Certo, la sala 1 di Castel Sant’Elmo che ospita gran parte della retrospettiva dedicata dal Napoli Film Festival 2012 a Paul Vecchiali grida vendetta al cielo e fa smaniare il cinefilo: il proiettore è fuori fuoco, l’impianto di amplificazione inadeguato, il tramestio appena fuori la sala sovrasta spesso le voci di Hélène Surgère e Sonia Saviange, il dvd – nello specifico Femmes femmes – salta che è una bellezza. Eppure il cinema di Vecchiali, in questo titolo del 1974 come in tutti gli altri proposti dalla retrospettiva, risplende in tutta la sua forza e poesia, vola più in alto del disturbo e folgora i molti sguardi che finora ne erano stati all’oscuro.
È in effetti un curioso e «laterale» destino quello dell’ottantaduenne regista nato in Corsica: cresce e si afferma negli anni della Nouvelle Vague (fa parte anche lui del gruppo dei Cahiers du cinéma), ma guarda anche e soprattutto al cinema degli anni Trenta (Max Ophuls, Jean Grémillon…). È ammirato da Truffaut (che lo definì l’unico erede di Jean Renoir) e Godard, ma non ha mai ottenuto il loro stesso successo. In Italia, nonostante diversi passaggi nei principali festival – a Venezia, nel 1974, Pasolini restò folgorato da Femmes femmes, al punto da scegliere le due protagoniste, Surgère e Saviange, per il suo Salò dell’anno successivo – la sua filmografia è praticamente inedita, ad eccezione di tre titoli. In Francia continua a influenzare le nuove generazioni (Jean-Pierre Jeunet confessa di essersi ispirato, per il Favoloso mondo di Amélie, a Les ruses du diable, in cui una giovane donna riceve dei soldi da un mittente sconosciuto e decide di utilizzarli per aiutare il prossimo), eppure i suoi ultimi cinque film non sono mai arrivati nelle sale. Ritorno a Mayerling, del 2011, è stato presentato qui a Napoli in anteprima mondiale, e chissà se troverà mai una distribuzione.
A testimonianza della rarità e della difficile reperibilità delle opere di Vecchiali, alcune proiezioni si sono svolte al limite del pionieristico e in un paio di casi sono stati utilizzati i vhs di proprietà dell’autore, gentilmente messi a disposizione. Dodici titoli in tutto, oltre al documentario-intervista Une vie chantée realizzato da Tiziano Sossi, videomaker e storico del cinema, sottotitolatore di tutti i film della retrospettiva e in larga parte artefice della stessa. Va dunque dato merito al Napoli Film Festival di aver concesso visibilità, e reso giustizia, a una poetica ricca e di non facile inquadramento, che tiene ben saldi due punti di riferimento ineludibili, il melodramma e la cinefilia, per spandersi senza paura verso un cinema libero e imprevedibile, di chiara ricerca poetica. Storie in bilico tra realtà e finzione («più che il realismo mi interessa l’autenticità», dice il regista nella lunga intervista a Sossi), personaggi estremi come il killer sentimentale che uccide solo donne disperate (Lo strangolatore), amori crudeli e impossibili come nell’intenso Corpo a cuore, finali ambigui e irrisolti «per lasciare allo spettatore del lavoro da portare a casa». Non c’è lieto fine, un tragico destino incombe sui protagonisti, che spesso trovano – o scelgono – la morte: per la prostituta Rosa, in Una donna per tutti, è l’unica via d’uscita dall’infelicità, per la Sonia di Femmes femmes rappresenta l’ironia della sorte, proprio quando le cose sembravano risolversi per il meglio.
Il melodramma, dunque. Che Vecchiali tende fino allo sfinimento, lo porta alle estreme conseguenze, riuscendo a cogliere come pochi (Sirk, Minnelli, Fassbinder) quella forma unica di bilico tra ridicolo e commovente che conduce al sublime. Dialettiche incessanti e lotte di opposti, come Eros e Thanatos sempre inscindibili: Once More, racconto scandito attraverso dieci episodi della vita del protagonista (lo stesso giorno, il 15 maggio, per dieci anni consecutivi, quasi sempre in piano-sequenza), è forse il primo film ad affrontare apertamente il tema dell’AIDS – ovviamente connesso all’amore. In Corpo a cuore, la donna che Pierrot insegue disperatamente sarà conquistata proprio quando scoprirà di avere un male incurabile.
La musica, irrinunciabile per Vecchiali, spesso anche compositore, segue pari passo e spesso muove i sentimenti. Nel citato Corpo a cuore, ad esempio, i due protagonisti si incontrano a un concerto (un Requiem di Fauré), e più in generale sono presenti parti cantate in diversi film, in alcuni casi oniriche, talvolta stranianti in senso brechtiano. Non manca una certa dose di lucida ironia, per esempio sulla morbosità e l’accanimento dei media verso le storie di cronaca nera (Lo Strangolatore, La machine), o sulla stessa industria del cinema. In A vot’ bon coeur, infatti, il regista interpreta se stesso, un regista che non può lavorare al suo film a causa dei finanziamenti negati da una commissione di Stato, e che uccide uno dopo l’altro, nei modi più grotteschi, i membri della commissione. Tutto questo mentre in una sottotrama parallela un moderno Robin Hood si aggira per Parigi, derubando i ricchi e regalando il denaro ai poveri.
Il cinema di Paul Vecchiali è un universo chiuso, spesso claustrofobico, con continui rimandi interni, in cui i corpi si muovono senza nascondere, e spesso esplicitando, il set che li contiene. Vi si respira l’aria viziata e speciale di mille altri film, di mille altre sale frequentate dal Vecchiali spettatore alla ricerca degli amati Jean Gabin, Danielle Darrieux, Michèle Morgan, Greta Garbo, Marlene Dietrich. Ecco che l’autenticità scaturisce per Vecchiali attraverso il massimo dell’artificio: il melodramma rivisto alla luce del cinema stesso, l’amore come allucinazione improvvisa di un fotogramma già visto. Per pura forza di stile, non certo di trama, il regista corso arriva al cuore dell’emozione: rivendicando a ogni taglio di montaggio, a ogni parola di un dialogo superbamente letterario, a ogni movimento di una camera fluida e precisa, la precisa cognizione del rischio connesso a ogni scelta espressiva, e il suo conseguente investimento sentimentale.
«Fare il film o morire!», per dirla ancora con le sue parole. Dove il film, appunto, non è che la vita.
Foto di Luca Atero
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