Tredici anni fa Sandro Baldoni mi aveva incantato con il divertente, surreale e unico Strane storie – racconti di fine secolo, lasciando un segno nella mia memoria di giovane cinefila. Come dimenticare l’uomo che muore per mancanza d’aria perché arriva tardi all’ufficio preposto e non può saldare la bolletta inevasa? O il tenero uomo “scaduto” acquistato scontato al supermercato da una giovane donna single? Lui era Ivano Marescotti (protagonista di tutti gli episodi di cui si componeva il film), lei Silvia Cohen. L’altra sera  sono andata a vedere, piena di buone aspettative, l’opera terza di Baldoni uscito in sole 2 copie a Roma (oggi passato a una): titolo promettente Italian Dream (mi immaginavo una commedia satirica dai toni surreali), i due attori baldoniani per eccellenza (Marescotti e Cohen). La sala era prevedibilmente quasi vuota perché si tratta di un film italiano d’autore, in uscita a giugno e quasi in segreto: è difficile che riempia i cinema. Il film è di quelli che trovano difficilmente uno spazio per uscire e vivere e per questo vorrei scriverne benissimo, dire che la vena comico-surreale con cui Baldoni aveva sbalordito al suo esordio si è mantenuta, anzi accresciuta.  Vorrei dire che la trama gialla di cui è intessuto il racconto tiene incollati alla sedia. Devo invece confessare una certa delusione, un pizzico di noia e di perplessità all’uscita dalla sala. Ma noi “critici” siamo tenuti ad andare a fondo delle cose, al di là della superficie… E così eccomi qui a cercare di andare oltre la prima impressione.

Una cosa è certa, la lente con cui Baldoni sceglie di guardare il reale è del tutto personale, unica, non ascrivibile ad alcun genere: un po’ fiaba , un po’ satira, un po’ fumetto dalle tinte surreali. Il suo film non è facilmente classificabile. Il racconto procede dalla fiaba – il tono con cui sembra iniziare – per finire nell’incubo. Come nei sogni lo spazio abitato è un “non luogo”:  dal Pigneto (famoso quartiere romano identificabile dal cartello stradale e dalla sopraelevata ma potrebbe essere una qualunque città italiana), alla moderna sala scommesse. Come gli incubi sono spesso popolati da personaggi strani, così qui abbiamo un riccone, Raniero (Teco Celio) – con silenziose guardie del corpo sikh in abito tradizionale – che convinto di dover essere ucciso dal nostro protagonista, inizia a pedinare Antonio (Ivano Marescotti), a riempirlo di regali e soldi prima di farsi ammazzare. Come nei migliori sogni entra la vita vera, così qui fa capolino l’assurdità della realtà in cui viviamo, in cui il surreale è diventato reale e dove nessuno vi si oppone per rassegnazione o codardia. Il tono del racconto è sempre più fosco, trascinato come il suo protagonista, verso la follia. Come in un Faust post-moderno, l’anima di Antonio ben presto è lusingata e comperata per pochi spiccioli. Antonio è un cinquantenne precario (anche nella forma fisica, nel modo di camminare come fosse sulle sabbie mobili o su una lastra di ghiaccio), che annoiato dalla vita coniugale, sogna di aprire un ristorante a Londra, ma che intanto vive di lavori che perde e di scommesse anche quelle perdenti, fino all’incontro con Raniero, lo strano personaggio che lo rende milionario. L’uomo è però talmente mediocre e divorato dall’ambizione che non riuscirà a sfruttare neppure quest’occasione. Antonio è forse come noi italiani, rassegnati all’assurdo che si sta impossessando del nostro paese considerato “normale”, che cerchiamo di far fortuna senza faticare, che non sappiamo apprezzare quello che di buono abbiamo? Raniero non è forse l’uomo di potere che per i soldi che ha gli è concesso e perdonato tutto, anche di giocare con le nostre vite? Rispetto a tredici anni fa, per raccontare il nostro tempo, forse non basta più solo il grottesco, il surreale, ma c’è bisogno di una fiaba dalle tinte dell’incubo, anche se a tratti sconclusionata, che a volte si perde per strada ma che riesce a rendere significativamente la realtà in cui viviamo.

Ma possiamo stare tranquilli, il nostro bel paese non è quello dove vive Antonio, da noi non potrebbe mai succedere che il consiglio dei ministri s’inventi e distribuisca un kit per disoccupati (panino, acqua di fonte, mezza mela e biglietto della lotteria), che il partito dei depressi cronici perda le Amministrative o che si annuncino prove antiterrorismo in metropolitana in cui venga fatta scoppiare a sorpresa una bomba e i viaggiatori possano decidere se fingere di essere morti o feriti. Tranquilli possiamo continuare a dormire sonni sereni popolati di sogni rassicuranti. Assurdità del genere da noi sarebbero impensabili!

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2 commenti su “Italian Dream: sogno o son desto?

  1. Ciao Chiara, sono Sandro Baldoni. Son d’accordo su molte cose, anche che all’uscita della sala si è un po’ spiazzati. I miei film vengono fuori così, con pochi soldi e tanti ingredienti diversi, la famosa “cucina dei resti”. Una volta il grande Ugo Pirro mi disse: “Tu fai ‘sti film strambi dove a un certo punto non ci si capisce niente ma poi alla fine si esce dalla sala pieni di cose: con un film tuo ce se ne fanno nove”. So che alla gente Italian Dream piace, l’ho constatato in tante proiezioni in Italia e all’estero. Ma ci fanno uscire in luglio e ci tagliano i fondi per la distribuzione. Stiamo sparendo dalle sale, A Roma, siamo ancora al Nuovo Aquila (pigneto), a Milano ancora per poco all’Apollo, a Bologna al Cinema Europa da domani. Difendiamo il terreno palmo a plamo, e siamo contenti di farlo finché ci sono critici che vanno oltre la superficie come te e lettori-spettatori curiosi. Ciao, Sandro B.

  2. Caro Sandro,
    grazie per l’attenzione che hai avuto per la nostra rivista! Anche noi, per quello che possiamo fare con la scrittura, cerchiamo di difendere il cinema e una certa cultura che in Italia sta scomparendo per mancanza di fondi e di spazi. Se ti andasse potremmo fare una chiacchierata sul tuo particolare e personalissimo modo di fare cinema e più in generale sulla situazione del nostro cinema, come abbiamo fatto già, per esempio, con Corso Salani, Gianluca Arcopinto, Carlo Lizzani, Giuseppe Bertolucci, Francesco Paterno. Spero che il tuo film continui a vedersi ancora a lungo, di cinema in cinema, di città in città fino a coprire tutto il nostro paese. Nella mia città d’origine, La Spezia, c’è già un piccolo gruppo di spettatori che lo sta aspettando trepidante… Un grande in bocca al lupo e a presto Chiara

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