, presentato in prima mondiale al concorso internazionale della 50esima edizione del Festival di Karlovy Vary.

Il film segue circa dieci anni della breve, creativamente intensissima vita della poetessa Antonia Pozzi, che nacque nel 1912 e mise fine ai suoi giorni nel 1938, ma è tutt’altro che un’enumerazione di fatti e vicissitudini. Antonia indaga con rara sensibilità ed intelligenza le pieghe recondite dell’esistenza della sua singolare protagonista; coglie il palpito della sua anima, il fremito del suo corpo, il corso dei suoi pensieri.

In Antonia diventiamo testimoni di un cataclisma sotterraneo; il film non ci propone il tentativo di una biografia classica, ma traccia con un linguaggio lirico il cammino umano ed artistico di una giovane donna. Precisione e cura estrema del dettaglio si associano ad una visione cinematografica ispirata che lascia intatto il potere suggestivo dell’immaginario. Riuscire a creare un film poetico su una poetessa è stata la folle scommessa che Ferdinando Cito Filomarino si è proposto. Struggente, delicata e profondamente toccante Antonia ci ha sedotto rivelando con forza il talento di un giovane regista che aveva già molto fatto parlare di sé in occasione del suo primo cortometraggio: Diarchia (2010) vincitore a Locarno del prestigioso Pardo di domani, pluripremiato e candidato agli European Film Awards. Al festival di Karlovy Vary  Antonia è stato ricompensato con la Menzione speciale della Giuria.

 

Ho incontrato Ferdinando Cito Filomarino il giorno dopo la proiezione ufficiale di Antonia a Karlovy Vary; nonostante il caldo torrido che ci avvolgeva e l’innegabile effervescenza della situazione, il regista, generoso e molto disponibile, si è prestato ad una lunga conversazione.

 

Com’è nato il progetto di Antonia?

Antonia Pozzi me l’ha presentata, per così dire, Luca Guadagnino con cui avevo già collaborato in precedenza e con cui ho una intesa artistica: Diarchia, il mio primo cortometraggio,   l’ho fatto con lui e con Marco Morabito. Dopo l’esperienza, molto positiva, del cortometraggio è sorta, in maniera quasi naturale,  l’idea di dirsi: “Ok! Facciamo un lungometraggio insieme!”.  Concretamente questo progetto è nato così.

Da sempre, sono stato enormemente affascinato dagli artisti per il modo in cui portano la soggettività dell’essere umano all’estremo; nell’estremità delle loro vite sento di riuscire a capire qualcosa della natura umana in sé. Inoltre penso che ci sia un racconto potenziale talmente profondo sugli artisti ‘onesti’ da trascendere le epoche e le nazioni. In secondo luogo l’ambiente di Antonia Pozzi coincide, anche per delle ragioni semplicemente geografiche, con il mio: sono nato e cresciuto a Milano come Antonia Pozzi, le montagne che lei frequentava le frequento anch’io da anni e le conosco benissimo, i sentieri che lei faceva, li faccio anch’io da anni; per cui, al di là del compito di comprendere la natura poetica di Antonia Pozzi,  avevo già a mia disposizione un sacco di strumenti a mio vantaggio. Essendo un regista agli esordi pensavo di dovere parlare di cose che conosco.

 

L’autenticità di cui parli si vede, è palpabile nel film…

Da un lato mi sono dovuto confrontare con la specificità del personaggio di Antonia Pozzi e di tutto quello che la circonda e, dall’altro, con l’elemento profondo dell’artista Antonia Pozzi e del suo universo poetico.

Ma per me l’obiettivo del ritratto di questo film è un qualcosa – mi piace pensare – che trascende la specificità della storia di Antonia. Quando sono andato a parlare con Sayombhu Mukdeeprom (nota),il direttore della fotografia, che non aveva mai fatto film fuori dalla Tailandia e gli ho presentato questo mio progetto su Antonia Pozzi che, anche in Italia, è ancora poco conosciuta, lui ha immediatamente detto: “Si, lo voglio fare, mi piace tantissimo!”. Era rimasto personalmente affascinato da questa figura come poi lo sono state anche tutte le altre persone, provenienti da varie parti del mondo, che hanno collaborato a questo progetto.

 

La figura storica di Antonia Pozzi è, senza alcun dubbio, affascinante ma io trovo particolarmente interessate il fatto che nel film tu ne faccia una figura tua che trascende l’aspetto puramente biografico del personaggio.

Lo sguardo è inevitabilmente soggettivo; nella concezione del progetto la cosa importante per me non è mai stata quella di raccontare la vita di Antonia Pozzi, anche perché, sinceramente, non ha avuto una vita ‘epica’. Antonia Pozzi, ha avuto, come molti altri poeti, una vita non appariscente. Per cercare appunto di capire meglio il suo personaggio, ho studiato le vite di molti poeti, sempre guardandoli da una certa distanza o osservandoli nelle fotografie. Ci si rende conto che sono completamente ‘mimetizzati’, sono delle persone come le altre, non sono eccentrici o strani; Antonia Pozzi era così! Lo scopo che mi sono prefisso non è mai stato quello di raccontare la vita di Antonia Pozzi, ma quello di fare un ritratto congiunto di Antonia Pozzi e della sua arte che, peraltro, coincide parzialmente con il raccontare delle cose della sua vita ma soltanto laddove hanno un’importanza cruciale nel suo percorso artistico, per cui il periodo trattato nel film include solo gli ultimi dieci anni della sua vita che sono poi gli anni della sua attività artistica.

Riuscire a fare un film “poetico” su un poeta è un qualcosa di raro: come avete lavorato, Carlo Salsa e tu, sulla sceneggiatura? I punti d’approccio e le possibilità per abbordare un lavoro di questo tipo sono potenzialmente infiniti, sei d’accordo?

Il punto zero è stato quello di entrare nel mondo poetico di Antonia Pozzi cercando di assorbirlo completamente; cominciando da questo presupposto e tenendo conto di quelli che Carlo Salsa ed io stesso sentivamo che fossero i momenti cruciali nel percorso di Antonia Pozzi, si è trattato poi di decidere che cosa mettere in scena.

Alcune scene sono, letteralmente, una o più poesie di Antonia fuse insieme e messe in scena, poi – ovviamente- incrociate con altri elementi sia per necessità narrative, sia per altre ragioni, diciamo impressionistiche,  se vuoi. Già nella scrittura e poi anche nella messa in scena, l’idea, la benzina, per così dire,  viene proprio dalla poesia di Antonia; è per questa ragione probabilmente che tu percepisci una coincidenza fra il mondo plastico del film e le parole sulla carta; perché, in fondo, sono la stessa cosa solo che il primo è un  tentativo di renderle in immagini.

 

Riuscire a presentare un’attività così poco appariscente e solitaria com’è quella della scrittura sullo schermo, mostrando per di più anche dei testi, non é cosa da poco. Trovo che nel film tu sia arrivato ad amalgamare in  modo molto organico  questi aspetti con il flusso narrativo della vicenda stessa…

Mi fa piacere che tu senta questo perché riflette il modo in cui abbiamo costruito il film. Prendendo il via dall’idea di fondo di creare un ritratto dell’artista e della sua arte insieme, il 90% del film è stato infatti concepito a partire dalle poesie di Antonia Pozzi, dalle sue lettere e dalle sue fotografie. Non si trattava per me di raccontare una vita intera ma piuttosto di mostrare dei momenti dell’esistenza di Antonia ed il modo in cui sono intimamente connessi con la sua poesia; per costruire l’essenza di questo rapporto così stretto fra vita e poesia ho pensato che fosse cruciale mostrare le parole stesse di Antonia Pozzi sullo schermo. Sono convinto che le sue poesie non debbano essere recitate o lette a voce alta, penso che quella della poesia sia fondamentalmente un’esperienza di lettura, un rapporto intimo e diretto fra un individuo ed una pagina stampata.

Antonia, a mio avviso, è anche il ritratto di un’adolescente e poi una giovane donna. Come poteva essere una ragazza negli anni venti? Nel tuo film rispondi a questa domanda mostrando Antonia fare, più o meno, le stesse cose che un’adolescente farebbe al giorno d’oggi: ballare sfrenatamente da sola su un pezzo di musica, confrontarsi col suo corpo e la sua sessualità, cercare se stessa. Trovo tutto ciò molto bello…

La mia speranza é che si riesca a percepire un’attualità pregnante in questo film: per me il punto fondamentale era quello di fare un ritratto di Antonia Pozzi come figura artistica in sé, ovviamente Antonia Pozzi é vissuta negli anni ’20 e ’30, questo fa parte del racconto ed é necessario e naturale, sia sociologicamente che storicamente, descriverlo però – come dire-  il fuoco, l’essenza di tutto ciò, sta in qualcosa che è dentro o dietro questi aspetti specifici. In questo senso Antonia ha molte cose in comune con molte epoche ma anche con la nostra e con il modo in cui molti giovani vivono il nostro tempo; allora, come adesso, il tormento è uguale, la confusione è uguale.

Oggi per fortuna non c’è un regime fascista come all’epoca di Antonia ma non bisogna dimenticare che in Italia abbiamo recentemente passato dei decenni un po’ particolari rispetto al modo in cui si vive la cultura. Una persona che, come Antonia Pozzi, è appassionata di letteratura sente, anche oggi, di non avere un futuro concreto davanti a sé.

 

L’ambientazione del film riproduce in modo veramente convincente non solo lo spirito di un’epoca ma anche quello di una certa classe sociale, quella dell’alta borghesia colta degli anni ’20 e ’30 in Italia …

Abbiamo avuto una grande difficoltà a parlare di un personaggio realmente esistito anzi, mi correggo, di una serie di personaggi realmente esistiti. Un conto è scrivere una storia originale, un conto è parlare di personaggi realmente esistiti, perché ti rendi conto, per esempio, che le persone sono piene di contraddizioni. Antonia Pozzi era una persona di un’intelligenza superiore, capace di analizzare con profondità il mondo che la circondava.  Le lettere di Antonia, le sue comunicazioni con i suoi amici in cui racconta i suoi pensieri, tutte queste erano per me come delle minuscole pillole che dovevano venire accostate alle fotografie; ho trovato per esempio quattro fotografie di una festa-cocktail che si era tenuta Pasturo, nella residenza estiva di Antonia, che ho poi ricostruito nel film.  Mettendo questo e quello insieme, attraverso le parole di Antonia Pozzi, sentivo che al posto di una narrazione piena di ragnatele stava prendendo forma un qualcosa di vivo non un oggetto esangue, semplicemente esposto dietro una vetrina. Infine sono andato a scavare nel passato della mia famiglia perché anche li c’erano, se vuoi, delle coincidenze di ambiente, geografiche e di costume che mi sono servite da spunto per ricreare il mondo di Antonia.

Come hai lavorato con Linda Caridi, la straordinaria attrice che incarna Antonia Pozzi, per arrivare ad ottenere un risultato così intenso e toccante?

Ho cercato in primo luogo di introdurre Linda nell’universo intellettuale ed emotivo di Antonia Pozzi, proponendole di leggere alcuni dei testi che Antonia aveva nella sua libreria e che amava particolarmente come quelli di Flaubert e di Rilke, i suoi capisaldi. L’inizio del lavoro con Linda è stato, dunque, intellettuale perché, comunque, la cultura era essenziale nella vita di Antonia Pozzi. Poi, ovviamente, la parte più cruciale è stata quella in cui abbiamo abbordato la costruzione del personaggio parlandone molto a lungo e cercando di capirlo a fondo. Qualsiasi essere umano “vero” è impossibile da raccontarsi nello spazio di un film, figuriamoci poi un personaggio così profondo e complesso come quello di Antonia Pozzi. Questo processo è durato qualche mese a scapito, devo ammettere, delle vere e proprie prove; non abbiamo avuto il tempo di farne tante, però in questo film c’è stato poco tempo per tutto… I film indipendenti sono così, bisogna andare sempre di fretta! Abbiamo poi iniziato un lunghissimo lavoro sul corpo; dal camminare, alla postura, al  movimento dello sguardo, a quanto è febbrile, e in quali fasi della vita di Antonia,  quanto rimane sospeso o non sospeso. Abbiamo lavorato anche sulla voce; avendo frequentato una scuola di teatro, Linda aveva completamente gommato il suo accento milanese di cui ha dovuto riappropriarsi per interpretare Antonia. Linda ha dovuto inoltre adottare un timbro più grave, visto che il suo tono di voce naturale è molto più tenue.  Il lavoro che abbiamo intrapreso è stato molto sfaccettato e dettagliato; non c’è stato un solo aspetto che non abbiamo analizzato e che non abbiamo elaborato: la coreografia della danza sul pizzicato polca di Johann Strauss, per esempio, è stata studiata nota su nota.

Guardando le scene in cui Antonia fa una scalata in montagna, pensavo che tu avessi fatto ricorso a qualche stratagemma cinematografico, poi mi sono resa conto che è proprio Linda Caridi stessa ad arrampicarsi…

Infatti, ho dovuto convincere Linda a fare una scalata in montagna per la scena che hai menzionando. Linda, che soffre di vertigini, ha accettato di imparare. Ha fatto dei corsi con un’alpina, poi siamo andati ad arrampicare qualche volta insieme;  nel film è proprio lei, Linda, che si arrampica sulla montagna! Non credo però che sia più tornata in montagna, dopo quella volta… Queste sono le qualità di Linda che ha una passione, una dedizione ed un talento incredibile! In questo senso sono stato fortunato, ho trovato la persona ideale perché lei è tanto ossessiva quanto lo sono io; quando riuscivo a scoprire delle cose nuove su Antonia gliele davo e lei le divorava! Non è mica detto che un attore debba comportarsi così!

Potresti parlarmi di quella bellissima scena in cui spezzi l’uniformità della colonna sonora inserendo improvvisamente una canzone anni settanta di Piero Ciampi mentre si vede il corpo di Antonia -nuda e accovacciata su un letto di spalle -vibrare al suono di questo brano?

In realtà la posizione di Antonia nella scena di cui parli è la riproduzione di una statua di Rodin. Ci sono alcuni momenti nel film- e non è necessario riconoscerli – in cui per me c’è una coincidenza fra Auguste Rodin e Antonia Pozzi; questo era per me un tentativo di dare forza al corpo.  Antonia Pozzi non ha mai scritto niente su Rodin però, per me, c’è un’affinità elettiva fra questi due artisti che non si sono mai visti né conosciuti, come c’è anche con Piero Ciampi. Loro tre sono collegati, dal mio punto di vista. Questo è il mio sguardo soggettivo su Antonia Pozzi per cui in quel momento, nella scena che tu descrivi, s’incontrano tutti e tre!

Nel tuo film la fotografia tenue e luminosa, la scenografia curata nei minimi dettagli, i costumi ed il trucco contribuiscono a creare un affresco particolarmente suggestivo del mondo in cui è vissuta Antonia Pozzi. Hai lavorato con un’equipe tecnica d’eccellenza: come sei riuscito ad amalgamare il lavoro di tutte queste grandi personalità?

I capi reparto del film sono di fatto le persone che io stimo di più nel mondo del cinema indipendente mondiale. Luca Guadagnino mi ha chiesto: “Con chi vuoi fare la fotografia?” ed io gli ho risposto che per me il migliore direttore della fotografia nell’ambito del cinema indipendente è il tailandese Sayombhu Mukdeeprom,responsabile della fotografia in vari film di Apitchatpong Weerasethakul.  La naturalezza della sua luce coincide per me con quello che io vedo nel mondo di Antonia Pozzi, cioè un qualcosa di molto naturale, il contrario dell’artifizio. Questo vale anche per il portoghese Bruno Duarte, lo scenografo di Tabù di Miguel Gomes. Il punto cruciale in questo tipo di lavoro non è semplicemente la conoscenza culturale della specificità del soggetto – in questo caso di Antonia Pozzi- anche perché io, per esempio, rispetto alla scenografia avevo, per così dire, il vantaggio di giocare in casa quello che conta è la concezione, perché questo è il cinema. Il cinema è in primo luogo fatto di idee  per ciò uno scenografo portoghese, un direttore della fotografia tailandese, una costumista tedesca, una truccatrice argentina-brasiliano-italiana tutti sono andati – per usare una metafora accurata – “on the same page” !

Il montaggio rivela degli aspetti interessanti; mi riferisco in particolare a certe scene che, brevemente, si ripetono, si ripiegano su se stesse. Senza creare una frattura troppo marcata della linearità narrativa, questi piccoli scarti sono molto raffinati…

Il montaggio è del grandissimo Walter Fasano, con il quale io ho avuto il privilegio di fare tre lavori di cinema – un cortometraggio, un documentario e adesso un film- ed è un dono perché, per me, Fasano è uno dei montatori più bravi del mondo! In tutto il film dal concepimento, alla scrittura, alla realizzazione e al montaggio, la base è stata sempre la poesia di Antonia Pozzi. Nel film c’è una poesia che si chiama “Convegno” e che risale al periodo di Remo Cantoni per cui è sicuramente dedicata a lui – Antonia Pozzi racconta del momento in cui lui la sta guardando, lei sente questo sguardo ma non riesce a viverlo nel presente, sta pensando a quando, nel futuro, ricorderà questo momento in cui lui la guardava. Per cui questa componente del viaggiare avanti e indietro nel tempo, dell’astratto e del concreto fa parte della poesia di Antonia Pozzi; la nostra idea è stata quella di fare coincidere la forma del film con la sua poetica .  

Cosa ti auguri per il tuo film?

Antonia Pozzi è considerata come una poetessa molto importante da Montale, il suo giudizio su di lei è trascritto all’inizio del film. Montale ha cominciato a segnalare l’opera di Antonia agli inizi degli anni quaranta, dopo la sua morte. In Italia Antonia Pozzi non fa parte della cultura generale; gli studenti potrebbero aver letto una o due sue poesie al liceo, ma questo è tutto. Il processo di scoperta di Antonia Pozzi è ancora in corso; spero molto che questo film contribuisca a farla conoscere meglio.

E il “dopo” Antonia? Hai un’idea in mente?

Si, in effetti sto già lavorando alla sceneggiatura del mio prossimo progetto; un film d’azione molto contemporaneo!

[nota: Sayombhu Mukdeeprom é stato direttore  della fotografia di Apichatpong Weerasethakul già dal 2000 perMysterious object at noon, in seguito per Blisfully yours (2002), Syndromes and a Century (2006) e Oncle Boonmee(2010). Nel 2015 Sayombhu Mukdeeprom ha curato la fotografia della trilogia di Miguel Gomes, As mil y uma noites.]

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