Presentato in anteprima al Sundance Festival, unico film italiano in concorso, Riprendimi segna il ritorno alla regia, dopo quasi dieci anni, di Anna Negri che al suo esordio aveva diretto Stefania Rocca nel particolarissimo In principio erano le mutande. Riprendimi è un film indipendente girato, per ragioni di budget, nell’appartamento della regista e di alcuni attori, ed è stato prodotto dalla Bess Film di Francesca Neri. Ciò ha favorito una maggiore libertà creativa e la realizzazione di una pellicola la cui materia appare a tratti debordante, ma che la sapiente regia della Negri sa ricondurre nei suoi spazi, evitandole il rischio di scadere nella soap.

Due amici, Eros e Giorgio, decidono di girare un documentario sul precariato investendo tutti i loro soldi in questo progetto. Per farlo convincono una giovane coppia, Giovanni (Marco Foschi, protagonista insieme a Giorgio Albertazzi del recentissimo Moby Dick di Antonio Latella) e Lucia (la bravissima Alba Rohrwacher già apprezzata in Giorni e nuvole di Soldini) – lui attore di fiction, lei montatrice a progetto – a farsi riprendere ventiquattr’ore su ventiquattro per mostrare le difficoltà di chi vive la condizione di precario. Ma poco dopo l’inizio delle riprese la coppia scoppia: Giovanni lascia la moglie e il figlioletto e va via di casa gettando Lucia nella totale disperazione. Ma questo non ferma il progetto dei due amici che d’ora in poi decidono di dividersi per seguire le (ormai) separate vicende di Giovanni e Lucia, trasformando il progetto originario del documentario: dimostreranno quanto l’instabilità lavorativa influenzi anche la sfera affettiva della vita.

Ben presto però Eros e Giorgio capiranno che la vita è ben più sorprendente di qualunque teoria sociologica…

riprendimi 3Il cinema italiano consegna l’anno 2008 alla precarietà e ai suoi mille volti; il fil rouge di almeno tre pellicole ora nelle sale è la deriva provocata da una condizione esistenziale priva di punti fermi, di legami indissolubili, di baluardi incrollabili. Cover boy di Carmine Amoroso, Tutta la vita davanti di Virzì e ora Riprendimi raccontano, ognuno a suo modo, vite che la macchina da presa non può fissare con campi lunghi ma solo ricorrendo al particolare, a testimoniarne la frammentarietà e l’impossibilità di una visione unitaria. L’uso della macchina a spalla nel film della Negri, alternata alla camera fissa, al di là dell’espediente del finto documentario, contribuisce a cogliere questi frammenti, a cambiare in continuazione il punto di vista dell’osservazione, a vivere una realtà che non è già scritta e pensata ma che si costruisce nel suo divenire. Proprio il gioco del film nel film, o meglio, del documentario nel film, sottolinea la difficoltà dei giovani trentenni precari, nell’anima ancora più che economicamente, di abbandonarsi e di vivere emozioni se non filtrate e rielaborate attraverso l’occhio della cinepresa. Da qui il doppio gioco del titolo del film, quel “Riprendimi” che è una richiesta d’amore, ma anche e soprattutto l’invito ad essere filmati, vista come unica possibilità di dare realtà ad una realtà priva di emozioni e sicurezze, di dare consistenza a un vuoto esistenziale. Una realtà che ognuno vorrebbe smontare e rimontare per dargli il giusto senso, come Lucia nel suo lavoro di montatrice; ma la realtà è più complessa e sfugge a queste regole, annullando il gioco della finzione fino a sottolinearne la vacuità.

Soli e incapaci di entrare in comunicazione profonda tra di loro, i protagonisti di queste storie si muovono alla ricerca del proprio posto nel mondo, elemosinando calore e vicinanza, come Lucia che non esita ad inginocchiarsi di fronte all’uomo che l’ha lasciata pur di trattenerlo o a tentare la via del rifugio sessuale abbandonandosi tra le braccia del suo ex, pur di sentire quella vertigine che rende vivi. Quello stesso desiderio che ha spinto il suo Giovanni ad abbandonare la tranquilla stabilità matrimoniale alla ricerca di un senso di sé che ha smarrito, gettandosi tra le braccia della dottoressa Valentina Lodovini. Un senso di smarrimento che costringe a girare vorticosamente in tondo come le macchine di Almodovar nella notte di Tutto su mia madre senza riuscire mai a prendere nessuna direzione, reinterpretando copioni già scritti, obbligando a ripetere il medesimo percorso di sempre; alla fine del film vediamo anche la Lodovini, novella Lucia, incinta. Lei crede di aver così concluso il suo sogno d’amore, in realtà è solo all’inizio di un giro di ruota che ricomincerà, implacabilmente, identico al precedente.

In questa prospettiva, al di là delle dichiarazioni di intenti, ovvero di un film vissuto dal punto di vista delle donne, tutti i personaggi appaiono in realtà frammenti di un unico mosaico e la crisi di Giovanni non è molto distante da quella di Lucia o del regista Eros o ancora dell’azzeccatissimo quartetto delle amiche. La conferma di ciò sta proprio nell’eccessiva catterzazione dei personaggi ai limiti del caricaturale: l’uomo bastardo e immaturo, la donna innamorata e consunta dal dolore, estremizzazioni che apparirebbero inverosimili, e fuori dal tempo, se non fossero in realtà figlie di un unico disagio.

Personaggi non reali quindi, proiezioni di un’idea, ma nati da un’urgenza e, per questo, credibili; personaggi incompiuti, gli unici possibili nell’Italia precaria di oggi. Impossibile trovare soluzioni definitive, le soluzioni sono attimi che come un guizzo risplendono, la soluzione potrebbero essere due corpi che si stringono e ballano sulle magiche note di Billie Holiday e salutano quell’heartache, quel male al cuore, accolto ormai come qualcosa che fa parte irrimediabilmente di sé.

Convince e piace la Negri con questo “piccolo” film capace di cogliere umori e sensazioni universali e contemporanei; speriamo che non trascorrano altri dieci anni per assistere alla prossima proiezione.

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One thought on “Riprendimi

  1. Sono d’accordo sulla riuscita di questo film. Il caos sentimentale che racconta è in realtà un caos esistenziale che è molto figlio del nostro tempo. Il film tratta di qualcosa – la precarietà dei sentimenti, l’incapacità di fermarsi per paura di dover fare i conti con l’horror vacui – che è apparentemente banale (la storia in fondo è simile a quella dell’Ultimo bacio di Muccino), ma c‘è una sincerità, un’urgenza di fondo che toglie a questo film l’autoreferenzialità di cui potrebbe essere facilmente accusato. Impossibile non riconoscere quell’ansia, quel girare vorticosamente in tondo, quel narcisismo, che rendono la vita così difficile, di questi tempi. Perché la vitalità, la voglia di vivere, l’energia non sembrano trovare una canale giusto per esprimersi…

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