Io e Napoleone di Paolo Virzì parte da una bella storia che racconta l’incontro/scontro all’isola d’Elba, tra Napoleone in esilio, un uomo ormai maturo e tormentato dai rimpianti anche se non pago, e un giovane intellettuale idealista che lo odia e sogna di ucciderlo per liberare il popolo da un tiranno tanto sanguinario. L’idea è interessante e offre molti spunti di riflessione sulla natura del potere, sul fascino irresistibile che esercitano gli uomini che ce l’hanno e anche sul peso che portano questi uomini, che non si possono permettere di essere umani. Il tono è da commedia e alcuni dettagli rendono bene anche l’aspetto ridicolo delle persone potenti: Napoleone, ad esempio, ricicla le battute. Ripete pari pari, con aria ispirata, le stesse identiche frasi, ogni volta convinto di avere un uditorio diverso. Ed è proprio così che fanno tutte le persone famose, ripetono sempre le stesse cose (ogni riferimento a persone o fatti reali d’altronde, ha dichiarato Virzì, non è affatto casuale).

Un soggetto tanto interessante, però, non basta a far dimenticare la povertà cinematografica della messa in scena. C’è una qualità media inequivocabilmente e imperdonabilmente da fiction che informa costumi, scenografie, fotografia. Il modo in cui si muovono le comparse, i totali paesaggistici e cartolineschi con cui si passa da una scena all’altra, la luce rossastra delle illuminazioni notturne, la disinvoltura con cui si usa il grandangolo negli interni ricostruiti… tutto questo ci riporta alle fiction che vanno in onda la domenica e il lunedì su Raiuno e Canale cinque. E sul grande schermo non fa una buona impressione.

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