[***] – Il sindacalista Michel, operaio in un'impresa navale, decide di non autoescludersi dal sorteggio sul licenziamento di 15 lavoratori concordato dal suo sindacato (è lui che immette ed estrae i nomi) rimanendone impigliato. Ciò non bastasse, dopo qualche giorno di triste adattamento alla nuova condizione di disoccupato, viene rapinato da due giovani uno dei quali scoprirà essere un suo ex compagno di lavoro, anche lui appena licenziato, privo di assistenza sociale e con a carico due fratelli piccoli (una famiglia). Michel lo fa arrestare ma poi, approfondita la condizione materiale ed esistenziale del ragazzo, ed aiutato, in questo, dalla vitale compagna, seguirà fino in fondo i propri dubbi finendo per arricchire anche la propria identità.
Guédiguian anche stavolta non molla i suoi lavoratori, che continua a seguire lungo le terrazze e la banlieau della brulicante Marsiglia. E ancora una volta i protagonisti sono impersonati dai suoi attori preferiti: Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin, Gérard Meylan, attori sensibili e non effimeri che nel corso del tempo hanno dato corpo e anima ai teatri dei suoi piccoli e grandi racconti umani e sociali, che il brillante regista comunque non manca di porre in costante correlazione con le grandi narrazioni della letteratura e dell'Opera della realtà. E Victor Hugo, con il suo poema Les pouvres gens, che è alla base di quest'ultimo film, lo conferma.
In campo ci sono le differenze tra lavoratori con o senza rete sociale di aiuto, le differenze tra padri figli, le differenze nelle reazioni ad un medesimo evento, così che il regista, nella sua analisi, si muove con acume tra politica, sociologia e psicologia. Tuttavia, nella sua indagine, Guédiguian non dimentica la peculiarità del linguaggio espressivo scelto, non cadendo, al dunque, dentro la trappola del cinema politico, ma muovendosi, piuttosto, dentro la pratica più coerente del far cinema in modo politico (secondo quello che Godard ha scritto riprendendo Brecht). In questo senso, il fatto che i personaggi dicano spesso delle frasi innaturali, costruite, di segno letterario o politico, connota il film all’interno di un registro brechtiano, in cui volutamente si veicolano dei contenuti, quasi programmatici, attraverso delle formule linguistiche stridenti. Una commedia drammatica didattica, in qualche modo, che ha in sé qualcosa della lezione scolastica e qualcosa del melò e qualcosa, ancora, della commedia popolare. Comunque un dispositivo di interpretazione della realtà. Lo spettatore è coinvolto dagli eventi, spesso al limite del sentimentalismo, ma poi, attraverso una frase “fuori ruolo”, un piano sequenza prolungato o una canzone (ce ne sono tante, e spesso sorprendenti, tra le quali spicca quella di Pascal Danel che dà il titolo al film), Guédiguian, con spirito provocatorio, cambia la posizione dello spettatore davanti al film, mettendone, di fatto, in discussione lo sguardo (passivo) sul film e la riflessione (al cinema oggetto di facile manipolazione) sui temi dallo stesso mostrati.
Psicologicamente, le due famiglie vittime del rapinatore che ne distrugge la stanca armonia – scena girata con impressionante realismo e con un senso del tempo cinematografico perfetto – risponderanno in modo diverso all’evento inatteso: da una parte il panico e l’incapacità di affrontare il trauma che inducono piano piano alla depressione; dall’altra l’apertura progressiva alla capacità di mettersi in discussione e di riflettere in modo complesso sulle tante facce di un fatto e di una persona arrivando infine a capire, eticamente, qual è la cosa più giusta da fare. Il “distruttore”, in tal senso, diventa simbolicamente la rappresentazione della possibilità di cambiamento. E Michel, e prima ancora sua moglie, alla fine dell’esperienza, non rifiutata a favore di più semplici emozioni difensive, cambiano.
Guédiguian affronta la crisi della CGT (una specie di CGIL francese), e del sindacato più in generale, che ormai non è più in grado di capire e rappresentare i problemi delle nuove generazioni di lavoratori. E se il film lascia un senso di sconfitta rispetto alla praticabilità di un progetto politico di trasformazione del mondo, trasmette anche una vitale fiducia nella capacità umana di cambiamento.