Rai cinema, stavolta, ha preferito non giocare. E la partita è diventata di tennis, tra il campione indiscusso De Laurentiis e l’eterno ragazzo della porta accanto. Che tanto ragazzo non lo è più, e il film che ha fatto, Una moglie bellissima, infatti, lo racconta in pieno, forse. O forse l’esperimento pieraccioniano è solo sondaggio e scommessa, prova o tentativo. Il futuro dirà se i toni e gli argomenti espressi dal toscano educato saranno morsi letalmente da una parolaccia, o se invece ce la faranno a scavare il varco verso un cinepattone dal gusto un po’ più amaro e lungo. Insolito per tutti, persino per la commedia magica e leggera, un tantino surreale e mai veramente nutriente di Leonardo l’ex ciclone.

Rimasti ai blocchi di partenza, o meglio partiti con tanto anticipo da fare gara a sè, i fortissimi e navigati Vanzina, Boldi (Matrimonio alle Bahamas) e Salemme (SMS – Sotto mentite spoglie) se le sono date in pieno autunno, con trionfo allegro e spavaldo del napoletano, con tonfo prevedibile degli scellerati fratelli romani, (a capo stavolta di un’idea senza scrittura e senza squadra) e con un Boldi attestato su posizioni soddisfacenti da un punto di vista commerciale. Un natale meno affollato, insomma, e neanche troppo male. Con meno parolacce, meno personaggi, meno intrecci e meno comparsate. Con un Pieraccioni agrodolce che stupisce e delude nello stesso film.

Il riccio innamorato delle belle donne costruisce una commedia seria poggiata su L’oro di Napoli da un lato e su La bella vita di Paolo Virzì dall’altro. Al centro del film, e di una Toscana impressionista e imprecisata, pone una bellissima popolana autoctona, nera lucida come l’ossidiana e robusta come una giumenta. Di quelle solite ignote mozzafiato che mentre partono le domande sulla provenienza e sulla raccomandazione il maschio italiano è già rapito, consensualmente o meno. Suona un accento toscano autentico e suadente, la gnocca senza dubbio, mentre il vestitino aderente e fiorellato la stringe come vorrebbe fare qualsiasi spettatore masculo. E’ la storia di una famiglia di ortolani senza figli, polvere di un’Italia che si alza, lavora e vive di un quotidiano anonimo e prosabile. E’ il paese della tradizione, non gretto ma conservatore, semplice di ragione più che di cuore. Presepe laico di anime genuine senza malinconia all’italiana, leggero, mai del tutto disincantato, non triste, di origine contadina e guizzante di battute. In questo anfratto stagionale, in questo lembo vicoloso, fiorito ed ideale piomba la società televisiva rappresentata sul piccolo schermo e quindi “vera”. E’ una società piatta, quest’ultima, senza vita e sfumature. La rappresentazione della rappresentazione. Un fotografo (Gabriel Garko, bello ribelle e freddo) si accorge di tanta prorompente grazia e propone alla coppia un pericoloso salto nel vuoto: un calendario di lei nuda tra gli ortaggi, con un assegno in allegato ed un futuro potenziale tutto da scrivere. La vita degli altri, di pochi altri, sognata senza speranza e senza reale desiderio, diventa una reale possibilità. Il pizzico di tremarella precede la decisione che fa andare avanti il film. Va come deve andare, e cioè che la giumenta scappa col cow boy. Che il contadino rimane nell’orto ad attendere la cavalla, finché un giorno la cavalla torna, e torna storna in seguito ad un terribile incidente. Il fine, lieto-misto-triste, dice che rivissero tutti un po’ meno felici ma contenti. Nobile la sterzata pieraccioniana, il suo giro verso un film meno personale e connotabile. Apprezzabile la penna impersonale e distaccata del regista, che rinuncia al vicolo cieco dell’iper-riconoscibilità e del ripetuto ad libitum. Il film vira verso la commedia classica, aperta sul presente. Il peccato è che non è una valida commedia e non fa ridere come altre volte. Pieraccioni racconta una storia ma non la racconta benissimo; non fanno ridere le buffe anime di contorno come altre volte erano riuscite a fare. Se Pieraccioni batterà Aurelio, Christian e il “film di Natale”, il suo film avrà vinto ed avrà un significato preciso. Altrimenti la sua scommessa sarà persa, seppur con merito, dopo una partita giocata a testa altissima.

A Pieraccioni può aver detto male anche perché Parenti, Brizzi, e compagnia attoriale, hanno fatto un film più semplice ed efficace del solito. Natale in crociera è un film che fa ridere anche gli scettici e gli appassionati di cinema. Fabio De Luigi è un comico di razza e sa creare situazioni. Non sa cosa sia la volgarità e fa della finezza maschile e della riservatezza la sua chiave comica. Con Michelle Hunziker, poi, se la intende alla grande, anche lei carina e non immobile come altre sue colleghe. De Sica è il maschio codardo e peccatore della tradizione ma la forma di quest’anno è super smagliante e la debordante imitazione di suo padre una costante citazione, quasi un omaggio al padre. Il colore, la musica, la leggerezza accettata a priori fanno il resto e fanno di Natale in crociera un film quasi del tutto consigliabile per i piccolini e per le famiglie che vogliono spendere i quattro soldi che hanno per farsi le loro sane ed umili risate. Che sia il segno di un cinema in salute? Può darsi.

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