Saltano in aria un bel po’ di certezze, in quest’intensa realizzazione di De Matteo; un gran caos dove, di conseguenza, si corre in fretta a rimettere a posto i concetti, troppo disorientati per non farlo, acchiappandoli qua e là, tentando di ricreare un ordine per non restare attoniti. E’ l’assenza di ideali che impoverisce l’essere umano? E’ il degrado sociale ed economico dell’esistenza a svuotarlo del tutto? O, tutto all’opposto, è l’eccesso di benessere? Entrambe le cose? E’ il web che ha rovinato i nostri figli che oramai solo attraverso tale mezzo riescono a comunicare?Ma i nostri ragazzi li abbiamo lasciati troppo soli? O ci siamo preoccupati a dismisura per loro? Ma è davvero dipeso da noi? E cosa avremmo potuto fare diversamente? Magari prendere a mazzate i pc affinché essi vivessero scevri da ogni contaminazione esterna? Se tutto il mondo è “sbagliato” al mio bambino sarà allora giusto imporre di leggere Gramsci e Dostoevskij; e se tutto va a rotoli meglio mandarlo a fare lo scout, oppure il catechismo, o sennò il buddismo, che sempre una religione è – ma da quando lo è? lo la conoscevo come una filosofia – ma più attuale.
Che il giovane essere umano abbia bisogno di convogliare le proprie, ridondanti energie in qualcosa di ipoteticamente idealizzabile non ci piove, ma temo che il punto non sia proprio questo.
La storie di tre famiglie si svolgono simmetricamente in una credibilissima Roma – ma nulla a che fare con l’intricato “il capitale umano” di Virzì che nel finale lascia la porta aperta a una speranza – in uno stralcio di tempo che parte da un banalissimo litigio finito in tragedia: l’omicidio di un uomo, ammazzato per strada a causa di un semplice litigio tra conducenti d’auto. Peccato che tra i due litiganti ci finisce pure il ragazzino, paralizzato dallo stesso proiettile che uccide il padre e devia poi verso di lui. L’assassino, un poliziotto, viene difeso da un affermato avvocato (Alessandro Gassman), il bambino verrà invece preso in cura da uno scrupolosissimo chirurgo pediatrico (Luigi Lo Cascio). I due professionisti sono fratelli, di vedute molto differenti – l’avvocato è uso difendere “i peggiori”: come fai a farlo, lo biasima il medico, applico la legge, si difende l’avvocato – si riuniscono convenzionalmente una volta al mese con le consorti in un costoso ristorante, si sopportano a malapena come succede spesso tra parenti, sull’onda di antichi dissapori mai risolti. L’uno è formale, indifferente e snob, l’altro amichevole, attento, umano. I figli delle due coppie, adolescenti, i due cugini Benedetta e Michele, si frequentano ed escono insieme, sono appunto loro il fulcro della vicenda, ma a ben guardare non solo loro, sono anche tutti i mostri o le vittime, presi a caso tra i nostri congiunti giovani, quelli a cui si riferisce principalmente il lavoro di De Matteo. Buone scuole, automobiline che non necessitano di patente, abiti firmati, compleanni in case prestigiose: ai nostri fortunati ragazzi non manca nulla e li prepariamo per dare il cambio alla precedente generazione, anch’essa sufficientemente rovinata dagli anni ottanta.
Lo so, non riesco a togliermi di dosso la polvere dei miei tempi migliori essendo del 1959, e mi reputo un’eletta per aver conosciuto un periodo notoriamente attraversato da idee, passioni e valori. Credevamo che tutto sarebbe cambiato – e mi emoziono ancora nel vedere qualche malfatto rifacimento attuale di coinvolgimento e partecipazione, penso, ad esempio, a Renzi e alla sinistra Europea, sperando sempre che si accenda una scintilla che in ogni caso non sarebbe sufficiente a riaccendere le braci di un fuoco spento. E non volendo ripetermi, so bene che i miei tempi sono troppo lontani dai nostri figli e poi gli anni a seguire ne hanno spazzato via definitivamente il senso. Occhi puntati sul web, i nostri adolescenti non conoscono la solidarietà attraverso il contatto umano, sostano insieme nelle feste come ammassi di emarginati, non si vedono e non si toccano e poco importa l’esistenza di mezzi economici o meno, poco importa se essi lavoreranno, raccomandati o meno, sono e si sentono, in ogni caso, tutti socialmente rifiutati. Mostrano spesso un’estrema fragilità e si fortificano in branco, massacrano con estremo cinismo ed odiano con la leggerezza degli insensati. Hanno atteggiamenti dittatoriali, perché credono che solo mostrando i denti si possa sopravvivere. Il problema è che De Matteo è davvero obiettivo, e scarnificando le ossa per arrivare alla verità, ci trasmette un gran dolore. Quando ascolto le storie narrate dai miei figli rabbrividisco, ma sono proprio quelle del film. Ma maggiormente mi sorprende quando i genitori “difendono” con convinzione i loro ragazzi, affermando che hanno ragione quando i poveri pargoletti si ribellano agli isterici professori che pretendono l’educazione, la serietà e lo studio ben fatto. Poveretti. Poveretti gli insegnanti, non capiti e non pagati, poveretti i ragazzi, tutti, ripeto, agiati e non. Ma noi no, noi grandi, noi vecchi, per così dire, noi non siamo né poveretti né giustificabili. Ed è proprio questo l’altro punto focale che affronta De Matteo: la nostra ipocrisia. Ci parliamo addosso da morire, pronti a giudicare tutti senza pietà, ci ispiriamo alle regole, ma solo se non tocca a noi rispettarle, e ci sentiamo perfino migliori e giusti, quando non sappiamo nemmeno essere seri nell’applicazione della raccolta differenziata!
I nostri ragazzi ci lascia di fronte ad uno specchio che non concede scampo, e anzi di più: se il film non vi segnerà, se non vi disorienterà, se non vi svuoterà, ebbene non sarà un buon segno. Ed è indubbiamente ora che qualche domanda iniziamo tutti a farcela.
Da 68ttino capisco e condivido la “rabbia” di Nadia a cui aggiungo anche quella che mi ha preso vedendo gli atteggiamenti dei ragazzi che sventolavano l’iPhone6 all’uscita dallo store. Quanto alle regole siamo anni luce lontani da quei paesi dove il bello, prima di farlo in casa, lo hanno fatto all’esterno a servizio di tutti.