Redford torna a dirigersi e parla di politica a suo modo, rassicurante, sincero ed efficace.

Leoni per agnelli prova a raccontare cosa accade in tre contesti diversi, nella stessa giornata, a persone diverse, con responsabilità e consapevolezze diverse, ma in un modo o nell’altro interessate al medesimo problema.

Tom Cruise è un politico rampante che utilizza situazioni e persone allo scopo di ottenere sempre più potere per lui e per chi come lui la pensa; Meryl Streep è la giornalista che lui vorrebbe “usare” per fare marketing in televisione; Redford è il vecchio professore universitario, impegnato e lucido, che si sente responsabile del coinvolgimento morale dei suoi allievi migliori nell’evoluzione della società in cui vivono e sempre più agiranno. Poi ci sono due tra gli allievi di Redford che sono andati a toccare con mano, sul fronte afghano, esiti e conseguenze di parole e azioni che tutti gli altri manovrano con forse eccessiva disinvoltura.

Per il politico e la giornalista una redenzione non è neppure ipotizzabile, continuano a recitare se stessi con indefessa puntualità, seppur con atteggiamenti e stili diversi, la Streep per pochi istanti sembra quasi sul punto di non prestarsi alla propaganda di una nuova metodologia di guerra in Afghanistan (che a lei e a noi sembra mutuata senza modifiche dalle fallimentari strategie americane in Vietnam) ma poi tanto se non lo farà lei, ci penserà un altro.

E di fronte a cotanto cinico utilitarismo ci appare a momenti inutile e fine a se stessa la battaglia del vecchio professore per recuperare all’”impegno” il suo migliore allievo che “lucidamente/cinicamente” ritiene più utile dedicarsi al godimento della sua fortunata condizione di giovane californiano agiato, piuttosto che impegnarsi per contrastare le grandi scelte politiche che passano sopra le “nostre” teste, senza ricercare un confronto con le reali istanze e i desideri dei senza potere. Ma il professore/Redford insiste testardo, forse la politica e tutti i poteri in gioco vogliono proprio questo da noi, una risposta cinica e disincantata con cui salvaguardiare la nostra intelligenza svendendo così quel poco di ingenuo “ottimismo della volontà” che resta la sola arma di cui disporre nel tentativo di cambiare le cose, o quantomeno di esserci dentro le cose. Tanto poi quando realmente partecipiamo cosa accade? Ci compromettiamo? Perdiamo la nostra purezza ideologica coltivata pazientemente in lunghi anni di inazione e sterile vigilanza critica sulle azioni degli altri? Il problema è che poi qualcuno che per noi decide e agisce c’è sempre, e quello di consultarci è l’ultimo dei suoi problemi, pertanto ciò che accadrà sarà figlio anche delle nostre volontà solo nella misura in cui ci saremo confrontati attivamente agendo dialetticamente sulle cose.

Contrappunto cinematografico ai lucidi-cinici è la terza storia messa in scena, quella dei due allievi di Redford che decidono di portare alle estreme conseguenze la loro critica attiva alla mancanza di impegno dei loro colleghi studenti, arruolandosi per andare in Afghanistan, provando così sulla loro pelle il drammatico esito della delirante strategia politico-militare del senatore seduto a Washington nel suo ufficio “con aria condizionata”.

Ecco, la giustapposizione delle tre storie nell’arco della stessa giornata, unite ad interpretazioni formidabili da parte di tutti gli attori (certo non si tratta di giovani promesse) fanno sì che questo film sfiori la perfezione, soprattutto per la sua capacità di parlarci al presente, anzi di incalzarci sul nostro presente a cui preferiremmo a volte derogare avendo a disposizione comodissimi rifugi e realtà virtuali, molto spesso realizzate per noi anche da quelli che invece del loro/nostro presente decidono ogni giorno a scapito dei più.

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