di Federico Vignali/ Tanto più è invadente il modo in cui cuochi e pasticcieri si sono ormai intromessi nella nostra visuale, tanto più si ha la sensazione che gli spazi per una riflessione seria e coerente sulla provenienza o i meccanismi di produzione dei vari ingredienti delle loro ricette siano nascosti o ben mimetizzati. Ok, il numero di persone che si interessano al biologico, o persino al fenomeno dei famigerati Orti urbani oggi sta sicuramente crescendo. Un processo di revisione e conoscenza più approfondita di come arrivino a tavola i nostri alimenti però potrebbe sicuramente guidarci verso modelli più sostenibili per l’ambiente e forse anche a sbocchi più remunerativi ed evoluti per la nostra economia. In un qualsiasi confronto dedicato a temi come questi immaginiamo che Micheal Pollan possa essere sempre l’ospite d’onore. I suoi libri non sono solo indagini interessanti su quello che mangiamo, ma spunti di riflessione sorprendenti su tutta la nostra cultura con continui e mirati riferimenti alla filosofia, la storia e la letteratura. Una Seconda Natura, il suo primissimo libro ora edito anche in Italia per Adelphi, ne è l’ennesima testimonianza. Prima dello sviluppo di argomenti più specifici che è possibile seguire nelle opere successive, qui il professore della Berkeley University compie soprattutto un’analisi basilare e se vogliamo propedeutica sul rapporto essenziale tra uomo e lo spazio verde che lo circonda. Partendo dalla sua esperienza personale e da una rassegna scrupolosa dei modi più frequenti in cui negli Stati Uniti è stato inteso l’approccio verso orti e giardini, Pollan arriva a interpretazioni sorprendenti dei significati remoti dietro alla scelta delle piante o i manti erbosi che finiamo per scegliere o ignorare.
Chi viene da letture recenti di Gilles Clement o Thoreau potrebbe aver sviluppato una sensibilità fin troppo romantica e protettiva nei confronti di qualsiasi tipo di gramigna o erba infestante che si avvicinasse al proprio balcone. L’autore de l’apprezzatissimo Il Dilemma dell’onnivoro riesce a ristabilire in queste pagine un equilibrio ecologista molto più bilanciato e razionale. Come nelle altre sue opere anche qui Pollan non si limita a suggerirci chicche preziosissime per la cura dei nostri giardini, ma agisce direttamente sulla nostra coscienza e il senso di responsabilità verso il mondo che ci circonda. Malick in The Tree of Life ha filmato in maniera sublime l’estetica e la lucentezza del classico prato curato dei vialetti americani. Leggendo Una seconda Natura però cominciamo a guardare in un’altra prospettiva quell’unico e inconfondibile manto erboso che è stato srotolato su un paese immenso e infinitamente vario.
Il tipico vialetto nel verde del resto è stato uno dei primi segni di riconoscimento di una classe media sterminata che proveniva da nazionalità e continenti diversissimi. Un giardino in ordine e che magari potesse mettere in vista anche l’auto nuova ha simboleggiato per anni l’aspirazione e la voglia di appartenenza ad un tipo di conformismo in cui il prato tagliato era proprio uno degli obblighi più severi. Per Pollan il giardino di fronte la casa ha simboleggiato per anni i Usa il volto collettivo dei sobborghi e l’immagine che la comunità voleva darsi di se stessa. Secondo le stime del Lawn Institute l’America vanta 130.000 chilometri quadrati di prato coltivato, per i quali si spendono 30 miliardi di dollari l’anno. E’ inutile dire che nel testo è possibile esaminare una critica ferocissima e lucida a questi modelli di coltivazione, primo perché quelli hanno contribuito ad azzerare le diversità biologiche di un ambiente multiforme, secondo perché sono il sintomo di un’idea totalitaria e unidirezionale del rapporto che l’uomo ha impostato con la natura. Pollan in questo senso cerca di ripartire da capo guidandoci in maniera colta e precisa in cose tipo la preparazione del compost o la coltivazione delle rose. E’ statisticamente provato che l’uso di fertilizzanti ha dimezzato la produttività delle piante. Le sostanze chimiche presenti nei diserbanti infatti soffocano l’attività biologica e danneggiano la struttura del suolo. Bruciando la composizione organica del terreno gli agenti chimici azzerano le sostanze nutritive dei campi facendo diventare le piante completamente dipendenti dai fertilizzanti. Ormai il suolo è poco più che un dispositivo per tenere le piante in posizione verticale mentre succhiano elementi chimici. Nel capitolo che guida alla preparazione del compost abbiamo quasi la sensazione che c’è la possibilità di uscire da questo circolo vizioso e ci sentiamo anche più pronti per quando la differenziata arriverà seriamente a Roma. Tramite l’interpretazione sorprendente del pensiero di Proust o Ralph Waldo Emerson, Pollan ci consiglia all’approccio con le infestanti e le Rose di cui da una lettura storica politica davvero inaspettata. Gli ultimi capitoli forse scendono troppo nel dettaglio nella preparazione di un giardino e chi non ha uno spazio verde a disposizione, forse potrebbe fare un p0 di fatica nel seguire il filo. E’ chiaro però che l’autore più che prepararci alle messa a dimora di un Acero gigante tiene a sollecitare il nostro senso di responsabilità verso l’ambiente. Una volta capito che i veri infestanti siamo noi, non andremo da nessuna parte se prima non verremo a patti con la fondamentale ambiguità del nostro ruolo nei confronti dell’inquinamento: e cioè che noi siamo al tempo stesso il problema e la sua unica soluzione possibile.
c’è anche un aspetto etico. Le risorse idriche impiegate per realizzare questa devastante omogeneità sono immense.
mi è capitato di osservare delle macchie verdi, in mezzo al deserto del nevada, villaggi in perfetto stile americano con i loro prati curati, verdissimi. Sembra un diritto inalienabile e non solo un vezzo paesaggistico, il sogno americano non può fare a meno del praticello verde. un anno durante una siccità grave, la gente annaffiava di notte se poteva o dipingeva l’erba di verde, una follia. Peccato ad esempio che il fiume Colorado che arriva fino in Messico o è meglio dire “arrivava”, sia stato privato della quasi totalità delle sue acque non solo per scopi irrigui, ma anche per queste pratiche insensate.
Le autostrade in cui sono passato, negli stati della costa atlantica americana, dal Vermont alla Florida, ma anche negli stati più interni, sono contornate da strisce continue di prato rasato e in mezzo tra le due carreggiate invece di un normale separatore (tipo il guard rail con gli oleandri da noi) c’è una striscia larghissima di prato ben rasato…. 130.000 km quadrati sono quasi la metà dell’inero territorio italiano!
bisognerà dirglielo a questi americani…
era meglio se prevaleva il sentimento puritano originario più radicalmente rispettoso dell’ambiente come disegno immodificabile del creatore