Va bene, la sceneggiatura di innumerevoli film passati poi alla storia è stata scritta a cena sul famigerato tovagliolo del ristorante. A questo punto quella di ACAB di Stefano Sollima può benissimo essere stata redatta sul numeretto della fila all’ufficio postale di Piazza Bologna.

Temiamo di aver colto la vaga amarezza di fondo di chi in sala stampa paragonava la tenuta del film di Sollima a il 300 di Zachary Edward Snyder. Più che all’etica picchiaduro tutta addominali della pellicola con Gerard Butler però, la nuova produzione Cattleya tende molto di più allo slancio e ai tempismi tipici della redazione della cronaca romana de Il Tempo sotto campagna elettorale.
Comprendiamo che la vicinanza dei fatti raccontati con gli eventi ingombranti del G8 di Genova, l’uccisione del commissario Raciti e quella di Gabriele Sandri poteva schiacciare la mano del writer più esperto. Tanto più che il progetto prendeva spunto dallo scheletro del romanzo omonimo di Carlo Bonini, giornalista di Repubblica.

Più che lo sbilanciamento di uno script adagiato e maliziosamente incastrato sulla cronologia contemporanea, qui abbiamo avuto la sensazione di vivere nella dimensione opposta, come se fossimo obbligati a immedesimarci nelle vicende di un film d’azione qualunque, tipo la New York Baretta o Cannon negli anni ’80 a noi potenzialmente estranei.

Lo sdoganamento della violenza di estrema destra non è un problema. Il recente cinema Italiano ci ha abituato a episodi di revisionismo ben peggiori. Il fatto è che in ACAB è come se si guardasse dal buco della serratura e con aria piuttosto compiaciuta la deriva proto destrorsa e degenerata di quattro celerini romani. Un po’ come a inizio anni ’90, da adolescenti, si comprava Supertifo per vedere i casini che gli ultrà della propria squadra avevano combinato in trasferta. Aldilà del fatto che rispetto al libro l’elaborazione dei fatti di Genova sia stata del tutto rimossa e che ci si riferisca agli episodi della Diaz come se fossero il frutto della bravata di cani sciolti, l’aspetto più fastidiso del film è il senso di accerchiamento perenne che  le nostre città sembrano costrette a subire dal pericolo della cosidetta malavita rumena.  Contro cui poi l’unico rimedio pare essere Casapound o i poliziotti violenti.

La malafede dello stesso Bonini è emersa più o meno inconsapevolmente proprio nel corso della conferenza stampa, quando il giornalista di Repubblica ha sostenuto che la scena in cui Favino e gli altri cacciano via malamente quattro rumeni ubriachi da Piazza Vittorio ci avrebbe dovuto procurare un minimo senso di soddisfazione. Sospendiamo il giudizio su Sollima, secondo il quale dei fatti di Genova si è parlato fin troppo altrove (?).

Epica Etica Etnica Pathos della serie di Romanzo Criminale, è fin troppo evidente. Aldilà di tutto questo non sappiamo se sperare che il film susciti un vespaio di polemiche o che sia apprezzato solo come un film di azione di buona fattura. In un certo senso siamo combattuti come davanti all’impatto della serie tv sulla Banda della Magliana che nonostante i mille difetti aveva un senso del ritmo e una capacità di individuare i personaggi indiscutibile. Ottima la prova di Sartoretti, Diele e Favino, che però dopo Miracolo a Sant’Anna, Baciami ancora vorremmo rivedere presto nei panni di Bartali, almeno. Dopo il toccante Black Block a questo punto aspettiamo anche Diaz della Fandango per capire come il nostro cinema sta elaborando complessivamente dieci anni dopo quegli attimi così concitati.
Almeno speriamo di rimuovere al più presto le immagini di un gruppo che esegue dal vivo la canzone ACAB dei 4skins nella sede sbagliata .

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7 commenti su “ACAB di Stefano Sollima, all cops are bastards

  1. ieri sera ho sentito un certo Vasquez su Radio Città Aperta che lodava ACAB come un eccellente film d’azione, “un filmone” nelle sue parole. Ottima sceneggiatura, ottimi attori, tante critiche positive su tutte le testate, secondo lui. Solo chi si occupa saltuariamente di cinema ne ha parlato male, sempre secondo il buon Vasquez. il dibattito mi incuriosisce. mi viene del tutto naturale un parallelo con il poliziottesco anni settanta.

  2. temo invece che il lavoro degli sceneggiatori sia stato scorretto. vedendo il film si ha quasi la sensazione che si abbia voluto costruire un prodotto a uso e consumo degli amanti di Romanzo Criminale la serie. Che secondo Corsano e Petronio è di estrema destra probabilmente. Strano che è mancata la scena in cui vanno tutti a Mignotte. Se volevano fare un film d’azione e manganellate non capisco perchè non si è scelto di filmare gli scontri di una partita qualsiasi di campionato di serie A, gli spunti non mancherebbero. Si sono messi a casaccio riferimenti a episodi recenti che andrebbero utilizzati con un minimo di rispetto in più.

  3. ottimi spunti di riflessione caro federico. mi trovi d’accordo su quasi tutto anche se io il film non l’ho visto e non lo vedrò. ma tu ti aspettavi davvero qualcosa di diverso da questo patetico e molliccio cinema italiano contemporaneo, che quando vuole giocare col fuoco si scotta sempre? una capacità di analisi in profondità della realtà sociale? un film di denuncia contro la deriva fascistoide della polizia italiana e delle sue collusioni con i golem di casa pound? o anche , innocuamente, un buon film di genere (all’americana o all’orientale) in cui non si veicolino sotterranei messaggi ultra-reazionari o, nella migliore delle ipotesi, non si riduca il tutto alla teoria della mela marcia? hanno-da-venì abel ferrara e Johnny To, caro fede e, per restare ai grandi 4skins, beh, “No Excuse” per i fighetti del (ex) “giovane” cinema italiano. Sergio

  4. ciao, mi inserisco perchè tirato dentro da federico. Ero io che parlavo a radio città aperta. Confermo quel che ho detto, cioè che di tutte le voci che ho sentito e letto,le più vicine al mondo el cinema erano anche le più entusiaste, mentre quelle che solitamente si occupano d’altro sono state quelle a criticare di più il “fascismo” del film. Questo chiaramente senza pretesa d’esaustività, in linea di massima è stato così.
    Ad ogni modo io non ho trovato assolutamente il film di estrema destra ma un film che parla di persone di estrema destra e mostra il loro punto di vista, il che non significa assolutamente parteggiare per loro o condividerne le idee. Come chi gira un film su un criminale non ne condivide le idee necessariamente, dipende come guardi ciò che racconti e a me sembra che lo sguardo di Cesarano e Sollima sia più rivolto ad un doppio movimento. Da una parte condanni senza appello la violenza, l’estremismo e i modi assolutamente ingiustificabili, dall’altro, visto che sono i protagonisti, sei teso ad immedesimarti con i loro dolori e i loro problemi (sensati o meno che siano). Questo ti porta a capire, immaginare o anche solo empatizzare in più d’un momento con le “ragioni” e le vite di figure discutibilissime.
    Credo fosse questo quel che voleva dire Bonini in conferenza stampa, che in molti momenti, arrivi quasi a condividere gli istinti (non le ragioni) dei protagonisti ma subito dopo il film, mostrandoti a cosa portano ne prendi le distanze.

  5. ciao Gabriele e grazie per aver risposto.
    come dicevamo con altri ragazzi della redazione, sarebba da buttarla meno sul politico e più sul cinema. credo che il cinema non sia di estrema destra quando parla della celere o di estrema sinistra quando parla di prima linea. a me sembra che da romanzo criminale fino ad acab passando per vallanzasca, prima linea e compagnia bella, più che alla rinascita del cinema di genere, del cinema d’azione etc etc, stiamo assistendo alla perpetrazione del filone degli exploitation movie. mi sembra che ci sia tutta una generazione di nuovi sceneggiatori bravissima a cannibalizzare tutto ciò che è già passato per la spettacolarizzazione della cronaca e reciclarlo (altro che differenziata!) per confezionare film nei quali le emozioni arrivano come botte d’anfetamina per poi sparire senza lasciare traccia. non si tratta di rivendicare il film impegnato che educhi e insegni. ben vengano i cattivi ragazzi. è piuttosto il desiderio di un cinema in grado di costruire con il proprio linguaggio un processo di lettura nel quale lo spettatore sia parte attiva, e alla fine del percorso, generare emozioni.
    è come un orgasmo che può arrivare dopo un percorso di seduzione o con 50 euro sulla Colombo (o con 7 euro al cinema, più economico e meno imbarazzante)

  6. eh si grazie daniele,
    non volendo alla fine ho ridotto troppo il tutto sulla presunta componente politica del film. Lungi da me comunque l’intenzione di contrapporre un cinema di destra a quello di sinistra. Il nostro cinema di sinistra è pieno di passi falsi del resto. l’ultimo di Maselli? Quello che mi ha dato fastidio del film è sicuramente l’appoggiarsi ad eventi eclatanti. Come se l’enfasi o l’eco del delitto Sandri o Raciti fossero l’arma segreta per conferire un’epica automatica alle azioni di favino e giallini. Aldilà di tutto e del fatto che non mi è piaciuto, spero che acab possa costituire un punto di svolta per far tornare le grosse produzioni su film d’azione. Visto che la famigerata crisi del nostro cinema probabilmente ha inizio proprio dal momento in cui si è cominciato ha ridurre asfitticamente al binomio commedia-drammone da cui non pare esserci più via d’uscita

  7. sì però il cinema che punta tutto sull’orgia emotiva ,e molto primitiva, lasciandoti ben pochi spunti di riflessione, e dunque pochi strumenti di messa in discussione dell’esistente e di te stesso, porca miseria se non è di destra!
    la spettacolarizzazione è di destra, come diceva debord.

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