Negli ultimi anni, senza andare a scomodare Niffoi o il Soriga di Sardinia Blues sono usciti decine di ottimi libri di autori sardi che ambientano storie nella propria terra e che hanno un’innata e luminosissima predisposizione cinematografica trascurata forse – troppo spesso – in modo barbaro.

In questo senso, il regista Salvatore Mereu nel suo Bellas Mariposas rende finalmente giustizia al romanzo omonimo di Sergio Atzeni, tracciando al tempo stesso un affresco brillante e assolutamente inedito di tutti i Casteddu.

Aldilà del valore indiscutibile di tutta la produzione dello scrittore scomparso tragicamente a Carloforte quindici anni fa comunque, il regista Mereu con quest’opera, mostra di avere un estro e una vitalità assolutamente sorprendenti, regalandoci forse – assieme a Queen of Montreil di Sòlveig Anspach – una delle perle grezze più luminose dell’ultima settimana di questo Festival di Venezia.

In un contesto deprimente come la periferia dei palazzoni di Sant’Elia a Cagliari, l’autore del sottovalutato Ballo a tre passi (2003) avrebbe potuto raffigurare una rappresentazione caotica e disturbante degna di Brutti, sporchi e cattivi di Scola. Mereu al contrario sceglie il passo di una commedia molto meno cinica, ma affascinante, devota per certi versi allo stile di Virzì, ma con alcuni spunti folgoranti e molto più audaci di Ovosodo.

La carrellata sui freak del quartiere è intricata e imprevedibile e la stessa sovrapposizione spaziale di tutti i componenti della famiglia della protagonista ha un incedere magico e visualmente inestricabile.

La marginalità dei vari personaggi trova poi un collante in una sorta di ossessione compulsiva di tutti gli adulti per il sesso, inteso qui come unica valvola di sfogo e piattaforma di pacificazione sociale, elaborata in alcuni tratti in momenti onirici e surreali.

Anche l’espediente della bimba che parla alla telecamera, molto superficialmente potrebbe essere interpretato come un appiattimento al linguaggio dei reality. In realtà la trovata ha una luccicanza tutta sua e per certi versi ricorda molto lo stile adottato da Capuano in Nunzio Pianese 14 anni a maggio.

Dopo la prima parte incredibilmente riuscita, il film perde un pò di forza e il finale – con echi felliniani – sembra appena un pò forzato e meno coerente rispetto all’inizio della storia. Questo nulla toglie però al valore del film che sembra destinato ad una gloriosa traversata al box office.

Non sappiamo se Luciano Curreli abbia adottato il Metodo Stanislavski per entrare nel suo personaggio. L’animale a cui si è ispirato è sicuramente il più affascinate sulla faccia della terra.

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