Il fatto che Gli Abbracci spezzati e il chiacchieratissimo Bastardi senza gloria abbiano seguito un tour promozionale in perfetta sincronia, prima sulle passerelle di Cannes e poi in vista della distribuzione ravvicinata nelle sale italiane, ha ben disposto la critica a una serie di commenti incrociati sulle personalissime forme di citazionismo che contraddistinguono – ognuno a suo modo – questi due film. Se nel caso di Tarantino, infatti, il ricorso sistematico alla rielaborazione di riferimenti riconoscibili di tutto un corpo di cinema vissuto e riletto costituiscono da sempre uno degli aspetti distintivi di tutta la sua produzione, l’omaggio alla settima arte concepito da Almodovar nello specifico di quest’ultima collaborazione con Penelope Cruz e Bianca Portillo è talmente immedesimato e calato nell’estetica e le forme della materia rievocata che l’impronta inconfondibile dell’autore tende quasi a sbiadirsi generando un capitolo inesorabilmente a parte in tutta la sua cinematografia.

Oltre al confronto con gli archetipi classici del cinema Hollywoodiano come le scale di marmo, lo specchio, la servitù in divisa, Almodovar costella la pellicola di continui riferimenti a Rossellini, Visconti, Minnelli, ma anche a Magritte (nella scena dell’amplesso soffocante della protagonista con lo spregevole Gomez), come pure a Tonino Guerra, Sordi e a bizzarri plot gore-vampireschi. Fedeli al tipico tocco del regista di Parla con lei rimangono sicuramente le rappresentazioni di alcune debolezze umane come la vendetta o la possessione. Devastanti e disumane nei caratteri maschili, quasi materne e molto più innocue nei personaggi femminili, come nel caso di Judith. Anche questa volta è il grado di vicinanza alle passioni più vere e sincere a nobilitare i protagonisti. Ne è riprova il percorso intenso di Mateo Blanco / Harry Caine, lo sceneggiatore di medio-scarso successo rappresentato inizialmente in modo da suscitare diffidenza nello spettatore, ma poi reso sempre più trasparente e affascinante, man mano che si apre faticosamente e procede nel racconto complesso e pieno di flash-back della sua storia d’amore con una Divina Penelope Cruz. La resa al formalismo di Almodovar sembra quasi un’ammissione di colpa nei momenti in cui il regista cita persino se stesso nelle fasi di montaggio e lavorazione del film nel film di Chicas e Maletas (Donne sull’orlo di una crisi di nervi), in cui i dialoghi serrati e irresistibili e il colore quasi autoreferenziale sono un manifesto incrollabile dello stile ormai inattaccabile dell’autore che potrà sopravvivere, come ne Gli abbracci spezzati a tutte le spregevoli minacce di qualsiasi critico o produttore. Così come l’amore redentore omaggiato continuamente dal regista, eterno più degli Amanti stretti per sempre dalla lava di Pompei o la bellezza impareggiabile di Lanzarote.

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