Riuscire ad ottenere un biglietto in terza fila davanti allo schermo del mitico Teatro Lumiere a Cannes non è cosa da tutti i giorni, ed è quindi con una gioia particolare che aspettavo di godermi, nelle migliori delle condizioni, prossima allo schermo gigante del cinema, Black Flyes film in competizione del regista Francese Jean-Stephane Sauvaire, con Sean Penn e Tye Sheridan nei ruoli di due paramedici delle urgenze a Brooklyn.
Non avrei mai potuto immaginarlo, ma ho ben presto rimpianto questo piazzamento privilegiato in sala che mi ha costretto a tapparmi le orecchie, se non addirittura gli occhi, a più riprese.
Dal primissimo istante infatti il film aggredisce violentemente tutti i nostri sensi con un suono ad un volume volutamente molto al di la della nostra comfort zone uditiva e con una ricerca ossessiva di primi e primissimi piani quasi gore sui corpi martoriati dei pazienti e una cinepresa in continuo, convulso, movimento. Blak Flyes ci propone una visione a senso unico di quelli che sono i bassifondi purulenti della città, presentandoci una galleria impietosa di personaggi marginali– gli uomini e le donne che i paramedici delle urgenze sono chiamarti a soccorrere- coperti di sangue, feriti da proiettili, spesso in fin di vita, intorpiditi dall’uso della droga, o completamente fuori controllo, aggressivi e violenti pronti a coprire con i vituperi più grossolani chi accorre per portare loro aiuto.
Il realismo esacerbato con cui Sauvaire pretende descriverci questa realtà, immergendoci, spesso letteralmente, nei corpi insanguinati dei feriti, nelle loro urla, nel loro dolore senza fondo, è soprattutto ‘spettacolare’, un voyerismo miserabilista che cerca l’effetto ad ogni costo mettendo completamente da parte la compassione.
Il punto di vista che Jean-Stephane Sauvaire adotta nel suo film – un adattamento di 911 dellο scrittοre americanο Shannon Burke, ambientato ad Harlem negli anni ’90 e che il regista traspone nella Brooklyn di oggi- è quello di una visione manichea della società in cui lo spartiacque fra i buoni e i cattivi è chiaramente delineato. Da una parte c’è l’inferno popolato da una massa di individui marginali, degli infelici che si drogano o che bevono fino a morirne, degli uomini violenti che battono a sangue le loro compagne, delle gang di delinquenti scatenati e sanguinari, dall’altra c’è il mondo dei ‘buoni’, di coloro che rischiano quasi ogni giorno la loro incolumità fisica ma soprattutto la loro salute psichica, per soccorrerli.
Ollie Cross, un ragazzo un po’ timido, pieno di buone intenzioni, interpretato da Tye Sheridan è nuovo in questo mestiere. Arrivato dal Colorado a New York per tentare una seconda volta il suo esame di ammissione alla facoltà di medicina, Ollie, s’ingaggia come paramedico alle urgenze, per lui è un modo per guadagnarsi di che vivere e per farsi dell’esperienza sul campo.
Ollie, entra puro e pronto a dare il meglio di se stesso in questa professione senza sapere esattamente a cosa andrà incontro. Sauvaire, ce lo descrive subito come un angelo, facendogli portare un giubbotto con due ali ricamate sulle spalle. Come se questo non bastasse, per farci capire ancora meglio da che parte si schiera questo personaggio, sulla parete dalla sua stanza in un putrido appartamento di Chinatown, vediamo un grande poster di San Giorgio, simbolo della lotta del bene contro il male. Anche il suo nome Olli Cross a ben vedere rinvia foneticamente in inglese alla croce cristiana.
Ollie dovrà lavorare in binomio con un veterano del mestiere, Gene Rutkovsky, uno Sean Penn completamente credibile, in questo ruolo di duro dal cuore d’oro.
Fra i due partner, giorno dopo giorno, si tesse un forte legame di amicizia. Gene, forte della sua esperienza, salva la situazione durante il primo intervento di Ollie completamente scioccato da quanto sta accadendo ed incapace di reagire in modo appropriato, lo prende sotto la sua protezione, gli insegna il mestiere e lo sostiene.
Ma da un intervento all’altro, da una violenza a quella successiva- spesso i due paramedici devono ricorrere all’aiuto della polizia che proteggersi dalle aggressioni dell’entourage di chi tentano di soccorrere- salvare vite sembra diventare un compito sempre più arduo anche perché, raramente, qualcuno si mostra riconoscente.
Gene, separato con una figlioletta che adora ma che può vedere solo di tanto in tanto, sembra contemplare con crescente disgusto il caos della miseria umana con cui deve confrontarsi ogni giorno. Che senso ha salvare la vita di un delinquente? Di uno spacciatore di droga, o di un neonato sieropositivo?
Una volta chiuse le porte dall’ambulanza, chi potrà mai dire cosa vi succede al suo interno?
In questo spazio confinato e recluso, i paramedici tengono letteralmente in mano la vita dei malati che vengono loro affidati e possono decidere, in teoria, se meritano di essere salvati o meno.
L’accumulo di interventi l’uno più cruento e brutale e disperato dell’altro, sembra avere la meglio sulle convinzioni e le buone intenzioni di Gene, che un giorno commette, coscientemente, l’irreparabile.
Da questo punto in poi il film s’impantana in un vortice di reazioni drammatiche a catena.
Ma tanto si può svelare già subito, senza fare troppo torto a questo film che ci prende letteralmente in ostaggio durante due ore, il bene avrà il meglio sul male. La conclusione moralistica e il happy end di Black Flyes, non fanno altro che riflettere perfettamente, il mondo in bianco e nero, senza sfumature e profondità di Sauvaire.