Jane Austen pare fosse una schietta e dotata osservatrice che senza tanti facili moralismi, e in seguito ad una probabile e non tanto digerita delusione amorosa – a chi non capita… – si trovò anzitutto ad osservare se stessa, giovane inglese figlia di un reverendo di campagna, nel periodo a cavallo del '700. La troviamo, vivace e arguta, dare vita ad un mondo fantastico che è uno specchio, deformato dall’uso sottile dell’ironia, raffinata e approfondita, di quello vero, e in cui i personaggi che animano i suoi sei romanzi sono funzionali a rappresentare le diverse facce di uno stesso carattere. La Austen (come anche le sorelle Bronte, a guardare lontano da sopra i tetti ma ferme in ben altro paesaggio) non si è mai allontanata dal suo ambiente ovattato di chiacchiere mondane e problemucci domestici, ambiente ipocrita e ottuso che le ha fornito lo spunto per lanciare i suoi strali di ironica precisione. Si è detto che la Austen fosse una “realista caustica”, esemplari i suoi happy end in cui giocando con lo stereotipo della fiaba idealizzata fa vincere “l’amore coniugale e la flanella”. Fu una scrittrice che riuscì a parlare del rapporto con gli uomini preferendo l’ironia al romanticismo. Fu una donna artista che scriveva nel chiuso di una stanza affollata e che riuscì a mantenere una libertà intellettuale e un'indipendenza affettiva in un mondo regolato dagli uomini. Un mondo in cui la privilegiata e dominante scrittura maschile idealizzava o riduceva a spalla le donne (comunque belle e virtuose, sovente impersonate dalla sfortunata di turno da trarre in salvo). 

Dice Virginia Woolf, circa centoventi anni dopo, di come la Austen sia stata una delle poche scrittrici che sia riuscita a tenere a bada la rabbia che – e vi crediamo – doveva all’epoca turbare i giorni e le notti di molte ragazze costrette a rinunciare alle proprie inclinazioni artistiche, e alla conoscenza del mondo ("scriveva con calma e non con rabbia, con tono saggio e non frivolo, una donna intelligente e sensibile non in guerra con il proprio destino", dice ancora la Woolf a proposito della Austen, che molto ammirava).  

Ed è quindi curioso e in verità abbastanza sconcertante che questa finta biografia si sia invece concentrata sull’aspetto più facilmente idealizzabile della vicenda Austen: il primo amore, della cui reale esistenza peraltro si hanno solo confuse tracce. Il film è un’accozzaglia di luoghi comuni ed atmosfere posticce e svenevoli, in cui di certo non basta mostrare un padre comprensivo e relativamente incoraggiante nei confronti della giovane Jane, per farci riflettere sul percorso umano che l’ha condotta a seguire la vocazione di scrittrice in un tempo in cui era sconveniente anche solo accennare alla possibile esistenza di una donna intelligente che non desiderasse esaurire la sua sensibilità nella cura delle rose e nella scelta del vestito. E se si pensa, come è stato fatto, alla Austen come a una proto-femminista c’è di che imbarazzarsi a vederla baciare per prima l’aitante e un po’ stupidotto amato per poi chiedergli “ho baciato bene?”. La Austen, nell’interpretazione manierata della Hathaway, è una esagitata, una pasionaria che sembra spinta più dalla foga cieca di esperire – impossibile da quietare a quei tempi – che dall’osservazione. In più viene rappresentata come una donna molto bella e corteggiata, piena di grazia e di una seduttività che però, al momento “buono”, si converte repentinamente in rinuncia e sacrificio. Una donna rabbiosa e idealizzata, in definitiva. Proprio quello che, probabilmente, non desiderava essere.

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2 commenti su “Becoming Jane

  1. La scelta dell’ironia camuffata di romanticismo (a me sembra infatti un camuffamento, leggendo proprio in questi giorni Orgoglio e pregiudizio, per superare la censura: “non preoccupatevi, sto solo parlando di frivolezze femminili, e invece quanta caustica modernità c‘è dentro, se si superano le prime pagine!) mi ricorda un altro libro “femminile”, Madame Bovary, e il suo racconto cinematografico, con Chabrol, e con lui Huppert, che traccia l’inesorabile strada che porta dal taffetà al cianuro.

  2. riprenderò in mano il libro, letto tempo fa, per rileggerlo seguendo la traccia del camuffamento, magari. In effetti è lì che pascola da giorni sul comodino. A proposito di sguardo al “femminile”, ma forse più sulla potenza generatrice, distruttrice, infine conservativa delle donne, c‘è l’estremo e molto bello Storia di Piera, con il caustico Ferreri, la Huppert al maschile e femminile, una magnifica Schygulla. Poi a un certo punto spunta pure la Bertè, dopo una rappresentazione di Medea con le sembianze di Piera (la Degli Esposti in verità, che ne ha scritto la sceneggiatura con Dacia Maraini). Una bella sfida o forse più un gran coraggio a scegliere come regista Ferreri per raccontare la propria storia.

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