[***] – Erik Gandini, documentarista italiano di scuola svedese, sbarca in Italia con Videocracy, ovvero: come 30 anni di televisione Berlusconiana abbiano creato nel nostro Paese una vera e propria videocrazia. Ancora per il grande Silvio viene “declinata” una parola associata al concetto di potere, in questo caso quello della tv. In Videocracy si parte e si arriva alla medesima conclusione: ciò che muove le viscere degli essere umani è l’apparire.

POTERE e APPARIRE. Tra questi due colossi si è accumulato l’impero berlusconiano degli ultimi 30 anni. Da un esperimento televisivo di un quiz con annesso spogliarello di casalinga sarebbero nate le fauci del biscione. Questo è l’inizio del documentario e questo è stato l’inizio dell’impoverimento culturale e cerebrale di questo paese. Sicuramente. Ma veniamo al dunque, chi vi scrive ha un dubbio: come può un’opera che denuncia il potere dell’apparenza servirsi proprio di quest’ultima per spiegarne la manifestazione? Nella trama di Videocracy sono protagonisti e vengono raccontati diversi personaggi che hanno contribuito alla crescita delle reti Mediaset. In primis, Lele Mora. In secundis, Fabrizio Corona. Entrambi sono inizialmente descritti come coloro che hanno creato il gossip e lo scandalo come immensa fonte di guadagno e notorietà immediata. Gandini non descrive solo le cronache di ciò che questi personaggi sono stati, ma entra nelle loro vite, li intervista a fondo, ne svela anche molte perversioni. Si serve della loro costante necessità di apparire finendo per rendergli il servizio che loro hanno sempre desiderato. Raccontare Corona può non necessariamente passare per una scena di nudo integrale in doccia e davanti ad uno specchio. Non è balzata agli occhi la solitudine del “dietro l’apparire”, ma la rapidità della scaltra ricchezza. Chi vi parla è convinta che molti degli spettatori che hanno guardato il documentario, guardando Corona sul suo lettone a contare infinite banconote da 500 euro, abbiano desiderato trovarsi al suo posto, piuttosto che biasimare la sua malattia.

Videocracy è così fagocitato dallo stesso meccanismo che denuncia. Come se un ricercatore venisse contaminato dallo stesso virus che sta studiando. L’analisi “sull’uso criminoso” che Berlusconi, e solo lui, ha finora svolto nella NOSTRA televisione è sinceramente espresso con attenzione e rispetto. Il degrado culturale che oramai si è fatto metàstasi nelle case degli italiani è chiaramente enunciato in molte parti del documentario, ma non ha nulla che Il Caimano o Viva Zapatero non avessero già detto o raccontato. Il tentativo di Gandini, splendidamente montato da Johan Söderberg è sicuramente da vedere, la vetrina del potere e i meccanismi che ne svela vanno a toccare la sensibilità dello spettatore, ma è da capire se non seduce gli animi dei già traviati “cacciatori dell’apparire”. Come per una scatola di medicinali, va allegata l’avvertenza “l’uso indiscriminato di queste immagini può accrescere l’immagine del denunciato”.

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2 commenti su “Il terreno rischioso di Videocracy

  1. Certo il moralismo è difficile da combattere!
    Come si può raccontare la Videocrazia senza i suoi protagonisti? Bisognava fare la solita predica antiberlusconiana, il solito reportage che si mette la coscienza a posto per aver denunciato un fenomeno? Invece Gandini ha scelto di andare a vedere da vicino i protagonisti (anche quelli anonimi, che sono la cartina di tornasole del vuoto che crea la videocraziia e la società dello spettacolo al di là della sua immagine), ha intessuto dei rapporti con loro dovrebbero fare tutti i documentaristi. Non va a cercare lo scoop o una notizia-bomba, ma va a filmare una relazione, racconta qualcosa cercando di trasmettere delle emozioni.
    Nella foga tutta italiana di enunciare le regolette per il paradiso, di separare il Bene dal Male non ci si accorge neanche come questo documentario rovesci i valori “videocratici”.
    Le veline e i loro corpi creano angoscia, la musica, il montaggio e le immagini sono al servizio di un ribaltamento completo delle emozioni.
    Alla fine tutti quei corpi mezzi nudi che si muovono ammiccanti significano soltanto il vuoto, l’alienazione totale tra immagine e ciò che l’immagine vorrebbe rappresentare, la giovinezza, la gioia di vivere il piacere.
    Ci sono due scene-chiave secondo me da tenere presente quando si giudica questo film.
    La prima è la scena in macchina con Corona che con un certo fastidio apostrofa Gandini con un “Mi hai fatto pensare…”, come se quel barlume, quella scintilla di consapevolezza, fosse la cosa più pericolosa al mondo appunto perché non spettacolarizzabile, non ribaltabile.
    Scena che è comunque indicativa del valore di Gandini come documentarista: non era facile stabilire un rapporto con Corona e regalarci momenti di consapevolezza e di verità da un tipo come lui.
    Certo, è molto più facile giudicare e giudicare pericolosa la stessa immagine di Corona che conta i soldi invece che essere curiosi e andare a conoscere il proprio soggetto. Molto più semplice identificarlo con il Male che cercare di capire il meccanismo che c‘è dietro.
    L’altra scena ci mostra lo spettacolo a luci spente, il pubblico che se ne va dallo studio di Mediaset e il ragazzo mezzo Van Damme e mezzo Ricky Memphis che guarda triste nel vuoto, forse anche lui consapevole in quel momento dello squallore dello spettacolo quando rimane senza luci, senza pubbblico, quando svela il nulla che si nasconde dietro il trucco e la cartapesta…
    Come dire che i sogni muoiono all’alba.
    Molto più facile giudicare che conoscere.
    Per fortuna Erik Gandini non ha fatto il solito reportage anti-berlusconiano, non si è mischiato al coro di chi vuol mettersi l’anima in pace ma è entrato in una realtà e con molta fatica e molta bravura ce ne ha regalato alcune piccole verità…

  2. Per il tuo intervento potremmo proporti come critico cinematografico o almeno come esperto di documentari. Forse, il tuo lungo commento è più un’incursione personale che una risposta all’articolo.
    Caro Luca, quello che scrivi su Gandini, sul montaggio, su le scene di veline e sconfitti, io lo condivido e l’ho anche espresso chiaramente. Le stellette per me sono tre. Non ho sconsigliato la visione, anzi. Non ho mai utilizzato la parola giudizio o morale, sono parole racchiuse nel tuo schema riassuntivo e non in ciò che ho scritto. Io ho espresso un dubbio e l’ho espresso tenendo conto di ciò che mi aveva provocato quel dubbio. Non penso di mettermi l’anima in pace scrivendo di contenuti “anti-berlusconiani” ne’ definirei il Caimano o W Zapatero “reportge anti-berlusconiano”. Sono molto di più come tu ben sai. Di questi tempi è davvero paradossale che il mio dubbio venga scambiato per giudizio e il tuo giudizio a servizio di un film che sostieni “ha regalato alcune piccole verità…” sia invece rivolto a un’opinione. Vorrei sapere perchè alla fine del film ho avuto la sensazione che Lele Mora sia apparso come una specie di saggio con le sue spiegazioni sull’apparire e perchè Corona ancora una volta abbia ottenuto quello che voleva e cioè pubblicità gratuita come tra l’altro dice nel documentario. Che bisogno c’era del suo nudo integrale così indugiato ai fini di questo documentario se non scalpore, scalpore, scalpore? Da quella scena in poi è nato il mio dubbio. Gandini ha lavorato bene, ma può aver sottovalutato questo aspetto?

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